Beppe Grillo ha preso i media in contropiede

12 Ottobre 2007 • Digitale • by

Il Corriere del Ticino, 12.10.2007

Il V-day e il nervosismo dei «grandi» dell’informazione italiana
Il tam tam mediatico delle ultime settimane ha fatto sì che l’eco del V-Day di Beppe Grillo arrivasse forte anche oltre confine. Nato come una mani­festazione di piazza di informazione e di partecipazione popolare – come recita il manifesto – per dire basta ad un certo sistema politico italiano e alle sue leggi con una proposta concreta e costituzionale, l’evento è sta­to trasformato nel baluardo dell’antipolitica o, più banalmente, riassun­to in quel termine che oggi continua a riempire le pagine di giornali, set­timanali e salotti televisivi: il «Grillismo». Tanto che sorge spontaneo chie­dersi quale sia stata la notizia tanto clamorosa: un milione e mezzo di cit­tadini italiani scesi in piazza a dire la loro in modo democratico o, piutto­sto, un comico genovese che si è impegnato politicamente?

La campagna di informazione non lascia dubbi, certamente la seconda e vien naturale chieder­si il perché. Colpisce l’atteggia­mento della stampa: prima dell’8 settembre Beppe Grillo era igno­rato dai media principali e nessu­no ha tentato di analizzare le ra­gioni del suo successo. Nessuno si è chiesto chi fossero i suoi soste­nitori. O meglio, qualcuno la do­manda se l’è posta ma sono testa­te straniere come Der Spiegel o la Bbc. Poi invece Beppe Grillo ha iniziato a far notizia, ma ancora una volta l’atteggiamento è risul­tato anomalo: continue polemi­che, numerosi attacchi, ma poche spiegazioni, nessuno sforzo di ca­pire. Al di là del giudizio sulle idee di Grillo e sul modo di esporle (pro­vocatorio all’estremo con ampie concessioni alla volgarità) è chia­ro ­che il comico genovese rappre­senta una novità nel campo della comunicazione.

Figlio della rete
Il V-Day è figlio della rete. È un’idea annunciata e diffusa dal comico at­traverso il suo blog www.bebbe­grillo.it e raccolta dagli internauti di tutta la nazione, tanto da mate­rializzarsi in un «miracolo» -come afferma lo stesso Grillo -che nes­suno si aspettava. E i numeri come le testimonianze dei video pubblicati online su you­tube o delle foto diffuse su flickr, parlano chiaro: un milione e mez­zo di­persone riunitesi in 200 piaz­ze italiane, oltre 300 mila firme rac­colte p­er dire no ai politici condan­nati in Parlamento, 244269 iscrit­ti al V-Day, più di 30 città estere coinvolte, migliaia di commentie accessi al blog di Grillo, 9.282 blog in rete che ne hanno parlato. Ep­pure il V-Day ai grandi dell’infor­mazione non è piaciuto, ancora meno continua a piacere Beppe Grillo, bollato come «stregone», «qualunquista» e «populista».

Le ragioni del successo
Perché? I media si sono fatti inter­preti di una c­lasse politica che ve­de nel comico genovese un rivale potenziale? O forse è prevalso l’istinto di autodifesa di una cate­goria, quella dei giornalisti, che è stata colta di sorpresa dall’influen­za di un blog e che dunque ora te­me di perdere la propria influen­za? Sono domande a cui è difficile da­re una risposta; forse la verità è a metà strada. E il mistero sulle in­tenzioni di Grillo non fa che ali­me­ntare il nervosismo nonostan­te il comico abbia più volte dichia­rato di non essere interessato a scendere in campo, neppure do­po il lancio delle liste civiche. «Non sto promuovendo la presen­tazione di nessuna lista civica, né locale, né nazionale. La loro voce i partecipanti del V-Day non la pre­stano a nessuno. Sono i megafoni di sé stessi. I cittadini che si fanno politica».

Gli si può credere?
Ma non tutti gli credono. Anche Berlusconi nel ‘93 aveva negato fi­no all’ultimo di voler scendere in politica. Allora il potere era televi­sivo, ora è della Rete. Da qui altre domande. Cosa fa agitare lo spau­racchio del «grillismo»? Cos’è che da tanto fastidio al sistema politi­co e mediatico di un personaggio che in fondo ha avuto un’idea bril­l­ante, l’ha promossa attraverso i canali giusti, con il sostegno di per­sone motivate dando vita ad una manifestazione democratica di piazza come in Italia non se ne ve­devano da tanto tempo? Per cercare di trovare delle possi­bili risposte, abbiamo intervistato Beppe Grillo (vedi intervista in calce).

IL «V-DAY» IN PILLOLE
L’8 settembre è stato il giorno del Vaffanculo day, o V-Day. «Un giorno di informazione e di partecipazione popolare» e anche «una via di mezzo tra il D-Day dello sbarco in Nor­mandia e V come Vendetta», come l’ha definito Beppe Grillo. Si è tenuto sabato otto settembre nelle piazze d’Italia, «per ricordare che dal 1943 non è cambiato niente. Ieri il re in fuga e la Nazione allo sbando, oggi po­litici blindati nei palazzi immersi in problemi “culturali”».
L’appello lanciato dal comico genovese incitava i comuni cittadini ad andare nella piazza della propria città e fir­mare per portare in Parlamento una legge popolare arti­colata in tre punti:

  • NO AI PARLAMENTARI CONDANNATI
    No ai 25 parlamentari condannati in Parlamento ­ Nessun cittadino italiano può candidarsi in Parlamen­to se condannato in via definitiva, o in primo e secon­do grado in attesa di giudizio finale
  • NO A PIÙ DI DUE LEGISLATURE
    No ai parlamentari di professione da venti e trent’an­ni in Parlamento – Nessun cittadino italiano può esse­re eletto in Parlamento per più di due legislature. La regola è valida retroattivamente
  • SÌ ALL’ ELEZIONE DIRETTA
    No ai parlamentari scelti dai segretari di partito – I candidati al Parlamento devono essere votati dai cit­tadini con la preferenza diretta

L’ INTERVISTA A BEPPE GRILLO: «Sono morti e non se ne sono ancora accorti. Chi ha più potere ha più paura di perderlo»

Beppe Grillo, la stampa italiana è passata da un estremo all’altro. Prima del V-Day neanche una riga su di lei, ora tonnellate di articoli. Perché? E come giudica oggi la qualità dei pez­zi e dei reportage televisivi che le ven­gono dedicati?
«I media non si aspettavano il V-day. Sono rimasti sorpresi dal­l’evento e da una informazione parallela cresciuta in Rete. I vec­chi media “sentono” che il loro tempo è finito per questo con­tinuano a parlare del V-day, non per i suoi contenuti, ma perché per loro è l’inizio della fine. So­no come dei malati che conti­nuano a parlare della loro ma­lattia ».
Perché tutti parlano di lei e nessu­no accenna più alle numerose per­sone scese in piazza, alle loro mo­tivazioni e ai risultati ottenuti?
«Vorrei puntualizzare che in Piazza è sceso un milione e mezzo di persone e non solo giovani. Rispondo alla doman­da: perché se si demonizza Bep­pe Grillo, (come lei sa sono sta­to chiamato: populista, qualun­quista, demagogo, ignorante co­stituzionalista, terrorista, fasci­sta, fiancheggiatore dei negazio­nisti, razzista per citare solo al­cuni dei termini) si annulla il messaggio del V-day: che i cit­tadini vogliono fare politica in modo diretto senza l’interme­diazione delle segreterie dei par­titi e vogliono un’informazione libera. Per l’ Italia sarebbe una rivoluzione».
I più accaniti contro di lei sembra­no essere i grandi quotidiani (Cor­riere della Sera e Stampa) e quelli di sinistra. Come lo spiega?
«Preferisco rispondere che i me­dia sono al servizio dei loro pa­droni che si chiamano Berlusco­ni, De Benedetti, i partiti, la Fiat e pochi altri. I giornalisti sono dipendenti, portavoce da ufficio stampa. Ci sono poche eccezio­ni di giornalisti liberi e spesso devono avere la scorta. I media tradizionali sono morti e non se ne sono ancora accorti. Quelli che hanno più potere sono quel­li che hanno più paura di per­derlo. Del resto vivono di soldi pubblici, sono pagati dalla poli­tica che fingono di criticare».
Lei pronosticò il crac Parmalat e le difficoltà Telecom. Oggi è seguito da centinaia di migliaia di fans: il suo sito può essere considerato un sito d’informazione?
«Il blog ha dato migliaia di no­tizie su politica, ecologia, giusti­zia, energia, telecomunicazioni. Spesso mai pubblicate dai me­dia. La domanda dovrebbe es­sere un’altra: i media tradizio­nali sono fonti di informazione o di propaganda e di persuasio­ne occulta?»
L’Espresso ha titolato, con toni pre­occupati: Internet sesto potere. Con­divide?
«Non ha capito nulla e non ha neppure approfondito l’argo­mento. Invece di chiedere un’opinione a Chomsky, a Bara­basi, a Lessig o a Seth Godin, per citare solo alcuni, e di analizza­re il fenomeno Rete ha riporta­to l’opinione di persone spesso mai sentite nominare».
Ma l’informazione su internet è cre­dibile o va solo controcorrente?
«Internet è l’informazione. Lo testimonia il successo di Wiki­pedia, la più grande enciclope­dia del mondo in più di cento lingue».
Qualcuno ha definito i 2.433 com­menti inviati al suo ultimo post co­me uno «sproloquio collettivo» che non legge nessuno, tanto meno lei…
«Io li chiamerei partecipazione. E li leggono tutti, altro che nes­suno. Sono 2.433 opinioni. I commenti spesso integrano con informazioni eccellenti il post. Esiste nel blog una funzione det­ta: “Vota il miglior commento”, moltissimi votano e se si clicca il simbolo del miglior commen­to (una zampa d’orso Hopi) si possono leggere solo i migliori commenti scelti dai lettori se si ha poco tempo».
Elio Veltri ha dichiarato che lei è spaventato per l’offensiva mediati­ca lanciata contro di lei. Scavano nel suo passato alla ricerca di scan­dali. Non teme di finire stritolato?
«Io non ho niente da nasconde­re. In Rete può avere successo solo chi è credibile. Avete visto cosa è successo a Mastella? Ber­lusconi si guarda bene dall’en­trarci. Se la Rete mi segue è perché ho una reputazione. La pau­ra la devono avere coloro che hanno gli armadi pieni di sche­letri a cominciare dai “manda­rini” dell’informazione».

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