per.corsi* dicembre 2011
In Ticino, nella Svizzera italiana, sembra proprio di sì. Sia chi la fa, in questo caso i media del servizio pubblico della RSI, sia chi la consuma. Certo non è più la cultura di una volta, sono cambiati tempi e modi di produzione e di fruizione dei programmi ma l’interesse per questo genere, per l’approfondimento è ancora vivo. E ogni medium, in base alla sua specificità, tratta e declina la cultura a suo piacimento, rendendola facilmente accessibile per il suo pubblico di riferimento.
Per entrare nel vivo della questione e vedere da vicino meccanismi e evoluzioni dell’attualità e dell’approfondimento culturale, abbiamo intervistato chi concretamente e con passione fa cultura tutti i giorni: Maurizio Canetta per la tv e Maria Grazia Rabiolo per la radio. Ai loro punti di vista abbbiamo affiancato anche il parere di un esperto esterno alla RSI ma addentro alla cultura giornalistica ticinese che ha una grande esperienza nella carta stampata e nell’online, quello di Marcello Foa.
“IN TV MI INTERESSA SEGNALARE LIBRI, PAGINE, POESIA, ARTE, POI UNO SE LI DEVE ANDARE A PRENDERE”
*Intervista a Maurizio Canetta direttore del settore cultura TV della RSI.
Le pagine culturali dei quotidiani non sono più quelle di una volta. Vale anche per la cultura in tv?
“Che le pagine culturali e il modo di fare cultura sia diverso è evidente e logico perchè cambiano tempi e modi di fruizione di ogni media. Non esistono più le pagine culturali storiche come la terza del Corriere, l’elzeviro, e dei pezzi di grande approfondimento, il consumo è completamento cambiato. Poi che le pagine culturali si avvicinino ai tabloid è vero talvolta per quanto riguarda la forma (titoli, richiami, box, schede) ma non sempre per i contenuti. Oggi è uscito il nuovo supplemento “La Lettura” del Corriere della Sera, un libro di 40 pagine di begli interventi. È ovvio che bisogna probabilmente vestirli in modo un pò diverso e credo che questo discorso valga in particolare per la televisione dove è necessario che i contenuti abbiano un adeguamento ai tempi, ai modi di consumo e di fruizione . Il problema vero sta nel dove si pone il limite del compromesso: se diventa intrattenimento che veicola un pò di cultura è un conto, se si tratta di cultura – poi bisogna intendersi sul termine – che ha una veste più godibile o più fruibile non lo vedo come un elemento di deprezzamento o scandalo. Naturalmente resta una questione centrale, in particolare per la tv e cioè il fatto che essa non può per principio avere la profondità del libro, della rivista, del saggio, del convegno. Per fare un esempio, mercoledì noi facciamo una serata, ospite Zygmunt Bauman, su ‘L’autunno delle nostre certezze’. Se facciamo una trasmissione di settanta minuti con dei filmati, gli interventi e le riflessioni di Baumann saranno in termini di minutaggio quanto quindici minuti. Quale profondità è possibile raggiungere in quindici minuti? Non quella dei libri e delle analisi profonde ma quella della segnalazione di riflessione o di piste di riflessione sì. Tanti dicono ‘Una volta come erano belle le trasmissioni culturali da L’approdo, a Questo e altro, a Lavori in corso’ poi quando si vanno a rivedere si colgono dei ritmi e delle modalità oggi improponibili.”
Internet per la cultura in tv è una risorsa?
“Si infatti abbiamo l’intenzione di declinare i vari temi che trattiamo sui tre diversi media cercando di differenziare da un lato ma di proporre comunque un’offerta coordinata. Pretentedere però di avere un giornalismo culturale in internet, radio e tv è proprio per la specificità di ogni medium una contraddizione in termini. Anche in rete non bisogna illudersi che ci stia tutto. Forse è banale quello che dico però in televisione a me interessa segnalare libri o pagine o poesia o arte poi uno se li deve andare a prendere”.
In tv, in particolare all’estero, è sempre più presente una commistione di generi, il cosidetto “infotainment”. Nella tv svizzera mi sembra invece che questa tendenza non ci sia. Come mai?
“Una risposta può essere perchè non ne abbiamo le capacità perchè per fare infotainment bisogna essere bravi nell’info o cult-tainment. L’altra è una questione di scelta. Personalmente non sono grande amico dell’infotainment perchè la mescolanza di generi se non è condotta con capacità forti è un rischio di compromesso troppo alto rispetto ai valori che uno vuole diffondere e trasmettere”.
Quale è la missione del servizio pubblico quando si parla di cultura e in che cosa si differenzia da quella della tv commerciale?
“Si distingue solo per il principio che certi tipi di trasmissione li fa e li propone e sono spesso trasmissioni di non grande successo in termini di numeri assoluti. L’importante però è farli questo è già un primo vantaggio del servizio pubblico”.
“SIAMO NOI STESSI PROMOTORI DI CULTURA”
*Intervista a Maria Grazia Rabiolo, attualità culturale RSI
Le pagine culturali dei quotidiani non sono più quelle di una volta. Vale anche per l’attualità culturale in radio?
“Alla radio è chiaro che è cambiato il modo di presentare le trasmissioni di informazione culturale ed è cambiato in modo sorprendente. Intanto da un punto di vista formale: perchè se andiamo a riascoltare certe trasmissioni anche solo di cinque o sei anni fa ci accorgiamo che il ritmo era tutto un altro. E quindi c’è un discorso di carattere formale. Poi rispecchiando l’andamento dei nostri tempi anche noi ci siamo adattati a fare cultura dal punto di vista dell’attualità culturale stando nei tempi più brevi che sono tipici della nostra epoca e della nostra società. Vale la pena di sottolineare che noi abbiamo tutti i giorni degli appuntamenti culturali con l’attualità distribuiti nell’arco della giornata. Diamo conto di quello che accade nella nostra regione perchè ci sembra un nostro dovere ed è una risposta al mandato che ci è stato affidato, siamo peròattenti con uno sforzo finanziario in termini di corrispondenti anche su quanto avviene a livello culturale in Svizzera tedesca e francese. E poi stiamo attenti a quello che accade in Europa, in Italia, nella fascia di confine anzitutto ma anche oltre oceano”.
Dunque il palinsesto di Rete Due, in termini di attualità cultura, offre una programmazione molto ricca?
“La Rete Due è la rete della cultura, della diffusione della cultura e quindi accanto a grandi trasmissioni di carattere musicale propone anche trasmissioni di approfondimento giornalistico o culturale. Siamo noi stessi promotori di cultura”.
In che modo sono cambiati i programmi di attualità culturale?
“Prima i tempi erano più lunghi, i servizi duravano di più , ne mettevamo meno e tutto era più diluito. Oggi proprio perchè vogliamo essere sempre presenti e dare modo ai nostri ascoltatori di essere informati su ciò che accade nel mondo culturale nel senso più ampio del termine per cui i temi toccati non sono solo quelli più canonici delle arti figurative, della letteratura. Noi vogliamo di dar conto dal punto di vista culturale di ciò che sta accadendo in un dato momento. Cerchiamo di essere tempestivi e adeguati al mondo che ci circonda”.
Con la crisi e la concorrenza di internet la radio tra i media tradizionali è forse quello che si è saputo rivalutare di più?
“La radio ha un suo fascino irraggiungibile e dificilmente ineguagliabile perchè è popolare nel senso migliore del termine. Costa pochissimo sia per la realizzazione, basta un tasto per accenderla ma è di una immediatezza incredibile. Nella mentalità comune uno ascolta la radio e subito sa quel che accade. Ora forse con internet le cose sono cambiate”.
La radio più di altri media si presta alla fusione con internet. Trova che ci sia una maggiore convergenza tra radio e web?
“Si , il fatto è questo: sull’immediatezza la radio rimane insuperabile. È vero anche che grazie alla rete ora la puoi vedere oltre che sentire”.
Che tipo di pubblico è quello di Rete Due?
“Onestamente più un pubblico adulto, tendenzialmente maturo tendenzialmente, un pubblico di persone che ha il piacere di essere informata fino in fondo. Non è che siccome ci occupiamo di cultura siamo automaticamente pesanti, fuori dal mondo o per pochi. Parlare di cultura non significa che necessariamente venga usato un linguaggio accademico. Anzi proprio noi che crediamo molto nei valori degli argomenti culturali, nel valore di ciò che stiamo proponendo come material, cerchiamo di farlo nel modo migliore e quindi il più accessibile possibile per un pubblico più vasto. Credo siano veramente dei pregiudizi di fondo quelli per cui dobbiamo usare un linguaggio accademico o per pochissimi. In questo senso c’è stata un’evoluzione, anche la rete culturale ha capito il suo mandato, quello di proporre argomenti culturali al pubblico più vasto”.
“LA NOSTRA SOCIETÀ CREDE ANCORA NELLA CULTURA”
*Intervista a Marcello Foa, CEO di Timedia, cofondatore dell’Osservatorio europeo di giornalismo e ex direttore del sito web del quotidiano Il Giornale.
Le pagine culturali dei quotidiani non sono più quelle di una volta. Che cosa ne pensa?
“È vero che rispetto al passato la cultura ha perso la sua importanza. Infatti fino a qualche anno fa i giornali italiani, che sono poi di riferimento anche per quelli del Cantone, avevano sempre la pagina culturale all’inizio del giornale, oggi l’hanno spostata. C’è oggi la necessità di un nuovo linguaggio, la cultura è cambiata ed è cambiato anche l’interesse del pubblico”.
Quindi la cultura è diventata secondaria?
“Io non sono convinto che la cultura sia diventata secondaria perchè non si spiegherebbe il successo di certe mostre per le quali devi prenotare con mesi d’anticipo. È cambiato il modo di porsi alla cultura, è diventata più di massa, meno qualitativa, per cui il grande nome, il grande evento fa più presa della sostanza. Questo in generale riferito alla società. Devo dire però che i giornali tendenzialmente riescono a tenere un buon livello culturale. Il Corriere del Ticino è senza dubbio il giornale che più di altri si è sforzato di tenere due pagine culturali di un certo livello, rivolte magari ad un pubblico minoritario ma che si aspetta un’informazione culturale di qualità. La cultura rispetto al resto dell’informazione ha meno questa frenesia dell’ultimo minuto perchè i tempi sono più lenti. C’è una doppia esigenza: quella dell’approfondimento ma anche dell’ informazione. Il successo dell’inserto del Corriere della Sera appena lanciato o del Sole 24 ore dimostra che c’è un pubblico che ancora richiede questo tipo di informazione. Un fatto rassicurante per la nostra società che ancora crede alla cultura nel senso più alto del termine”.
Che peso ha l’informazione culturale sugli altri media di Timedia?
“Tendenzialmente minore ma perchè è diverso il pubblico: RadioTreiii è più di intrattenimento, Teleticino si occupa di informazione locale, allora è chiaro che la cultura viene trattata più come informazione. Devo dire che la tv in generale, con poche eccezioni come Arte hanno difficoltà a proporre con successo trasmissioni culturali di livello perchè costano abbastanza e l’audience è limitata. La cultura si declina più facilmente sulla carta stampata, che non sulla tv generalista”.
Quali sono le differenze tra tv commerciale e servizio pubblico?
“Vedo una chiara separazione tra radio e tv. La tv non mi sembra che faccia un discorso culturale particolare se non in qualche spazio. L’offerta di Rete uno e Rete due non è certo un’offerta che pone la cultura al centro del palinsesto. La radio invece punta molto di più sulla cultura e si presta bene. Ci sono casi di radio che hanno un’audience complessivo inferiore ma soddisfano le esigenze del pubblico, per cui potendone supportare i costi è chiaro che si tratta di un servizio gratuito. Secondo me dovrebbe essere nel DNA del servizio pubblico che essendo finanziato anche con i soldi dello stato può permettersi scelte non redditizie in termini strettamente economici”.
Internet che ruolo gioca?
“Internet è un cantiere perchè sono nati dei siti specializzati che hanno avuto successo. C’è un certo volano via internet di recensioni, culture, mostre c’è un mondo che sta nascendo è che secondo me è positivo”.
La missione è quella di continuare a fare un prodotto di qualità fruibile per tutti e su tutti i media?
“L’ambizione c’è sempre, come possa essere declinata con successo oggi non lo sappiamo ancora con certezza. Alla fine sono i numeri che determinano le svolte: se tu metti un servizio culturale e ne approfittano solo duecento persone il costo non vale l’impresa”.
*Pubblicato in: per.corsi, periodico della Società Cooperativa per la Radiotelevisione Svizzera di Lingua Italiana.
Tags:cultura, giornalismo culturale, Marcello Foa, Maria Grazia Rabiolo, Maurizio Canetta, Rete Due, RSI