La fine del servizio pubblico in Svizzera?

29 Gennaio 2018 • In evidenza, Media e Politica • by

In Svizzera la questione “No Billag” sta mettendo in discussione la tenuta di relazioni e amicizie di lunga data. Il tema è quello dell’esistenza del servizio pubblico radiotelevisivo e della SRG SSR, il broadcaster pubblico elvetico, messo in discussione da un numero crescente di cittadini e su cui il popolo svizzero è chiamato a votare il prossimo 4 marzo con un referendum. Già da mesi infuria nel Paese una discussione molto accesa sul tema, sia sui media che sui social.

Un Paese piccolo e plurilingue come la Svizzera è infatti molto più dipendente da un servizio pubblico funzionante e dalla sua offerta mediatica che altri Paesi più grandi, in primis per via della necessità di assicurare un minima integrazione tra le varie regioni linguistiche, ma anche per la fornitura efficace di notizie e informazioni di background ai cittadini. D’altro canto, proprio perché le trasmissioni della SRG SSR devono essere realizzate in quattro lingue, gli svizzeri pagano al momento il canone – noto come Billag – più caro d’Europa, 450 franchi annui, circa 385 euro (anche se in futuro scenderà a 365 franchi). In Germania, solo per fare un esempio, ogni famiglia paga 210 euro all’anno per ricevere i canali tv e radiofonici di ARD, ZDF e Deutschlandfunk.

Ciò che ha indignato molti cittadini svizzeri è che il canone sia stato trasformato, proprio come in Germania, in una tassa de-facto: tutti devono ora pagare, indipendentemente dalla fruizione effettiva del servizio pubblico o della televisione in generale. Guardando alla Storia, le ragioni che portarono, quasi 100 anni fa, all’istituzionalizzazione del servizio radiofonico pubblico appaiono ormai obsolete: all’epoca le frequenze erano poche, mentre oggi, grazie a Internet, i cittadini annegano in un mare di offerte di informazione e intrattenimento. Stando al comitato che ha chiesto il referendum per l’abolizione del canone Billag, i cittadini e le cittadine dovrebbero poter decidere autonomamente quali offerte mediali fruire e pagare.

Guardando invece al futuro, è possibile che i cittadini svizzeri dovranno fare sempre di più affidamento alle offerte mediali finanziate o sussidiate dal settore pubblico, proprio perché non sono abbastanza inclini a pagare volontariamente per l’informazione. Anche per il giornalismo di qualità e la pluralità dei media in Svizzera, che molti definiscono un paradiso, lo scenario si è fatto a tinte fosche. Da quando Google e Facebook sottraggono ingenti introiti pubblicitari alle aziende mediatiche e la cultura della gratuità si è imposta sul web, le redazioni subiscono continue azioni di fusione e di riduzione anche nella Confederazione. Se i lettori non vogliono più pagare per il giornalismo, è quasi impossibile trovare altri finanziamenti. E quando le aziende mediatiche non saranno più redditizie, saranno anche destinate a essere inglobate da grossi conglomerati, oppure a essere comprate da oligarchi molto facoltosi, che poi le useranno inevitabilmente per i loro scopi politici.

Gli oppositori dell’iniziativa “No Billag” dipingono scenari possibili in cui una “Blocher TV” potrebbe dominare il mercato svizzero. Christoph Blocher, il leader del partito populista di destra Unione democratica di centro (Udc), sta infatti allargando il suo impero mediatico anche nel mercato cartaceo oltre che in quello televisivo, evocando così il fantasma di un possibile nuovo Berlusconi svizzero. Ad ogni modo, la questione del mantenimento della pluralità dei media rimane tuttora aperta. La Svizzera, Paese emblema della democrazia diretta, si è raramente polarizzata in modo così radicale: per alcuni la SRG SSR costituisce un bene nazionale quasi sacro, per altri rappresenta semplicemente un’istituzione diventata obsoleta nell’era digitale. Le voci moderate e più ragionevoli tendono invece a scomparire tra i due poli opposti.

Quello che è certo è che la Svizzera ha chiaramente bisogno del suo servizio pubblico, cui deve essere data la possibilità di espandersi liberamente anche su Internet. Allo stesso tempo, però, questo potrebbe anche essere alleggerito. L’abolizione della pubblicità, ad esempio, potrebbe aiutare, da un lato, ad assicurare l’indipendenza giornalistica e, dall’altro, a non rubare una fetta di torta troppo grande ai concorrenti privati. La SRG SSR potrebbe fare anche più sforzi per rafforzare la coesione tra le quattro regioni linguistiche o per adempiere alla sua missione di base, assicurare, ad esempio, del buon giornalismo nella cronaca estera o scientifica, invece di concorrere con i privati per i diritti delle trasmissioni sportive o di intrattenimento. Inoltre, l’idea che il servizio pubblico sia indispensabile per correggere il deficit del mercato sarebbe più credibile per il caso svizzero se il servizio pubblico non nascondesse i programmi intellettualmente impegnati nella fascia notturna.

Libertari e populisti di destra potrebbero far crollare con il referendum di marzo un sistema mediatico duale, che tra gli esperti di media gode di un’ottima reputazione, grazie anche alla cultura giornalistica della SRG SSR, la quale ricorda quella della BBC dei tempi d’oro. Perlomeno in Svizzera c’è un dibattito pubblico molto animato sul futuro dell’informazione e la Commissione federale dei media, sotto la guida di Otfried Jarren, sollecita di continuo il Governo centrale con idee lungimiranti per la configurazione del sistema mediatico. Così, vi è ancora speranza. Come quasi tutti gli esperti dei media, inoltre, anche Jarren si è schierato contro l’iniziativa “No Billag”. Lui e la Commissione, però, hanno sottolineato come, in un mondo digitalizzato, occorra sviluppare nuove forme innovative di finanziamento pubblico per giornalismo e per i media, un punto che il governo di Berna ancora non sembra capire.

Per approfondire:
Come il crowdfunding potrebbe finanziare il servizio pubblico, di Tiziano Bonini
Il servizio pubblico in Europa dopo la crisi, di Raluca Radu
7 passi per un servizio pubblico digitale di successo, di Annika Sehl
Perché il servizio pubblico conta ancora in Europa, di Ely Lüthi
La morte del servizio pubblico. O la sua rinascita? di Massimo Scaglioni

Articolo pubblicato originariamente in tedesco da Tagesspiegel, disponibile qui. L’articolo è disponibile anche in inglese. Traduzione a cura di Georgia Ertz.

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