Il web in Cina e l’importanza del video

6 Luglio 2015 • Digitale, Più recenti • by

michael davis-burchat / Flickr CC

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In occasione di un suo famoso intervento a TED, Chris Anderson aveva dichiarato che i video online avrebbero guidato un fenomeno mondiale noto come “Crowd Accelerated Innovation”, un ciclo di apprendimento il cui impatto avrebbe potuto essere significativo almeno quanto quello dell’invenzione della stampa. Anche se la previsione di Anderson sembrava determinista già allora, l’importanza della condivisione dei video ha trovato un nuovo laboratorio di sviluppo: la Cina.

Secondo i dati più recenti forniti dal China Internet Network Information Center, nel 2014 nel paese asiatico oltre 432 milioni di utenti Internet hanno condiviso un video online, un terzo dell’intera popolazione cinese connessa. Un altro importante risultato che emerge dal medesimo report conferma invece l’importanza crescente del mobile: oltre 321 milioni di utenti, infatti, hanno condiviso un filmato in rete utilizzando una connessione in mobilità. Le maggiori piattaforme di videosharing in Cina al momento sono Youku, Tudou, iQiyi, Tencent video, Sohu e Letv.

Ora la sfida maggiore per il mercato del videosharing cinese è trovare un modello di business che possa funzionare nel lungo periodo. Da un punto di vista storico, infatti, la fusione tra Youku e Tudou del marzo 2012 ha rappresentato uno spartiacque importante per il settore. Più recentemente, il videosharing è diventato un mercato interessante anche per aziende Web cinesi più grandi, come conferma l’investimento di 1,2 miliardi di dollari fatto da Alibaba Group in Youku Tudou e il pacchetto che il produttore mobile Xiaomi si è garantito di Youku Tudou e IQiyi.

Baidu, il più famoso motore di ricerca cinese, invece, ha comprato il sito di streaming video IQiyi per l’equivalente di 370 milioni di dollari nel 2012, aggiungendolo alla sua piattaforma video lanciata due anni prima. Si può quindi facilmente prevedere che questo trend di fusioni e acquisizioni sia destinato a proseguire anche in futuro, dato che il motto “platform, content, terminal and use” (平台、内容、终端、应用, nda) continua a guidare l’interesse per i video online.

Inoltre, questo clima di crescente convergenza era già stato confermato nel 2012 da un altro report che suggeriva come già allora il 20% dei televisori venduti globalmente fossero “smart tv” con funzioni web 2.0 e di connessione integrate. Il Giappone guida questo processo con un tasso del 36%, mentre la Cina segue al 30.

La situazione del settore del videosharing riflette però anche la condizione complessiva della Internet cinese, ancora dominata dall’accesso limitato alle piattaforme straniere e ai prodotti audiovisivi e da un mercato domestico ancora molto controllato. Nel 2007, la China’s State Administration of Radio, Film and Television (SARFT) aveva stabilito un nuovo set di regole per le quali un sito di video online doveva trovare un partner controllato dallo stato per ottenere una licenza. Un anno dopo la SARFT aveva anche pubblicato una blacklist, ordinando a 25 siti di cessare le loro operazioni con l’accusa di diffondere contenuti illegali.

Nel giugno dello stesso anno, erano state concesse 247 licenze per il videosharing da parte dello stesso ente, la maggior parte delle quali erano state date a tv di proprietà statale, agenzie di stampa come Xinhua, a CCTV.com e a portali famosi come Sohu, 169, Sohu e Sina. Piattaforme molto popolari come Youku, Tudou e 56.com avevano invece ricevuto le loro licenze solo successivamente.

Nel settembre del 2014, la State Administration of Press, Publication, Radio, Film and Television (SAPPRFT) aveva invece rilasciato un set di nuove regole per obbligare i siti di streaming video a richiedere una licenza per poter trasmettere film e serie tv straniere, minacciando di bloccare tutti i broadcaster non autorizzati. La decisione della SAPPRFT era stata molto importante, non solo per il mercato del videosharing, ma anche per le prospettive del consumo di contenuti audio-video in Cina nel complesso.

Dato che è molto difficile per i canali tv tradizionali trasmettere prodotti non cinesi, e le serie tv in particolare, per questioni di budget, a causa dell’obbligo a trasmettere contenuti nazionali e per le pressioni date dalla supervisione statale, le piattaforme di videosharing rappresentano di conseguenza uno spazio cruciale per l’accesso e il consumo di serie tv straniere. Durante l’estate del 2013, le piattaforme video maggiori hanno cercato di aumentare i loro introiti fornendo produzioni straniere gratuitamente e comprando i diritti di diverse serie tv estere.

Per esempio, Sohu aveva acquisito oltre 100 sitcom americane, mentre Youku aveva lanciato un canale specifico per i contenuti del Regno Unito e per le esclusive provenienti dalla televisione di Hong Kong. Si può quindi immaginare che il divieto della SAPPRFT del settembre 2014 abbia avuto un effetto importante sulle revenue delle maggiori piattaforme di videosharing in Cina.

Nonostante il contesto legislativo poco chiaro, le aziende più importanti stanno cercando di trovare la sostenibilità economica, foraggiata da un approccio chiaramente protezionistico da parte del governo di Pechino. Questo scenario sarà confermato (o smentito) dal tentativo di Netflix di entrare nel mercato cinese, nella misura in cui il governo agevolerà (o rallenterà) l’ingresso in Cina dell’azienda californiana.

Ma bisogna comunque considerare che è vero che negli ultimi anni molte piattaforme di videosharing hanno investito in produzioni proprie cercando di produrre contenuti televisivi e cartoni animati assumendo famosi registi e sceneggiatori cinesi. Questi tentativi sono stati descritti nell’ultimo report CNNIC come in cerca di nuovi finanziamenti e maggiori introiti pubblicitari.

Di conseguenza, è difficile immaginare le prospettive di lungo periodo per il mercato del videosharing in Cina, soprattutto se si tiene in considerazione la mancanza di un modello di business che funzioni. L’importanza del settore, ad ogni modo, è confermata dalla crescente integrazione della condivisione di video nelle piattaforme, nei servizi online e nei device.

Articolo tradotto dall’originale inglese, pubblicato sul blog del China Policy Institute della University of Nottingham

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