La rivoluzione digitale è entrata in una nuova era, quella della distribuzione dei contenuti attraverso dispositivi mobili. E’ questo il fenomeno più rilevante che si evince dall’ultimo rapporto State of the News Media 2012. Più di un americano su quattro possiede uno smartphone, uno su cinque utilizza un tablet. E’ un fenomeno che l’editoria ha iniziato a osservare attentamente poiché rappresenta una dinamica di sviluppo foriera di nuove opportunità. Il consumo di notizie tende infatti a diversificarsi ogni qualvolta una nuova tecnologia di accesso alla rete inizia a diventare una risorsa comune per un numero sempre più rilevante di persone. Un fenomeno che, ancora una volta, deve essere visto non tanto come un comportamento alternativo da parte di chi è oggi il consumatore medio di notizie.
L’acquisizione di notizie da dispositivi mobili diventa un complemento all’informazione distribuita via TV e computer. Questi ultimi canali distributivi non vengono azzerati in virtù del progressivo successo del mobile media. E’ vero, al contrario, che il tempo che una persona dedica al consumo di informazione viene distribuito tra diverse piattaforme in base alle abitudini e stili di vita quotidiani.
Tra coloro che utilizzano uno smartphone o un tablet come media informativo, otto persone su dieci accedono a informazioni via computer. Il dispositivo mobile non è quindi sostitutivo delle forme di informazione attraverso le quali sono distribuiti contenuti vocali e testuali, ma complementa e arricchisce lo spettro di opzioni disponibili.
Lo studio rivela, inoltre, come i dispostivi mobili abbiano determinato, nel corso dell’anno, un incremento degli accessi ai siti web in misura pari al 9%. Altrettanto significativa la costante affermazione della dimensione dei social network: il 54% degli americani che possiedono una connessione internet utilizza Facebook, una percentuale equivalente a circa 130 milioni di persone. E sui social network gli utenti trascorrono, in media, un tempo 14 volte superiore rispetto a quello trascorso sui siti di informazione. Tuttavia solo un 10% degli americani si affida al social network per accedere alle notizie.
Il rapporto mette in evidenza un altro fenomeno, per certi versi preoccupante: la concentrazione degli investimenti pubblicitari online, accreditata per il 68% degli investimenti complessivi a quattro sole grandi aziende: Google, Yahoo, Microsoft, Facebook. Quest’ultima, in particolare, viene data come l’azienda che da qui al 2015 controllerà il 20% della torta pubblicitaria. Facebook, quindi, è destinato a diventare il concorrente numero uno di Google andando a insidiare la posizione che quest’ultimo ha raggiunto nel corso degli ultimi dieci anni. Di fronte a queste dinamiche il rapporto ipotizza che nel medio periodo i giganti della rete potranno essere stimolati nel mettere a segno partnership o acquisizioni nell’ambito dell’editoria, come già avvenuto, per esempio con l’acquisizione dell’Huffington Post da parte di Yahoo.
Notizie contrastanti come è inevitabile che avvenga in un periodo di grandi cambiamenti. Per gli editori la situazione rimane difficile e complicata. Nonostante gli sforzi e gli investimenti fatti nell’online e nel digitale, investimenti che iniziano a dare i loro frutti in termini di lettori acquisiti, non emerge un modello di sostenibilità economica: la contrazione dei ricavi su carta non viene compensata dall’aumento della quota di ricavi su nuove tecnologie: per ogni 10 dollari persi sulla carta si acquisisce un solo dollaro su online e digitale. Un fenomeno che dal 2000 a oggi ha determinato una diminuzione dei ricavi dei giornali del 43%.
Ma se i fondamentali finanziari sono ancora motivo di preoccupazione, vi sono anche segnali positivi che riguardano gli utenti: sempre più persone accedono alle notizie. Il mondo mediatico plasmato da Internet ha portato il giornalismo a una più ampia fascia di utenza. Il problema è, come si ripete ormai da tempo, individuare il modo migliore per monetizzare questa dinamica di sviluppo. Obiettivo che alcune realtà hanno cercato di raggiungere mettendo a punto un modello a pagamento, modello che continua a coinvolgere un numero più ampio di giornali. Il rapporto afferma, infatti, che siano già un centinaio le pubblicazioni che hanno implementato un paywall, non blindato ma basato su una logica più aperta così come realizzato dal New York Times. E a questi 100 si afferma che se ne aggiungeranno presto altri. Ma la transizione verso un’editoria, pesantemente condizionata dal consumo digitale comporterà inevitabilmente delle defezioni. Alcuni giornali non reggeranno la competizione generata dalle nuove tecnologie e cesseranno di esistere, altri diminuiranno la frequenza delle uscite, non più giornaliere, ma infrasettimanali.
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