Molta attenzione è stata data negli ultimi anni alla situazione critica dell’industria dei giornali per via della diminuzione della pubblicità e delle tirature. Ma nell’insieme delle notizie a tinte fosche e alle previsioni negative, c’è un risultato positivo: i quotidiani locali e quelli delle grandi città negli Usa e in Canada si stanno adattando molto bene alla situazione, sono vitali e generano utili. A riportarlo, uno studio da poco pubblicato.
“Il business model di questi giornali è robusto e dovrebbe consentire loro di sopravvivere su carta almeno per il futuro prevedibile”, conclude Marc Edge, autore dello studio in questione, incluso nell’ultima edizione di Newspaper Research Journal. Questo giudizio positivo è fondato sui dati raccolti in un periodo di 8 anni (dal 2006 al 2013) sui risultati di 11 gruppi editoriali statunitensi quotati in borsa, compresi Gannett e gli editori del New York Times e del Washington Post e da 5 canadesi, tra cui Postmedia Network e Quebecor Media.
Marc Edge, un docente di giornalismo e critico dei media di Vancouver, ha indicato risultati simili anche nel suo libro più recente, Greatly Exaggerated: The Myth of the Death of Newspapers, pur riconoscendo ovviamente le sfide impegnative cui i giornali hanno dovuto far fronte mentre la recessione si faceva sempre più dura portando anche ad ampi tagli al personale giornalistico e ai budget delle redazioni.
Mentre i giornali in Europa e in altre zone non hanno sofferto tanto gravemente la crisi, scrive Edge, i quotidiani locali e quelli delle grandi città del Nord America sono stati invece colpiti in modo particolarmente negativo, facendo registrare crolli anche del 50% alle loro entrate nel corso del periodo in esame. Come risposta, i gruppi mediatici hanno cercato di rinforzare i propri business model tagliando la distribuzione, alzando i prezzi degli abbonamenti, cercando introiti dal digitale e alzando paywall di fronte ai loro contenuti online.
In questo periodo di crisi economica, Edge riporta che alcune aziende del settore giornalistico hanno fatto segnare ingenti perdite sul segmento cartaceo in “accounting write-drown“, e la svalutazione del valore di questo asset ha generato una diminuzione del valore del loro business complessivo. Nonostante le entrate, i guadagni e gli utili fossero sensibilmente più bassi per le aziende studiate, nessuna di queste ha però sofferto una perdita operativa annuale per la propria divisione giornali.
Di fatto, secondo i calcoli di Edge, quello del Washington Post è stato l’unico editore Usa a far registrare un margine di profitto più basso della media storica del 4,7% della classifica Fortune 500. La maggior parte dei giornali studiati è riemersa dalla recessione con utili a doppia cifra, fa notare Edge. Le aziende canadesi, invece, hanno fatto anche meglio.
“Mentre la recessione rallentava, molti che avevano previsto la morte dei giornali hanno dovuto ammettere di essere stati almeno prematuri”, sostiene Edge. Nella sua analisi, Edge fa notare come “calcoli considerevoli” siano stati fatti per separare i guadagni e gli utili dei giornali da altre parti dei conglomerati e per fornire contabilità standardizzata tra le aziende. Edge segnala a questo proposito che i profitti operativi sono stati calcolati attraverso una formula di “ritorno sulle entrate” il cui scopo è mostrare quanto profitto sia in grado di creare un’azienda a fronte di ogni dollaro guadagnato.
Concentrandosi sul risultato operativo, Edge ha cercato di distinguere tra i ricavi necessari a sostenere le spese di ogni giorno e quelli richiesti per coprire i pagamenti degli interessi sui debiti travolgenti, molti dei quali contratti durante le acquisizioni. “Quelle aziende erano in una fase di restaurazione o di vendita, ma non perché i loro giornali non generavano utili”, scrive Edge, “questo era dovuto invece al fatto che le aziende siano state imprudenti nell’accollarsi così tanto debito per finanziare le espansioni”.
Secondo Edge serve cautela nell’estrapolare risultati al di là del focus sulle aziende mediatiche che sono quotate in borsa, anche se conglomerati di diversa estrazione, come le private company, devono competere in “mercati identici con prodotti identici”. L’autore dello studio, inoltre, fa notare come negli Usa, i giornali facciano genericamente maggior affidamento alla pubblicità che in qualsiasi altro paese, un aspetto che li ha resi particolarmente vulnerabili al cospetto della recessione.
Questi punti saldi, comunque, non fermano Edge nel dichiarare che certe previsioni erano sbagliate: “sembra che il business model di questi giornali funzioni ancora”, conclude Edge, “potrebbe anzi essere più robusto di quanto si potrebbe sospettare perché può essere scalabile o ridimensionato. Una diminuzione nei ricavi può infatti essere contrastata facilmente sbucciando le spese, anche se a costo della perdita di posti di lavoro e di giornalismo”.
Lo studio “Newspapers’ Annual Reports Show Chains Profitable” è stato pubblicato in Newspaper Research Journal, Vol. 35, No. 4.
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