I risultati del rapporto 2010 sullo stato dei media americani pubblicato dal Project for Excellence in Journalism del Pew Research Center
Nel corso del 2009 i ricavi pubblicitari dei giornali, incluso l’online, sono diminuiti del 29% e nel triennio 2006-2009 la perdita ha superato il 40%. Nonostante i continui e progressivi investimenti sulla componente online e nonostante la preoccupante disaffezione dei lettori dal giornale tradizionale (- 16,9% di copie diffuse negli ultimi tre anni) è sempre e comunque la carta e rappresentare il vero motore economico del sistema editoriale: il 90% dei ricavi è infatti tuttora generato dal media tradizionale. Il problema, quindi, è riuscire a gestire un sistema editoriale più complesso e oneroso rispetto al passato – carta e online – con risorse finanziarie e operative drammaticamente più esigue.
Durante l’ultimo anno molti gruppi editoriali hanno varato misure estreme per contrastare i fenomeni negativi in atto: riducendo formati e foliazioni, limitando la produzione delle notizie più costose e attivando pesanti ristrutturazioni. Non a caso la spesa di redazione rispetto al 2006 si stima abbia subito una contrazione del 30% circa, equivalente a 1,6 miliardi di dollari, attestandosi a complessivi 4,4 miliardi. Tagli di spesa che si sono tradotti in una diminuzione del numero di giornalisti occupati a tempo pieno: negli ultimi tre anni sono stati cancellati 15 mila posti di lavoro pari a una contrazione complessiva delle redazioni del 27%. Altri tagli sono attesi per il 2010.
Nel frattempo il rapporto tra cittadini e media è in continuo e progressivo cambiamento. La lettura del giornale cartaceo è un’abitudine per certi versi superata, in particolare tra il pubblico più giovane. Ma riuscire a cavalcare con successo l’onda di internet è tutt’altro che semplice. Il click sulla notizia è determinato in larga misura dall’interesse sul singolo argomento e avviene attraverso una dinamica imposta dai motori di ricerca come Google. Conta di più la notizia, non il contenitore. Si tende quindi ad avere un accesso trasversale e atomizzato all’informazione che non determina alcuna monetizzazione rispetto ai contenuti prodotti.
Risulta inoltre contraddetto il luogo comune secondo il quale internet equivalga e una più ampia e diversificata offerta di distribuzione delle notizie. Il rapporto ha estrapolato alcuni dati prodotti da Nielsen ed è arrivato alla conclusione che l’80% del traffico generato dalle notizie è monopolizzato da pochi e grandi gruppi di informazione.
Per Clay Shirky, della New York University, la fotografia scattata dal Pew Research è la conseguenza di un processo di distruzione creativo. Ma fino a questo momento la perdita di valore causata dal processo di distruzione dei vecchi media non è stata compensata dal valore generato dal processo creativo e di innovazione che ha avuto luogo sui nuovi media. Il bilancio è negativo. E le futuristiche previsioni che immaginavano un costante aumento della pubblicità digitale non si è avverato: nel 2009 gli investimenti sulla componente online dei giornali hanno subito un calo del 10%. Fenomeno esclusivamente recessivo o un’indicazione della debolezza del sistema editoriale nel proporre un’offerta coerente con le esigenze del mondo pubblicitario? A questo proposito il rapporto rivela che il 79% degli utenti che accedono a siti di news online molto raramente si dimostra interessato a cliccare su un annuncio pubblicitario per ottenere maggiori informazioni.
In questo momento il problema dei giornali che hanno consolidato la propria presenza su internet non è incrementare il numero di accessi, ma migliorare il tempo di lettura medio dei visitatori così come il numero di pagine accedute. Il fatto di avere accessi che si risolvono in una manciata di minuti al mese di permanenza sul sito ha poco o nulla valore in termini pubblicitari. Con gli attuali numeri raggiunti dai siti dei giornali online – afferma Ken Doctor del Poynter Institute – un moderato aumento o decremento del traffico non causerebbe alcuna conseguenza. In questo senso può essere spiegato il tentativo da parte di più giornali, in primis il New York Times, di introdurre un sistema a pagamento che punti alla generazione di nuovo valore senza compromettere il volume del traffico sinora acquisito.
Come risponde in generale il mondo del giornalismo a questa pessima situazione? Maggiore focalizzazione, specificità di contenuti, redazioni flessibili e snelle. L’informazione generalista soccombe di fronte alle nuove dinamiche di consumo determinate da internet. Nuovi e vecchi media si confrontano con lo stesso identico problema, un modello di business che vada oltre la formula della pubblicità convenzionale.
Non è un problema esclusivo dei sistemi editoriali ereditati dal passato. Creare un progetto from scratch archiviando definitivamente la carta e puntando esclusivamente sul web non determina di per sé la soluzione. I migliori siti di informazione che operano esclusivamente online hanno forti limitazioni nel produrre contenuti originali. Basti pensare che le formule di maggiore successo nate negli ultimi anni, vedi Huffington Post o Drudge Report, basano il proprio contenuto su una logica da aggregatore e blogger, rifacendosi a quanto prodotto da media tradizionali.
Una prova di quanto appena detto arriva dall’indagine promossa dal Pew Research che analizzando più di un milione di blog e siti di social media, ha verificato che l’80% dei link fa riferimento a media tradizionali americani.
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