Dentro la crisi di credibilità dei media europei

24 Novembre 2015 • Etica e Qualità • by

Kate Ter Haar / Flickr CC

Kate Ter Haar / Flickr CC

Lasciate che vi riporti al 3 dicembre 2013: Alan Rusbridger, allora Direttore del Guardian, testimonia davanti alla Commissione affari interni del Parlamento inglese in quella che sarebbe diventato un teso interrogatorio sulla decisione del suo giornale di pubblicare i documenti top-secret della NSA fatti trapelare dal whistleblower Edward Snowden. Rusbridger parlava a voce bassa. Anche se a volte disordinato, il suo messaggio era molto chiaro: i giornalisti del Guardian avevano meticolosamente verificato il materiale confidenziale che avevano ricevuto da Snowden, avevano rimosso tutti i nomi contenuti nei documenti e chiesto consulto a esperti del settore.

Solo dopo queste precauzioni il giornale aveva iniziato a pubblicare le notizie: non contro la democrazia, ma per promuoverla. In un paese democratico con libertà di stampa, aveva detto Rusbridger, i giornalisti hanno l’obbligo di rivelare pratiche sinistre di questo genere per servire l’interesse pubblico. La Commissione non aveva presentato contro-argomenti convincenti. All’epoca, ormai due anni fa, il Guardian aveva già pubblicato numerosi articoli investigativi grazie ai materiali forniti dalla sua fonte e questo aveva contribuito positivamente alla reputazione e all’immagine del giornale. Nell’anno delle rivelazioni di Edward Snowden, infatti, gli inglesi consideravano il Guardian come “il giornale più affidabile, preciso e degno di fiducia del Regno Unito”.

Queste sono le buone notizie. Qui, invece, iniziano quelle un po’ meno buone: persino il Guardian sta perdendo lettori. La versione cartacea del quotidiano, come anche il suo sito, stanno lavorando in perdita e la situazione sta pure peggiorando. Le inchieste dei giornalisti del Guardian sono possibili soltanto perché il proprietario del quotidiano, lo Scott Trust, contribuisce con 50 milioni di sterline all’anno al sostegno delle altrimenti deboli finanze del giornale. In quali altri paesi è possibile una cosa del genere? In effetti, la situazione del giornalismo in Europa è piuttosto fosca: oltre ai noti problemi economici, nei Paesi occidentali del continente il giornalismo sta soffrendo anche di una pesante “crisi di credibilità”. Dal mio punto di vista, le ragioni si possono ritrovare in 5 tesi differenti, eccole nell’ordine.

Tesi 1:
Declino della capacità di ricerca
Cosa rende il giornalismo credibile? Tutti ne conoscono le caratteristiche fondanti: deve essere indipendente, richiede ricerca continua e, in relazione alle persone coinvolte, deve agire con responsabilità. Il giornalismo credibile non è sempre libero, anche perché gli editori, quando vedono diminuire i loro profitti, tagliano i fondi a disposizione delle redazioni. In Germania, ad esempio, quasi tutte le testate stanno riducendo il personale, mentre nei quotidiani sono troppo poche le persone disponibili per l’output richiesto. La maggior parte dei giornalisti non può essere considerata totalmente responsabile di ciò che pubblica, perché non sa se quello che esce sia vero oppure no, perché una verifica davvero precisa è difficile da ottenere in queste circostanze. Per questo motivo molti giornalisti preferiscono attenersi alle versioni ufficiali, senza andare oltre.

Tesi 2:
Mancanza di professionalità
Questo punto ci conduce alla mia seconda tesi, che tratta della professionalità delle aziende mediatiche. In Germania, ci sono molte redazioni dove, soprattutto gli editor più giovani, hanno poche nozioni di cosa significhi realmente ricerca giornalistica. Cercano su Google, cliccano sui primi cinque risultati e chiamano questo “ricerca”. La reale verifica delle fonti, la ricerca attiva di informatori, o l’attività investigativa sono diventate una rara eccezione. Molte redazioni pubblicano qualsiasi cosa provenga dalle agenzie di marketing o dagli spin doctor aziendali o politici. Non si rendono nemmeno conto che in questo modo stanno facendo pubbliche relazioni invece che giornalismo. Il problema è che le porzioni di lettori o spettatori più intelligenti se ne accorgono eccome e non prendono più sul serio questo tipo di giornalismo, velocizzando di conseguenza la spirale verso il declino.

Tesi 3:
La corsa agli introiti pubblicitari
Consideriamo ora i media online: hanno regalato tutti i loro contenuti giornalistici gratuitamente. Di conseguenza, hanno bisogno di “portata” al fine di generare più introiti dalla pubblicità. Guidati dalla necessità di un numero alto di click, visualizzazioni e utenti unici, le testate competono per l’attenzione dei lettori, cercando di essere più veloci e più visibili degli altri. Modelli di questo approccio sviluppo sono BuzzFeed e, in Germania, il blog heftig.de. Presentati grossolanamente, scoop irrilevanti vengono sempre più spesso pubblicati con la sola intenzione di ottenere un clic da parte degli utenti. A questa pratica ne è connessa un’altra: la raccolta di dati al fine della profilazione degli utenti e la successiva venduta ad aziende pubblicitarie. Questo trend si sta propagando velocemente anche nel giornalismo e molti siti news con ampia portata pubblicano pezzi di notizie frivole e fingendo che sia giornalismo. Il risultato è che stiamo producendo una nuova generazione di persone che credono che il giornalismo non sia altro che generare intrattenimento.

Tesi 4:
Troppe opinioni, troppi pochi fatti
Qui subentrano media d’élite, i cosiddetti opinion leader: i più grandi organi di stampa si stanno accorgendo di non riuscire a raggiungere il pubblico più giovane. Questo accade perché i giovani adulti e i millennials con un alto grado di istruzione cercano le notizie per conto loro tramite Facebook, Google o altri aggregatori. A mio avviso è tragico che i i media un tempo considerati leader traggano conclusioni sbagliate da questi trend. Non fa differenza prendere grandi giornali come la Bild-Zeitung, Der Spiegel, la Frankfurter Allgemeine, la Sueddeutsche, o uno dei giornali regionali: qualsiasi cosa succeda nel mondo è immediatamente ripresa per lo più in emozionanti articoli d’opinione dedicati a cosa potrebbe essere la causa scaturente.

Ovviamente, i direttori credono di dover subito produrre commenti concernenti gli eventi, persino quando i fatti ancora sono poco chiari o contraddittori. Alcuni esempi noti sono la crisi in Ucraina, la catastrofe del volo Germanwings, il conflitto in Iran e, il più recente, l’afflusso di migranti con la nuova espressione tedesca di Willkommenskultur. Apparentemente, molte redazioni hanno dimenticato il loro principio cardine per il quale “i commenti sono liberi, ma i fatti sono sacri”. E prima di tutto bisognerebbe tornare a conoscere bene i fatti. Tra l’altro, è stato Charles Prestwich, famoso direttore del Guardian nel diciannovesimo secolo, a coniare questa frase. Oggi, molte persone diffidano dei media perché, invece di ricevere informazioni neutrali, si ritrovano a leggere troppi commenti e troppe opinioni. Chi ha opinioni politiche divergenti da quelle dei giornalisti d’élite, poi, non a caso, è particolarmente scontento del servizio che riceve.

Tesi 5:
Poca diversità nel mainstream
Troppo spesso, inoltre, i maggiori organi di stampa pubblicano interpretazioni più o meno identiche su cosa sia politicamente, economicamente e culturalmente desiderabile. Sia nella scelta dei temi, nei titoli, negli editoriali, nelle interviste con gli “esperti”, nelle discussioni dei talk show o nei punti focali delle emissioni televisive, il materiale messo a disposizione da parte delle testate mainstream è spesso molto simile. Questo è, ad esempio, molto chiaro nel contesto tedesco perché non è la prima volta che la Germania, ad esempio, è governata da una coalizione di diversi partiti politici. Per questo motivo, le distinzioni tra la posizione liberale di sinistra e quella più conservatrice di destra sono sempre più sfumate.

Di conseguenza, i gruppi minoritari percepiscono il punto di vista dei media mainstream come arrogante, in particolare coloro che si vedono come vittime del processo di cambiamento sociale. I media mainstream sostanzialmente non discutono o riflettono i bisogni, le preoccupazioni e le paure di questi gruppi. Ormai la frattura tra l’ipocrisia mainstream e i gruppi ai margini della società si è fatta ampia e profonda: per molti i media mainstream sono diventati soltanto dei portavoce del “sistema” ed è per questo che li chiamano Systemmedien (“media del sistema”) e manifestano contro la Lügenpresse (“stampa della menzogna”).

Volkswagen e oltre: cosa fare con il giornalismo confuso?
Un esempio che vorrei brevemente menzionare prima di finire è quello del “Dieselgate” del gruppo Volkswagen. Gli esperti di automobili sapevano almento dal 2012 che c’era qualcosa di marcio dietro ai valori delle emissioni dei motori diesel della casa tedesca. Nel giugno del 2014, ad esempio, l’istituto di ricerca indipendente berlinese International Council for Clean Transportation (Icct) aveva già informato la popolazione tedesca di come i valori delle emissioni dei motori diesel di Volkswagen eccedessero ampiamente i limiti legali. Verso la fine di settembre 2014, 43 siti di news tedeschi hanno pubblicato un articolo basato sullo stesso comunicato stampa. Der Spiegel, ad esempio, aveva optato per il titolo piuttosto innocuo “Produttori di automobili truffano i test d’emissioni” (“Autobauer schummeln bei Angabe von Abgaswerten”). E questo era tutto.

Non una sola testata o agenzia di news aveva ripreso il tema al fine di condurre un’indagine approfondita. Vi chiedete ancora come mai i maggiori organi di stampa hanno semplicemente ignorato il tema? Non sono i fatti ad essere sacri, ma le macchine tedesche. Dieci mesi dopo, le autorità statunitensi hanno agito contro Volkswagen, basandosi proprio sugli stessi dati dell’Icct. Da quel momento, tra i principali media tedeschi è iniziata una guerra per pubblicare i commenti più brillanti riguardo al disastro causato dalle capacità ingegneristiche della Germania. Mi chiedo come avrebbe gestito il Guardian una situazione del genere se fosse accaduta in Gran Bretagna. Sono preoccupato, perché alcuni colleghi britannici mi hanno raccontato che anche la credibilità del Guardian sta diminuendo. Cosa dovremmo fare con questo giornalismo confuso?

Questo articolo è tratto dal keynote tenuto all’ultima conferenza dell’European Centre for Press and Media Freedom. Traduzione a cura di Georgia Ertz

Articolo modificato il 24/11 alle 13.00 per un’errata traduzione del termine inglese “editor”