Donne e Media, i materiali di un incontro alla Sapienza

1 Dicembre 2011 • Etica e Qualità, Giornalismo sui Media • by

EJO via LSDI, articolo a cura di Marco Renzi 

Pubblichiamo qui di seguito l’articolo di Marco Renzi uscito oggi su LSDI, Libertà di stampa Diritto all’informazione,  autorevole sito italiano che si occupa di tematiche relative al giornalismo, ai media e all’informazione. 

La disparità fra uomini e donne si conferma molto alta. Passi avanti sono stati fatti, ma il nostro Paese negli ultimi 15 anni, con il “berlusconismo” ha vissuto un periodo fortemente negativo.
Il ruolo della donna nella nostra società e in particolare quello raccontato dai media, è ancora un ruolo marginale, spesso limitato all’ apparire e non all’ essere, privilegiando la forma sulla sostanza. E alcune posizioni intransigenti del neo femminismo, tornato prepotentemente in auge negli ultimi anni, non aiutano, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, ad elevare l’ immagine della donna.

Questi alcuni degli spunti emersi nel corso del convegno “Donne e media, riflessioni sul ruolo della donna nell’immaginario collettivo” organizzato dall’ Associazione Pulitzer in collaborazione con Lsdi, il dipartimento Digilab dell’università La Sapienza, e il patrocinio della Fnsi, il 25 novembre scorso nell’ambito della “Giornata mondiale contro la violenza sulle donne” presso la sala Odeion della facoltà di Lettere e Filosofia dell’università La Sapienza di Roma. Pubblichiamo qui i video con la sintesi degli interventi.

Al 74° posto

Natascha Fioretti, Associazione Pulitzer, moderatrice:

”L’Italia occupa il 74° posto  nella  classifica del “Global gender gap report” redatta ogni anno   per conto del  World Economic Forum  e che illustra lo stato della disparità nei rapporti uomo/donna   in 135 paesi diversi.  Negli ultimi anni la situazione delle donne italiane è cambiata in peggio  e il nostro Paese ha perso 7 posti in classifica passando dal 67° posto del 2008  al 74° posto attuale.

Ci piazziamo dopo paesi come la Slovenia, la Bulgaria e la Romania, il Marocco, l’ Oman, la Costa d’ Avorio  e siamo lontanissimi dai paesi in vetta a questa speciale  classifica quali l’ Islanda, la Norvegia, la Finlandia, la Svezia e l’ Irlanda.

Quando ci saranno anche da noi le condizioni per poter avere un primo ministro donna come già accade in Germania o in Danimarca? Da dove poter iniziare? Noi dell’Associazione Pulitzer siamo convinti che il primo passo si debba fare attraverso i media, perché i media oggi sono lo specchio della società. Sono la fonte di informazione prevalente, sono la fonte dalla quale si forma l’ opinione pubblica, l’ opinione della gente ora. Da troppo tempo i media presentano un’ immagine della donna a due facce: quella della pornostar e quella della vittima. Non vengono proposti modelli alternativi e soprattutto positivi  di donne che si impegnano nel sociale, in politica, nelle professioni.

Secondo la ricerca del Censis del 2006 “Woman and media Europe”: la donna  in tv e nei media è nel 42,8% dei casi  velina, per il 42% vittima e  per il 23,8%, dunque raramente,  esperta e competente.  Nei programmi di intrattenimento  sono gli uomini a condurre nel 58,1% dei casi, nei programmi di approfondimento giornalistico gli uomini conducono nel 63,1% dei casi.

Secondo un’ altra ricerca,  denominata Global media Monitoring Project ed eseguita sui media di 127 paesi del mondo per analizzare in che modo le donne vengono rappresentate dai mezzi di informazione, per l’Italia realizzata dall’Osservatorio di Pavia,

– le donne sono praticamente inesistenti nelle notizie dei media: nelle notizie di tutto il mondo, 4 persone su 5 (79%) erano uomini e comunque solo il 10% delle notizie aveva come personaggio principale una donna. Fra i dati relativi all’Italia, emersi dall’edizione GMMP 2005:
la rappresentazione delle donne nelle notizie, come persone protagoniste delle storie raccontate o come persone intervistate a vario titolo, si attesta al 14%; le donne sono incluse soprattutto in articoli o servizi relativi a Criminalità e Violenza; le donne risultano meno rappresentate sotto il profilo professionale o di status sociale rispetto agli uomini; la presenza delle donne giornaliste è paritaria, se non leggermente maggiore; ciononostante il giornalismo femminile non sembra favorire la rappresentazione delle donne.

Nel “The Global Report on the Status of Women in the News Media“, realizzato l’anno scorso dall’ International Women’s Media Federation, su 522 aziende mediatiche osservate in 59 paesi del mondo che danno lavoro a 170.000 persone di cui solo 1/3 sono donne. E’ il momento di chiedere un cambiamento che deve partire dalle radici della società ma che deve essere  anche essere supportato, promosso e accompagnato dai media. Liberiamo le donne dal legame degli stereotipi di genere pretendendo innanzitutto una nuova, moderna e più rispettosa comunicazione del femminile  che porti ad una ridefinizione dell’immagine della donna e del suo ruolo nella società”.

Corpi (del reato)

Antonella Beccaria, blogger, giornalista e scrittrice, componente della redazione di Lsdi:

“Siamo ad un passo ulteriore, perchè vicende giudiziarie molto recenti, intercettazioni pubblicate, ci raccontano di donne come corpi sì ma del reato. La donna è diventata uno strumento di corruzione, non c’ è più solo la mazzetta in denaro, la vacanza, l’ auto, ma nel pacchetto viene fornita anche la donna.   E in alcune intercettazioni vediamo anche che questi “corpi del reato” sono consapevoli di quello che fanno, si prestano al fenomeno corruttivo così come viene delineato nelle indagini delle procure, sapendo che così  acquisiscono un potere che permetterà loro l’accesso a determinati lavori, e a facili guadagni. Abbiamo poi il fenomeno delle bambine vittime, delle prede.  Per cui che si chiami Yara Gambirasio, Sara Scazzi o Cesaroni, il fenomeno non cambia è sempre una persona  messa in un angolo e non in grado di difendersi. E i processi mediatici cui noi assistiamo  portano anche alla spettacolarizzazione del fatto perfhè l’evento reato come dicono i magistrati   finisce per prendere la prevalenza sulla persona”.

La delegittimazione e il maschiocentrismo

Milly Buonanno, docente universitaria e responsabile scientifico dell’ Osservatorio GEMMA (Gender and Media Matter)

“Questa forte e diffusa campagna contro la sessualizzazione della figura femminile nei media è oggetto di contestazione ed io sono da questa parte. Noi stessi guardiamo il mondo  in generale e i media attraverso schemi che sono stereotipati.

Uno degli stereotipi  è temere che i media ci presentino delle immagini dominanti o prevalenti. Ammesso che questo potesse essere possibile davvero trent’ anni fa quando la mediasfera era qualcosa di molto limitato e non così diffuso e composito come è oggi. Adesso non è così. Il problema delle rappresentazioni sociali,  in particolare delle rappresentazioni dei media nella società contemporanea non è tanto quello dell’ immagine dominante – se ci fosse un’immagine dominante sarebbe facile identificarla e colpirla in qualche modo intellettualmente. Ci sono cose ancora peggiori della sessualizzazione della figura femminile, nel senso che sono ancora più rilevanti. La delegittimazione dell’ autorevolezza e della competenza femminile  è un problema più rilevante più importante che l’esposizione del corpo. Così come l’ insistenza morbosamente voyeouristica sulle sorti di tante giovani e non giovani vittime senza che questo (…).

Così come ci dovrebbe preoccupare il clima generale di totale disimpegno di edonismo in cui è immersa la presenza femminile nei media.

Questa sorta di “brodo di coltura” di assoluta irrilevanza e futilità. Penso che queste siano questioni rilevanti e da inserire in un’agenda delle priorità, delle cose che dovremmo combattere.   Oggi viviamo in un ambiente mediale enormemente dilatato e caotico. Quello che io vedo nei media è una sorta di smembramento, di frantumazione dell’ identità femminile. E non soltanto di quella femminile. Ed è motivo per me  di autentica preoccupazione. Io credo che la situazione, oggi, sia decisamente più problematica rispetto al passato, e non vedo straordinari miglioramenti nel corso di questi decenni. In particolar modo negli ultimi anni io mi sono occupata di fiction e dell’ immagine femminile nella fiction. All’interno delle strutture narrative c’ è sempre, quanto meno un tentativo, di dare ai personaggi femminili maggiore concretezza. La possibilità di delineare profili di donna che sono non così fortemente frantumati, frammentati e smembrati come accade in altri media. La nostra fiction non direi che sia maschilista, ma è sicuramente “maschiocentrica”. Che è una cosa diversa ma non necessariamente migliore.

Vale a dire che rappresenta un mondo al centro del quale ci sono sempre figure maschili, un mondo che è gestito da maschi. Io direi che le donne, i personaggi femminili delle fiction senza essere descritti con particolare misogenia, senza essere personaggi negativi,   sono piatte,  inconsistenti, irrilevanti. La fiction italiana nel corso degli anni è riuscita comunque a creare personaggi di spessore da insediare nell’immaginario collettivo ma tutti maschili. Non esiste un personaggio femminile nella serialità televisiva italiana che rivesta la stessa importanza dei Montalbano o dei Cattani. Per quello che riguarda specificamente le fiction televisive credo che dobbiamo rimproverare ai media  l’incapacità di indagare e di darci un quadro minimamente significativo e realistico della straordinaria complessità della soggettività femminile moderna”.

Il corpo come omologazione delle identità

Giovanna Cosenza, docente di semiotica all’ università di Bologna e blogger:

“Non esiste solo la tv, esiste il cinema, esiste la letteratura, i videogiochi, la pubblicità. Ognuno di questi  ambienti di comunicazione ha proprie specificità. Le donne oggetto non rappresentano le donne italiane. E’ vero che la sessualizzazione della figura femminile anche se attrae l’attenzione non è l’ unico problema. Un altro problema è determinato dalla delegittimazione delle competenze. Il problema è che questa delegittimazione, o buona parte di essa, passa proprio attraverso l’ eccessiva esposizione del corpo. Parlando di frammentazione bisogna fare delle distinzioni. Se per frantumazione si intende varietà, nel senso di tante identità diverse, una  molteplicità di identità nella società, se a questa molteplicità che, grazie a Dio esiste, corrispondesse una molteplicità e una varietà nei media staremo meglio. E’ chiaro che invece se per frantumazione si intende mancanza di rappresentazione di identità complete,  il fatto è negativo.

Però il vero problema, a mio avviso, sta nell’ omologazione delle identità che passa attraverso il corpo. Ed è un processo che si è davvero molto accentuato dalla metà degli anni ‘90 a oggi e in Italia con una specifica accentuazione. L’ influenza dei media sulla società è ovvio che non va banalizzata nel senso di una catena deterministica di causa ed effetto. Non è che se si vede una certa immagine allora per forza ci si trasforma e ci si vuole forgiare per imitare quell’immagine. Gli esseri umani sono più complessi di così, siamo multifattoriali, ci sono un insieme di concause che ci  influenzano e noi a nostra volta  siamo complessi nell’influenzare la realtà  che ci circonda. Credo che forse a questo punto ci sia un poco l’esigenza da parte della riflessione neofemminista che si è sviluppata in Italia in questi ultimi anni, mi viene da dirlo usando una formula “usciamo dal corpo”.

C’è un bisogno di evolvere da questo  perchè altrimenti si gira a vuoto, usciamo da questo corpo, per donne e uomini, nella direzione di cercare quella varietà che i media non ci raccontano non ci restituiscono, ma che è ben presente nella società. Tanto si è fatto in Italia per alimentare questo risveglio neo/post femminista, in rete e fuori, le manifestazioni di piazza, un pullulare di cose che deve trovare il modo di convergere e non frammentarsi. Usciamo dal corpo perchè concentrarsi troppo sul corpo femminile ci distoglie da altri problemi, dal cogliere che c’è molto altro sia per le donne che per gli uomini “.

Donne contro donne?

Loredana Lipperini, giornalista, scrittrice e condutrice del programma radiofonico di Radio Tre Rai “Fahrenheit” ha raccontato un episodio accaduto pochi minuti prima del convegno mente conduceva la puntata del suo programma radiofonico dedicata proprio alla “Giornata mondiale contro la violenza sulle donne”:

“Ore 16,  ospite del programma un esponente di Amnesty International, cominciano ad arrivare gli sms in redazione. Primo messaggio ” la colpa della violenza è ovviamente delle donne che si cercano compagni e mariti che le picchiano”; secondo messaggio “la colpa è delle donne in quanto madri perchè educano male i propri figli maschi”; terzo messaggio “perchè non parlate mai della violenza psicologica che le donne esercitano sugli uomini”; quarto “amazzoni…”, e di seguito su questo tono fino a 15 messaggi. Non è arrivato un sms a favore della condizione femminile  in 30 minuti di programma  a fronte dei numeri che sono stati dati: 92 donne uccise in Italia nei primi mesi del 2011, con un aumento del 6% rispetto al 2010, 5 donne al giorno che subiscono violenza in tutta europa.  Questo testimonia a mio avviso che si continua a giudicare le donne per come si vestono e per come sono e non per quello che dicono. A forza di dettagli si costituisce un mosaico e a forza di parole reiterate anche piccole, anche innocenti, si costituisce un immaginario.

Un altro punto dolente del neo femminismo è che ancora contrappone donne e donne, abbiamo le cattive escort e le buonissime che invece escort non sono, le brave ragazze e le cattive ragazze.  Questo senza considerare tutta quell’altra parte di immaginario che agisce nei media e agisce nella letteratura e che sta terribilmente spingendo verso la vecchia immagine della donna: che siano madri e che siano mogli. Questo mettere donna contro donna, è la cosa peggiore che possa essere fatta. C’è una responsabilità pesantissima dei media soprattutto della carta stampata e della pubblicità”.

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