Il fact-checking è da molto tempo parte integrante di una certa tradizione giornalistica. Il dipartimento per la verifica dei fatti del New Yorker, ad esempio, è famosissimo da decenni. L’elezione di Trump e il referendum sulla Brexit, però, hanno contribuito a espandere sensibilmente l’applicazione di questa pratica giornalistica.
In un periodo in cui abbiamo disperatamente bisogno di affrontare il problema del dis- e misinformazione online, il fact-checking sembra un modo di riaffermare l’importanza delle fonti verificabili, oltre che una strategia per ribadire i valori cardine del giornalismo. L’International Fact-Checking Network ha adottato un suo Code of Principles, firmato da una dozzina di organizzazioni da tutto il mondo e numerosi donatori, insieme a Facebook, hanno contribuito a sostenere il Network.
Se il fact-checking sia o meno efficace non è del tutto chiaro, ma tre anni dopo l’espansione di questo movimento globale per la verifica dei fatti, si incominciano a vedere più informazioni e a sentire, direttamente dai fact-checker, cosa vorrebbero che i governi e le piattaforme facessero per rendere il loro lavoro più efficace.
A fine luglio, l’organizzazione britannica Full Fact ha pubblicato un report dettagliando la sua esperienza nel programma di fact-checking di Facebook. Il testo, scritto in modo chiaro e traboccante di raccomandazioni sensibili, chiedeva l’espansione del programma anche a Instagram e che fosse complessivamente raffovrzato. Inoltre, Full Fact chiedeva a Facebook di essere più trasparente su come utilizza le informazioni fornite dai fact-checker, in particolare in un momento in cui l’azienda sta pianificando uno sviluppo maggiore dell’IA come strumento per il vaglio delle informazioni false. Infine, l’organizzazione chiedeva al governo di insistere sulla fornitura di informazioni accurate su temi sensibili come la salute, dove la misinformazione è più che abbondante.
Questa mossa a favore di un’azione più pro-attiva si può vedere anche in una dichiarazione congiunta pubblicata in giugno da Full Fact, il gruppo argentino Chequeado e Africa Check, sulla necessità di sforzarsi a confrontarsi con chi fornisce misinformazione, ad esempio facendo notare ai politici e alle personalità pubbliche quando le loro dichiarazioni sono errate. In sostanza, sostenevano le tre organizzazioni, bisogna guardare oltre il puro debunking.
L’ex Direttore di Africa Check, Peter Cunliffe-Jones, sostiene che chi lavora nelle organizzazioni di fact-checking debba contattare gli ufficiali pubblici per informarli quando comunicano cose inesatte, spingendo anche per avere correzioni pubbliche. Nel 2018, i servizi di polizia del Sud Africa (SAPS) hanno corretto un dataset intero sui crimini commessi quell’anno dopo che Africa Check li contattò per segnalare degli errori nelle statistiche.
In Nigeria, Africa Check sta lavorando con il ministero della salute, rappresentanti dei medici e altre figure del settore per identificare la misinformazione sui temi della salute, capire in che modo danneggia la salute pubblica, e contribuire ad accrescere la consapevolezza del pubblico attorno al problema. Fa tutto parte di quello che loro chiamano, “fact-checking di seconda generazione”: azione, invece che pura educazione.
Come si legge nella dichiarazione:
“Esiste un vecchio slogan tra gli attivisti: educare, scuotere, organizzare. I fact-checker si sono concentrati sull’educazione per molto tempo. In futuro, il nostro lavoro sarà quello di scuotere i nostri lettori frequenti e organizzarci al fine di mettere alla prova chi ha potere e quelle organizzazioni che promuovono la misinformazione in modo irresponsabile”
In Brasile, Claire Wardle, Angela Pimenta e altri hanno condotto una valutazione del lavoro di Comprova, un collettivo di fact-checking formatosi nel 2018 in occasione delle elezioni presidenziali. Giornalisti di diverse testate hanno richiesto dritte e consigli al pubblico e si sono coordinati per verificare i contenuti online e mettere in circolazione il debunking delle informazioni errate.
Finanziato da Facebook e dalla Google News Initiative, il gruppo si è recentemente rinnovato come Comprova 2.0 e sta considerando la possibilità di proseguire il suo lavoro per il resto dell’anno (e oltre), qualora riuscisse a ottenere nuovi finanziamenti. Nel frattempo, molti osservatori sono concordi sul fatto che le piattaforme debbano fornire maggiori dettagli su cosa fanno effettivamente con le informazioni che ottengono e su come far “scalare” i loro sforzi. Sul tema dell’efficacia del fact-checking, ho dedicato di recente un articolo pubblicato da Media Power Monitor.
Articolo tradotto dall’originale inglese
Tags:fact-checking, fake news, Full Fact