“La politica, in Italia, è imperniata sulla corruzione”. Questo assunto, ripetuto come un mantra nei principali canali d’informazione, è diventato ormai una convinzione diffusa nella società italiana. Soprattutto negli ultimi anni, dietro ogni scelta politica aleggia il sospetto di una tangente o di una qualsiasi forma di scambio illecito. Attraverso il nostro studio, pubblicato sulla rivista Problemi dell’Informazione, abbiamo cercato di verificare se questo alto livello di percezione della corruzione sia dovuto, almeno in parte, al modo in cui i media trattano il fenomeno.
Ovviamente non intendiamo affermare che la corruzione è un problema costruito dai media. Basta guardare l’indice stilato ogni anno da Transparency International, i vari report di Eurobarometro, o le numerose ricerche scientifiche che tentano di quantificare il fenomeno per rendersi conto che l’Italia rappresenta un’anomalia tra i paesi occidentali per quanto riguarda il livello di corruzione. Tuttavia, alcune peculiarità strutturali del sistema dei media italiano, stretto tra logiche di commercializzazione e logiche di tipo politico, possono aver causato delle distorsioni nella sua trattazione giornalistica.
Quando trattano di corruzione, i giornali italiani parlano alla “pancia” degli italiani, rafforzando la contrapposizione tra il “cittadino onesto” e le “élite corrotte” che contraddistingue la retorica populista. La copertura giornalistica della corruzione, di fatto, alimenta il cosiddetto “populismo penale”, una strumentalizzazione, talvolta con finalità politiche, dei crimini al fine di veicolare presso l’opinione pubblica paure sociali non sempre fondate. In passato il populismo penale è stato associato a diverse fattispecie di devianza, dalla microcriminalità all’immigrazione clandestina. Dopo un evento particolarmente eclatante, che attira l’attenzione del pubblico, i giornalisti iniziano a concentrarsi su una determinata problematica sociale diffondendo un clima di allarme, anche in assenza di una vera e propria emergenza. Il nostro studio dimostra che il populismo penale, in Italia, ha riguardato anche il tema della corruzione.
L’analisi si è basata su quattro testate nazionali (Corriere della Sera, La Repubblica, Il Giornale e Il Sole 24 Ore), e si è cercato di comprendere come questi giornali hanno affrontato il tema nell’arco di dodici anni (2004 – 2015). In particolare, ci siamo concentrati su tre parametri in grado di dimostrare la presenza di populismo penale: destatisticalizzazione, glamourizzazione e politicizzazione dell’anti-corruzione.
Il primo criterio si riferisce ad un tipo di narrazione che non tiene conto dei dati statistici. È bastato mettere in relazione il numero di articoli pubblicato anno per anno dalle quattro testate analizzate con i dati Istat sul numero di denunce per reati di corruzione per vedere che non c’è corrispondenza tra la mole di articoli e l’effettiva consistenza del fenomeno. Soprattutto tra il 2009 e il 2011 si è assistito ad un incremento notevole degli articoli inerenti la corruzione (si è passati da 2391 articoli nel 2004 a 6775 articoli nel 2010), ma questo non ha trovato riscontro in un aumento dei reati. Anzi, in quegli anni, i casi denunciati hanno fatto registrare una leggera flessione (2565 casi denunciati nel 2009 contro 2453 casi nel 2010). Questo dimostra che i giornalisti non sono influenzati dalla reale entità del fenomeno e non si interessano in maniera bilanciata di tutti i casi di corruzione. I giornali vanno alla ricerca del grande scandalo dove è coinvolto un attore politico, drammatizzandolo e talvolta spettacolarizzandolo.
Ed è proprio la spettacolarizzazione a contraddistinguere la glamourizzazione, ovvero il secondo parametro con cui abbiamo cercato di dimostrare la presenza di populismo penale. In un mercato competitivo dell’informazione, le notizie di corruzione devono scioccare il pubblico, indignarlo o talvolta intrattenerlo al fine di aumentare la loro appetibilità sul mercato. Proprio per questo i singoli episodi vengono trasformati in storie, che semplificano la vicenda, ma allo stesso tempo la trivializzano. Il racconto della corruzione diventa un melodramma, con un protagonista ben riconoscibile su cui catalizzare la riprovazione sociale.
Questo protagonista, nella maggior parte degli articoli esaminati, è un politico che si fa corrompere, scelto perché più conosciuto al grande pubblico rispetto ad un anonimo privato che corrompe, e quindi più interessante per i lettori. Attraverso l’analisi del contenuto è stato possibile verificare che, nel 49,4% degli articoli analizzati, l’attore principale era il soggetto politico. Molto meno trattata invece la dimensione “privata” della corruzione: banchieri e dirigenti d’azienda erano la seconda tipologia di attore maggiormente citata, ma con solo il 13,2% di articoli. Questo tipo di narrazione, quindi, è in grado di produrre un vero e proprio processo di stigmatizzazione e degradazione nei confronti dell’attore politico.
La riprovazione prodotta dalla copertura giornalistica, inoltre, non è generalizzata o condivisa dalle varie testate. La terza evidenza del nostro studio è che gli attacchi nei confronti dei politici corrotti rispecchiano la partigianeria del sistema dei media italiano. L’esempio più lampante emerge dall’analisi del coverage di La Repubblica. Il principale quotidiano di centro-sinistra italiano infatti, tra il 2009 e il 2011, periodo in cui erano emersi diversi scandali riguardanti Berlusconi e la fazione di centro-destra, ha fatto registrare 6215 articoli contro 4467 del Corriere della Sera, 2972 del Giornale e 2781 del Sole 24 Ore.
Ma oltre al mero numero di articoli, cambia anche il tono in cui i vari quotidiani trattano il fenomeno della corruzione, in base all’orientamento politico del soggetto coinvolto. In altre parole si assiste ad una politicizzazione dell’anti-corruzione: i tentativi di sanzionare la corruzione da parte della magistratura o delle forze dell’ordine non sono accettati e sostenuti in maniera unanime, ma vengono interpretati in base alla collocazione politica del quotidiano. Le inchieste, le sentenze e le relative condanne diventano materia di scontro politico. Le influenze politiche nel sistema dei media italiano, almeno nei confronti di alcuni tipi di testata, sono ancora forti. E le varie fazioni politiche trovano nei giornali un importante alleato nell’atto di strumentalizzare uno scandalo di corruzione.
In sintesi, non sempre c’è corrispondenza tra la reale entità della corruzione e la sua rappresentazione nei quotidiani. La copertura giornalistica risulta influenzata più che altro da specifici casi particolarmente eclatanti, in grado di attirare l’attenzione dei lettori. Questi casi rimangono sulle prime pagine dei giornali per più giorni e sono oggetto di approfondimenti con i contributi più diversi. Ma soprattutto i grandi scandali attirano l’attenzione dell’opinione pubblica sul tema della corruzione politica e catalizzano la riprovazione nei confronti della classe politica corrotta.
Una retorica populista che non contribuisce né a dare una corretta rappresentazione del fenomeno, né tantomeno ad implementare azioni volte a contrastarlo. Da una parte perché l’opinione pubblica tende a considerare soltanto una parte del problema, quello dei politici corrotti, sottostimando altri aspetti che possono essere altrettanto importanti. Ma soprattutto perché i continui attacchi partigiani ad esponenti politici, talvolta di destra talvolta di sinistra, possono degenerare in un sentimento di sfiducia generalizzata nei confronti della politica. Si diffonde così la convinzione che ogni aspetto che riguarda la politica è imperniato sul malaffare e non merita un’eccessiva mobilitazione, alimentando di fatto la natura sistemica della corruzione.
Questo articolo è tratto da un paper pubblicato sul numero 2/2017 del journal Problemi dell’Informazione, partner dell’Osservatorio europeo di giornalismo
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