Fare informazione è costruire conoscenza

13 Settembre 2012 • Editoria, Etica e Qualità • by

L’Aquila, una città che a distanza di tre anni porta ancora i segni profondi del terremoto, fa da sfondo all’intervista che Maso Notarianni ha rilasciato all’EJO. L’occasione è stata l’undicesimo incontro nazionale di Emergency; tre giorni di conferenze, dibattiti e spettacoli per parlare di diritti disattesi in Italia e nel mondo, organizzata nel capoluogo abruzzese, proprio in quella piazza del Duomo addormentata tra rabbia e depressione. Notarianni è stato condirettore, insieme a Gianni Mura, di “E-Il mensile”, rivista di Emergency nata poco più di un anno fa e del sito “Peacereporter”, nato nel 2003. Entrambi hanno chiuso i battenti questa estate, lasciando così un buco importante nell’informazione italiana.

Perdiamo un pezzo fondamentale di controinformazione, avete cambiato i tradizionali criteri di selezione delle notizie e contribuito a modificare il modo di fare informazione in Italia. Perchè chiudere sia il cartaceo che il sito internet?

“Non amo definirla controinformazione, è informazione come secondo noi andrebbe fatta anche sui mainstream. In dieci anni di Peacereporter sono convinto che siamo riusciti anche a modificare il modo di fare informazione in Italia, perché quando abbiamo cominciato certi temi non erano nell’agenda dei grandi giornali. Un certo modo di raccontare la realtà andando a cercare le storie delle persone e non tanto i giochi geopolitici, raccontare storie concrete. Vedere grandi quotidiani avere una rubrica che s’intitola ‘Buone nuove’ mi ha fatto piacere. Poi però non siamo riusciti a stare sul mercato che in Italia è pesantemente drogato. Abbiamo perso la sfida del mercato perché in Italia non è una sfida leale, indipendentemente dal famoso conflitto d’interesse, ci sono case editrici, concessionarie di pubblicità e distributori nelle mani delle stesse e poche persone che fanno cartello e se ne sei fuori non rientri nel loro business. Anche per il sito questo paese è bizzarro, abbiamo un internet ancora lento e lo stesso discorso vale per la pubblicità, on line vale molto di meno. E’ paradossale che una pubblicità sulla carta ha un valore spropositato e quella on line no, nonostante faccia molti contatti e sia attiva”.

La mancanza di alcune notizie nei media italiani dipende: da una mancanza di strumenti, di capacità o di libertà dei media stessi, di chi ci lavora o del sistema in generale?

“Credo sia una mancanza di strumenti culturali, in Italia non c’è un problema di censura, se vuoi sapere le cose riesci a conoscerle. C’è un problema di linguaggio, la notizia la puoi dare in tanti modi diversi e secondo come la dai ha importanza o no, si ferma nella testa della gente o no.  Quelle news di cui ci occupavamo noi in Italia c’erano ma erano date in modo tale da non fermarsi nella testa della gente, e non diventavano di conseguenza cultura e consapevolezza. Basta vedere l’11 settembre, o tutti gli altri 11 settembre che ci sono nel mondo, è stato raccontato in modo che diventasse parte della nostra storia, ed è giusto perché è stato un fatto drammaticamente importante. Tante cose altrettanto drammatiche accadono anche per diretta azione nostra (vedi Afghanistan) ma vengono date solo come notizie in cifre (numero di morti), in modo da non costruire una conoscenza. Noi invece cercavamo di raccontare queste cose dando un nome, un volto, una storia”.

La sostenibilità dell’attuale sistema dell’informazione italiano sembra poggiare sul lavoro non retribuito. Quanto è vero secondo te?

“Abbiamo chiuso anche per questo motivo. Abbiamo assunto e pagato, e per questo non abbiamo retto. Non so come se ne esce da questa situazione, sono convinto però che i giornalisti costino troppo e alcuni (come quelli che lavorano per i grandi editori) hanno troppi privilegi. Per troppi anni i giornalisti si sono occupati di difendere il loro giardino piuttosto che il loro mestiere”.

 Quale etica deve seguire un giornalista quando si occupa di guerra e di emergenza umanitaria?

“Il giornalismo neutrale non esiste, quello anglosassone è un mito. Quando filtri la realtà e la racconti, con qualsiasi strumento voce, video, immagini, in qualche modo la interpreti. Bisogna essere sempre consapevoli di questo potere e cercare di capire le ragioni di tutte le parti in causa ed essere onesti. Quella del giornalismo è l’etica che dovrebbe esserci in tutti i lavori”.

Quanto può aiutare la corretta informazione in guerra e dall’altra parte quanto e come una informazione distorta può ostacolare un processo di pace?

“L’informazione è fondamentale in guerra. Nella seconda guerra mondiale c’era stato tanto sforzo nella produzione bellica quanto nella propaganda, ed oggi è la stessa cosa solo che ce ne rendiamo meno conto. Se si facesse corretta informazione sulla guerra, senza prestarsi ai giochi di propaganda questa scomparirebbe dalla faccia della terra e succederà prima o poi. Io sono stato più volte in Afghanistan, Congo, Iraq e di queste esperienze mi porto la consapevolezza che quello che ci raccontano non corrisponde alla realtà. Io non sono ideologicamente pacifista, penso che la guerra sia uno strumento arcaico. Se la guerra è quella cosa che dovrebbe servire per pacificare e portare la democrazia allora è come se noi andassimo ad accendere una cucina moderna elettrica, con i fornelli al quarzo con l’aiuto di due pietre che fanno la scintilla. Costa uno sproposito di quattrini farla, se si spendesse un decimo di quei soldi per far crescere e costruire un paese come l’Afghanistan, i talebani sparirebbero. Con un cacciabombardiere ci si potrebbero fare cento scuole. E’ così che si costruisce davvero la pace”.

Visto che sei stato uno dei primi a puntare sull’informazione on line, dieci anni fa con Peacereporter, quali consigli daresti ai neofiti del giornalismo 2.0?

“Il web è uno strumento molto potente, il mio consiglio è solo quello di guardarsi allo specchio tutte le mattine e chiedersi ‘la sto facendo giusta o no?’. Ci vuole tanto coraggio e tanta pazienza proprio perché la situazione in Italia più che altrove è difficile. Qui c’è una connivenza tra poteri, alla casta della politica corrisponde una casta dell’informazione, le due vanno a braccetto, non esisterebbe l’una senza l’altra. Pazienza, coraggio, onestà ed etica sono le caratteristiche a cui bisognerebbe tendere. Il problema è che in questo difficile momento di transizione il “tutto gratis” sul web è un modello che inizia a presentare crepe e scarsa sostenibilità, mentre, dall’altro lato, è ancora difficile che l’utente, almeno in Italia, accetti di pagare i contenuti che trova online. E forse dipende anche dalla scarsa cura che alcuni grandi gruppi editoriali riservano a questi stessi contenuti”.

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