Legge bavaglio: a rischio la libera informazione in rete

5 Ottobre 2011 • Etica e Qualità • by

A distanza di un anno si è tornati a parlare di “legge bavaglio” in Italia in relazione al “ddl intercettazioni” e al comma 29 all’articolo 3 del decreto, contenente le disposizioni relative ai “siti informatici”, noto all’opinione pubblica come “ammazza-blog”. Dopo una prima approvazione alla Camera nel giugno del 2009 il ddl era stato rilasciato dal Senato, anche se con modifiche, l’anno seguente e rimandato alla Camera per una nuova discussione dove, l’argomento non era stato più all’ordine del giorno per un anno intero per via delle criticità dello stesso Berlusconi sulla nuova versione del testo a suo dire “stravolto”. Ora, in concomitanza con l’inasprirsi dello scandalo escort e la susseguente nuova pubblicazione di intercettazioni imbarazzanti che vedono coinvolto il premier, la maggioranza di governo ha calendarizzato nuovamente e in tutta fretta l’iter sul decreto bloccandolo però con un voto di fiducia che lo mette al riparo dalla discussione parlamentare e dagli emendamenti.

Il testo varato nel 2010 presenta disposizioni che restringono le possibilità di utilizzo delle intercettazioni da parte dei magistrati e di pubblicazione sui media introducendo provvedimenti molto restrittivi per i giornalisti e gli editori che rendessero pubblici i tabulati delle telefonate o altri materiali relativi a inchieste in corso: i giornalisti rischiano fino a un mese di carcere e multe fino a 10mila euro mentre gli editori sarebbero responsabili dell’eventuale pubblicazione di “materiale irrilevante” di cui sia stata ordinata la distruzione con pene massime fino a 300mila euro. A detta persino di alcune sigle sindacali della Polizia di Stato, la legge ostacolerebbe le indagini rendendo complesso e svilito l’utilizzo di uno strumento fondamentale per l’attività investigativa, paragonabile a detta del procuratore di Torino Gian Carlo Caselli alle radiografie per i medici. Sul fronte della circolazione delle notizie, invece, Il quotidiano Repubblica ha stilato una lista di rivelazioni recenti attinenti a scandali politici italiani rese note grazie alla pubblicazione delle intercettazioni di cui i cittadini non sarebbero mai venuti a conoscenza se la “legge bavaglio” fosse già in vigore. Il timore di molti osservatori è che il governo, con la scusa di tutelare la privacy voglia in realtà imprimere una stretta alla circolazione di notizie potenzialmente destabilizzanti e imbarazzanti, ferendo il diritto all’informazione.

A spaventare ulteriormente gli addetti ai lavori, tornati in piazza lo scorso giovedì 29 settembre per protestare contro la legge, è la seconda parte del ddl e la sezione direttamente riferita ai “siti informatici” – compresi i blog -, per i quali il ddl introduce l’obbligo di replica, aprendo un nuovo fronte nella disputa sulla libertà della rete.

Il comma 29 dell’articolo 3 del provvedimento infatti prevede “Per i siti informatici, ivi compresi i giornali quotidiani e periodici diffusi per via telematica, le dichiarazioni o le rettifiche sono pubblicate, entro quarantotto ore dalla richiesta, con le stesse caratteristiche grafiche, la stessa metodologia di accesso al sito e la stessa visibilità della notizia cui si riferiscono”. In sostanza chiunque, in maniera fondata o meno, potrà richiedere al gestore di un sito internet (o a un semplice blogger non professionista!) di pubblicare una rettifica entro 48 ore in relazione a un contenuto ritenuto dal soggetto offensivo o illecito. La mancata pubblicazione della rettifica entro i tempi previsti farebbe scattare una sanzione pecuniaria fino a 12mila euro. La legge pone sullo stesso piano i blogger ai grandi siti di informazione dei quotidiani e di grandi gruppi editoriali, bypassando completamente le evidenti differenze strutturali tra i due ambiti e le diverse finalità delle loro pubblicazioni online. Un blogger che si vedesse richiedere una rettifica, in maniera arbitraria da parte di un soggetto, sarà costretto a pubblicare una rettifica per paura di possibili sanzioni, come ha fatto notare Guido Scorza, presidente dell’Istituto per le Politiche dell’Innovazione ed esperto di diritto online. La sostanza della questione si può riassumere con una domanda: quanti blogger sarebbero disposti a far valere il loro di diritto alla libertà di espressione a fronte di 12mila euro di eventuale ammenda qualora non aggiornassero il loro blog per più 48 ore o non venissero a conoscenza di una eventuale richiesta di rettifica inviata via mail?

La rete italiana ha protestato contro questo provvedimento facendo notare come la responsabilità di quanto viene scritto dai blogger comunque non è messa in discussione: l’istituto della vecchia “querela” resta attivo e nessuno si sognerebbe mai di pretenderne l’abolizione, ma la legge, con il suo tono quasi minaccioso, rischia di mettere alle strette la già poco sviluppata rete italica, ingessandone le possibilità di movimento. Stefano Rodotà, giurista ed ex garante della privacy, ha fatto notare come l’equiparazione tra blog e siti professionali sia figlia da un lato di un’esplicita volontà censoria di un mondo, quello della rete, rapsodico e fuori dagli schemi dell’informazione mainstream e dall’altro di una totale estraneità del governo italiano dal mondo di internet, affrontato con superficialità ed ignoranza. Gli esempi di questo pressapochismo sono frequenti e proprio nel corso di un recente dibattito televisivo in relazione proprio alla norma “ammazza-blog” Maurizio Gasparri, ex ministro delle Comunicazioni e membro della maggioranza di governo, ha definito internet in modo piuttosto generico come uno “strumento micidiale”. Il clima pesante attorno a internet in Italia ha però origini più profonde e considerando il comma relativo ai blog del “ddl intercettazioni” insieme alle disposizioni recentemente discusse dall’Agcom sui contenziosi relativi al diritto di copyright in rete lo scenario si fa preoccupante.

Che vi sia in Italia il bisogno di una regolamentazione in materia di intercettazioni, indagini, pubblicazioni e diritto alla privacy non è segreto per nessuno e il dibattito è più vecchio della polemica di questi giorni. Per quanto riguarda le intercettazioni, a rappresentare un’anomalia è però la contiguità tra gli scandali – di ambivalente colore politico – e la conseguente ricerca di strumenti giuridici dai toni repressivi che va a sostituirsi alla normale discussione sui difetti del sistema di rapporti troppo enfatizzati tra informazione e giustizia. Allo stesso modo è evidente come vi sia un gap abnorme tra la rete, la blogosfera e la percezione che di questo mondo ha la politica. Sono più unici che rari i politici italiani in grado di distinguere un blog, da un sito o da Facebook ma per via di questa inadeguatezza non ci si può permettere di mettere a repentaglio i diritti fondamentali della rete libera.

La preoccupazione per le misure in discussione al Parlamento italiano in relazione a questi temi è condivisa anche da molti osservatori stranieri come l‘Economist, il Daily Telegraph, il Times e la BBC, i quali hanno criticato la situazione della giustizia nel nostro paese facendo notare come il ddl potrebbe rallentare le indagini in fatto di mafia, preso comunque atto della ferma e condivisa necessità di regolamentare l’uso delle intercettazioni spesso utilizzate impropriamente. L’azienda di servizio pubblico britannica ha addirittura paventato la possibilità che il decreto possa essere portato davanti alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per i suoi intenti censori.

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