L’indipendenza di Euronews e
il futuro dell’informazione europea

18 Aprile 2012 • Etica e Qualità, Giornalismo sui Media • by

Facendo zapping televisivo sarà capitato a molti di imbattersi in Euronews, il canale di attualità internazionale lanciato nel 1993, a cui sembrano per ora essere affidate le sorti di un eventuale medium europeo. Accanto al ciclo di news che l’emittente manda in onda nelle 24 ore, lo spettatore avrà potuto assistere ad alcuni programmi, come Futuris, Innovation o il nuovissimo On the frontline, scambiandoli per normali reportage giornalistici. Sbagliato. Anche se per scoprirlo bisogna attendere (e saper interpretare) il logo con la bandierina europea nei titoli di coda, questi programmi sono confezionati ad arte per la Commissione europea, a cui costano fino a 25.000 euro ciascuno. Sono insomma dei veri e propri spot pubblicitari mascherati da reportage.

L’investimento della Commissione europea nell’emittente con sede a Lione non è un mistero, soprattutto  per chi gravita attorno alla sfera UE. Negli ultimi anni i fondi stanziati dall’esecutivo UE al canale sono in costante aumento, e, come si legge nel programma del Direttorato Generale per la Comunicazione della Commissione, segnalato dal blog Décrypter la communication européenne. E sono destinati a crescere. Per il 2012 la cifra destinata al confezionamento di programmi ad hoc ammonta a 6,5 milioni di euro, a cui si vanno ad aggiungere altri 12 milioni per lo sviluppo multilingue di Euronews. In totale, secondo la testata specializzata Broadcast Engineering, circa il 25% del bilancio dell’emittente, che è partecipata da 21 emittenti pubbliche europee.

Un investimento giustificato dagli obiettivi strategici della DG Comunicazione, fra cui la necessità delle istituzioni di “assicurarsi nel lungo termine una copertura degli affari europei da una prospettiva europea” e di sviluppare “una sfera pubblica europea”, informando i cittadini delle attività che originano a Bruxelles. In altre parole, di compensare il disinteresse della stampa generalista nei confronti delle tematiche UE, che si è accompagnato negli ultimi anni ad un’emoraggia di corrispondenti dalla capitale europea.

Qualcuno potrebbe obiettare che la copertura stampa della UE non manca, soprattutto in questo momento, con la crisi del debito sovrano, l’euro e le vicende della Grecia. Rimane tuttavia difficile catturare l’interesse dei media su altri ambiti che alla UE interessa comunicare, e che esulano dai momenti cerimoniosi  che coinvolgono i capi degli Stati membri, come i Consigli europei. Ad esempio, è difficile far parlare i media del continente dei progressi fatti in ambito scientifico, grazie ai fondi destinati dalla UE a ricerca e innovazione.

Da qui la necessità di studiare a tavolino programmi come Futuris o Innovation. Ci si potrebbe tuttavia chiedere perché il lancio di Innovation, ad esempio, venga annunciato con un comunicato sul sito della Commissione senza alcun cenno esplicito al rapporto fra l’istituzione ed Euronews. Come se il programma che, secondo la descrizione riportata sul sito della Commissione, “accende i riflettori sulle eccitanti storie di successo della innovazione e ricerca europee”, nascesse per spontanea iniziativa dei giornalisti dell’emittente. Ancora, ci si potrebbe chiedere perché il programma non sia accompagnato, come sarebbe opportuno, da un logo in costante sovraimpressione che segnali che si tratta di informazione sponsorizzata. Stesso discorso per On the frontline, realizzato in partnership con la DG Affari interni, e presentato sul sito di Euronews semplicemente come “programma che punta i riflettori sulle più calde questioni europee per approfondirle a tutto campo”. Ma che fa bella mostra di sè anche sulla home page del sito della DG Affari interni.

Questo mix non sempre trasparente di contenuto sponsorizzato e informazione stride sia con le caratteristiche di indipendenza e imparzialità riportate nella presentazione dell’emittente sul proprio sito, sia con la Carta editoriale allegata al contratto con l’Unione europea, dove Euronews ribadisce la sua fedeltà ai principi di etica giornalistica, anche nello svolgimento dei servizi per la UE. È infatti difficile pensare che uno di questi programmi arrivi a criticare apertamente le istituzioni europee, essendo stati acquistati tramite un contratto uguale a quelli che la Commissione sottoscrive con agenzie di comunicazione per gli eventi, la pubblicità o i video promozionali.

Il fenomeno Euronews risolleva infine il dibattito più ampio sul futuro dell’informazione sull’Unione europea. Il giornalismo che tratta di politiche comunitarie è davvero destinato a sopravvivere solo grazie a sussidi sempre più pesanti? E in questo caso, Euronews è destinata a diventare il canale di servizio pubblico europeo, alla pari di un’emittente statale? Se questa fosse la direzione che si intende imboccare, sarebbe necessario un deciso cambio di formula: come emerge dai commenti dei blogger su Polscieu, occorrerebbe una svolta legislativa a livello europeo che conferisca ad Euronews uno status diverso da quello di strumento promozionale, con uno statuto più forte a tutelare l’indipendenza editoriale dell’emittente. Altrimenti sono a rischio sia la credibilità di Euronews che quella dei suoi committenti.

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