I social media rischiano sempre più di diventare armi di distrazione di massa, feticci della nostra epoca, deviazioni (del giornalismo) dalla realtà. Il monito arriva da una insospettabile, la regina del giornalismo nativo digitale di dimensioni globali, Arianna Huffington. Proprio lei, che ha fondato il suo impero sul sapiente utilizzo di Facebook e Twitter oltre che dei blog, invita a diffidare dei social media.
Succede naturalmente sull’Huffington Post, nella versione americana, l’8 marzo, e rimbalza fino all’edizione francese di tre giorni dopo. “Viralità über Alles: Cosa ci sta costando la feticizzazione dei social media” è un editoriale che fa notizia soprattutto se si considera da chi proviene l’avvertimento, la frenata brusca sul terreno social. Con Facebook e Twitter l’Huffington Post è cresciuto nei numeri e nella qualità: con i post ha seguito le campagne elettorali e ha sfruttato i contributi “dal basso” (vedi alla voce OffTheBus), ha creato interfaccia appositi come HuffPost Social News, ha foraggiato le microcomunità che iniziavano ad aggregarsi attorno alle notizie e alle opinioni. Che digitale e sociale andassero assieme, ancor più nell’esemplare caso Huffington, l’abbiamo già visto su Ejo. E la stessa Arianna Huffington non può negarlo: “Naturalmente, scrivo seduta nella redazione di HuffPost, dove siamo aggressivi quanto tutti gli altri media outlet nello sfruttare i social media. Recentemente, siamo persino stati riconosciuti come una delle tre most viral news sources su Facebook e Twitter”. Ma, spiega la Huffington, “li abbiamo utilizzati per ciò che erano, cioè strumenti”.
Arianna Huffington ci prova comunque, in questa primavera 2012, a sconfessare l’uso dei social media. L’attacco è diretto in particolare ai media tradizionali, a quelli che hanno creduto che i media sociali fossero una bacchetta magica da utilizzare in qualsiasi caso e ad ogni costo. Sotto accusa sono le due presunte conseguenze dell’attaccamento morboso dei media ai colleghi social: anzitutto una innaturale mutazione dei tempi della notizia e l’ossessione per il presente. Poi, l’incapacità dei media di ripristinare una sensata agenda setting, virando principalmente su ciò che fa tendenza su Facebook e Twitter. Succede così che la Huffington, da sempre attenta al gossip, all’intrattenimento e in generale alle soft news, domandi ai colleghi giornalisti se non ci si sta per caso dimenticando di “ciò che per gli americani” conta, cioè la disoccupazione o la casa. “Feticizzare i social media è diventata la principale distrazione, e siamo un Paese che adora venir distratto”, ecco il pericolo del “dar da mangiare alla bestia dei social media”: “comunichiamo senza attenzione a cosa stiamo comunicando”, sostiene la Huffington. E’ davvero la vicinanza all’ecosistema dei social media a determinare il distacco dalla realtà? Inseguendo i post o i tweet, si rincorre un’ossessione? Chiaramente il monito della Huffington va preso per quello che in fondo è, cioè un attacco all’uso degenerato dei media sociali. E questa alterazione si verifica nel momento in cui i media tradizionali, su cui punta il dito l’autrice dell’editoriale, si fanno condizionare e condizionano, insomma in quel frangente del processo editoriale in cui il post o il tweet viene trasformato in notizia.
EVOLUZIONI E MANIPOLAZIONI
E’ su questo anello della catena che bisogna davvero concentrare l’attenzione, perché in questo passaggio si cela la manipolazione della fonte giornalistica. Perlomeno dal punto di osservazione italiano, Facebook e Twitter di per sé si rivelano non di rado uno dei pochi cordoni ombelicali con la realtà diffusa, una finestra aperta su punti di vista scarsamente considerati dai media tradizionali oltre che una rivincita del tempo della realtà su quello condizionato dell’agenda giornalistica. Non sono insomma gli strumenti, ad allontanare dai problemi reali, ma semmai l’uso che se ne fa. Proprio per questo motivo, la parziale sconfessione dei social media da parte di una giornalista ed editrice del calibro e dell’originalità di Huffington è un utile invito alla riflessione.
L’attrazione ossessiva dei media che furono per quelli che saranno non indica necessariamente una consapevolezza nell’uso di questi strumenti, come è possibile osservare anche in Italia. Paginate di carta sono state dedicate alla “scoperta” della terra vergine Facebook , che ha determinato lo stupore dello sguardo, ha suggerito le più svariate osservazioni di stampo antropologico o è stata presa in considerazione perché “fa tendenza”. Ci si chiedeva qualche mese fa come uscire da Facebook, ci si chiede oggi come sono “i ragazzi di Facebook”, con intramezzi sentimentali sui giornali femminili in cui domandarsi “come ci si lascia ai tempi di Facebook”. La seconda fase evolutiva del rapporto carta-post è avvenuta quando il contenuto è entrato nel giornale al posto del contenitore: “cosa si dice su Facebook” oppure “cosa ha dichiarato il politico su Tweet” sono domande che ormai anche i giornali vecchio stampo ci abituano a porci.
Ma la raccolta delle “voci” sui social media, per ciò che concerne i media tradizionali, è soggetta agli stessi rischi di strumenti più consueti, o addirittura li amplifica. L’effetto di realtà che si ottiene con il cosiddetto “vox” in televisione, ovvero quando si raccolgono interviste alla gente comune, è simile a quello determinato dalla citazione di alcune “voci” sui social media: in entrambi i casi, l’espressione degli umori collettivi viene determinata e orientata da chi seleziona le interviste, le “monta” in un video o le costruisce narrativamente su carta. Se Facebook e Twitter forniscono materia prima (giornalisticamente parlando) a portata di click, rifocillando e ringiovanendo almeno in apparenza anche i media tradizionali, ciò non toglie che i meccanismi di selezione e manipolazione meritino attenzione oggi come una volta. E’ nella trasformazione dalla somma di voci individuali alla rappresentazione di una voce collettiva, di una “opinione pubblica”, che si nasconde il passaggio più delicato nell’uso dei nuovi strumenti. Qui interviene la manipolazione giornalistica, qui la “feroce bestia dei social media”, come la chiama Huffington, può fagocitare in un sol boccone tutto il potenziale di innovazione oppure può accelerare l’invecchiamento dei media più anziani favorendo un reale cambiamento.
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