Esistono opportunità e spazi per un’affermazione di iniziative giornalistiche non profit? Il modello americano Spot.us influenza la sperimentazione di possibili alternative
Giornalismo finanziato dai lettori, o crowdfunding, così come definito nella terminologia anglosassone. Sotto l’influenza di alcuni progetti nati negli Stati Uniti, il più noto Spot.us, attività non profit che ha iniziato a operare grazie a generosi finanziamenti della Knight Foundation, anche in Italia nascono le prime iniziative.
Youcapital, nata a marzo 2010 per mano dell’Associazione Culturale Pulitzer, viene definita dai fondatori, Antonio Rossano e Luca Longo, una piattaforma per la gestione, la pubblicazione e la raccolta di fondi per progetti, inchieste giornalistiche ed altre attività nel mondo dell’ informazione e della comunicazione. La piattaforma, secondo le intenzioni dei fondatori ,“consentirà a giornalisti ed operatori del settore di pubblicare progetti, raccogliere adesioni e sostegno, ma soprattutto intercettare il finanziamento proveniente da donazioni ed erogazioni liberali, secondo il modello analogo già sperimentato con successo negli Stati Uniti di Spot.Us”.
Quali possibilità di successo possono avere iniziative di questo tipo? Esiste uno spazio al di fuori dei canali tradizionali per una produzione giornalistica alternativa? La discussione ha da tempo assunto una dimensione internazionale e i pareri, come è facile immaginare, sono contrastanti. Sul sito Lsdi sono state raccolte differenti e autorevoli opinioni. Per Alan D. Mutter il non profit è pura illusione e invita a smettere di “coltivare la fantasia secondo cui i contributi filantropici potrebbero sostituire quel sostegno finanziario che è stato finora assicurato dalle tradizionali aziende editoriali”. Di parere opposto è Leonard Downie, ex direttore generale e vicepresidente del Washington Post, autore insieme a Michael Schudson di The Reconstruction of American Journalism. Downie è convinto che il sostegno alle testate giornalistiche non-profit sia l’ unica strada che possa consentire di colmare il vuoto lasciato dal declino dei media tradizionali. Affermazione, in questo caso, volutamente estrema, ma dettata dalla volontà di ricercare una formula editoriale in grado di contribuire alla creazione di giornalismo di qualità.
L’affermazione di Mutter, sostenuta da un’analisi in rapporto al valore necessario per sostenere o, quanto meno, competere con il volume di investimenti necessario per soddisfare le esigenze del sistema giornalistico attuale – “ci vorrebbero 88 miliardi di dollari – cioè un terzo circa di tutti i 307,7 miliardi di dollari donati complessivamente nel corso del 2008 per sostenere il giornalismo fatto finora dai quotidiani americani” – è fuori luogo. Nessuno pensa che le iniziative non profit possano diventare la soluzione, possono però diventare parte della soluzione e dare un contributo originale al modello di business cui fanno riferimento le organizzazioni editoriali tradizionali.
Tutte le sperimentazioni e tutte le iniziative che sono alimentate dalla volontà di produrre del giornalismo di qualità sono benvenute, soprattutto in questo momento. Certo, se si pensa che negli Stati Uniti le donazioni attualmente elargite ad attività giornalistiche, sono soltanto lo 0,05% della somma complessiva erogata – 307 miliardi – si fa fatica a immaginare che in altre aree geografiche, come per esempio l’Italia, possano decollare iniziative di stile crowdfunding capaci di generare valore di una certa consistenza. Ma, ancora una volta, è utile ribadire che è sbagliato ragionare unicamente in base alla capacità del non profit di rappresentare un’alternativa al giornalismo tradizionale. Mai e poi mai lo potrà essere in termini di volume di notizie generate, mai e poi mai lo potrà essere in termini di valore economico generato. Può però trovare un sua collocazione all’interno dell’ecosistema dell’informazione. Iniziative, anche piccole, sperimentazioni sostenute dal desiderio di andare oltre lo status quo, sono sempre ben accette.
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