La Libia e il conto delle vittime

28 Febbraio 2011 • Giornalismo sui Media • by

Sollevazioni popolari, scontri nelle strade, massacri, stermini. Quali sono le fonti che i giornali utilizzano per comprendere quante siano realmente le persone uccise ad oggi in Libia? Il Financial Times fa riferimento all’organizzazione americana dei diritti civili Human Rights Watch, informazioni basate su testimonianze di medici che operano presso ospedali libici e di persone che hanno preso parte alle proteste. Il New York Times riprende le dichiarazioni del Ministro degli Esteri Fratini, una stima prossima alle 1.000 vittime. Le notizie sono frammentarie. Si hanno testimonianze che riguardano scontri avvenuti in singole aree o città del Paese, ma è complicato mettere insieme cifre realmente affidabili. Nella rete l’affermazione più comune è “migliaia di vittime, altre sono attese”.

Si riportano dichiarazioni spontanee di medici, anonime. E poi ancora 200 morti in Bengasi. 100, 200, 300, più di mille? L’esatto numero delle vittime è ancora sconosciuto. In definitiva guardando alle molte notizie pubblicate online dai più diversi media le cifre più conservative, ma più attendibili, le sole a essere state in qualche modo certificate sono quelle rese disponibili da Human Rights Watch, circa 300 morti registrati dall’organizzazione tra il 17 e il 20 di febbraio mentre International Federation for Human Rights parla di una cifra compresa tra le 300 e 400 vittime (dati aggiornati al 23 febbraio).

Nonostante una certa tendenza della stampa a giocare al rialzo, soprattutto nei titoli, gli articoli apparsi sulla stampa italiana hanno dimostrato una certa cautela cercando di riuscire a dare una rappresentazione il più possibile veritiera. Come scrive Repubblica, “Pochi dubbi che si tratti di una situazione drammatica, ma in Libia all’ottavo giorno di rivolta i contorni esatti della tragedia restano tutti da decifrare. Si va da un bilancio di 10 mila morti e 50 mila feriti annunciato dalla tv Al Arabiya, alle oltre mille vittime certificate come verosimili dal ministro degli Esteri Franco Frattini, passando per una serie di testimonianze di ong e medici al lavoro sul posto che parlano di centinaia e centinaia di caduti”.

La notizia di Al Arabiya, si è rivelata in seguito poco o nulla attendibile. Sayed al Shanuka, cui sono state ascritte le affermazioni, non è un un componente della Corte Penale Internazionale, come testimonia la nota emessa dalla stessa corte: “Various media sources have published information regarding the situation in Libya attributed to Mr Sayed Al Shanuka (or El-Hadi Shallouf), presented as a “member of the International Criminal Court” (ICC). The ICC wishes to clarify that this person is neither a staff member nor a counsel currently practicing before it, and by no means can he speak on behalf of the Court. Any declaration he made is given solely in his personal capacity”.

Smentita che è stata ripresa dal Mattino: “La Corte penale internazionale (Cpi) ha negato che la fonte della tv al Arabiya, che ieri parlava di un bilancio di almeno 10 mila morti e 50 mila feriti, sia un membro della Cpi”. Il Mattino è critico anche sulle immagini di tombe pubblicate da molti quotidiani con la didascalia fosse comuni a Tripoli e tratte dal video reso disponibile da Onedayonearth.org. Innanzitutto – dice sul Mattino Angelo Del Boca, massimo storico del colonialismo italiano ed esperto di Libia – è evidente che non si tratta di fosse comuni…. il luogo non è la spiaggia, ma il cimitero di Tripoli perché si vedono un minareto e varie case che sono le ultime abitazioni della città, proprio dove comincia il cimitero. Eppure Il Fatto titola “In Libia massacro spaventoso: 10 mila morti e 50 mila feriti, fosse comuni a Tripoli”.

Il Corriere si lascia tentare nella titolazione dando credito alle notizie meno affidabili: “A Tripoli si scavano le fosse comuni… Al-Arabiya: 10 mila morti.” Il video di onedeyonearth, riporta la didascalia “Sepolture di massa in Libia” e nell’articolo si accredita Sayed al Shanuka come componente della Corte Penale Internazionale sebbene si scriva che “…si tratta di cifre non verificabili. Come del resto le altre stime, molto più ridotte, di alcune Ong, riportate dalle agenzie internazionali, che riferiscono cifre fra i 600 e i 700 morti….. “

Scrive Tommaso di Francesco sul manifesto.it: “…emerge la disinformazione. Si rende cioè evidente un significativo livello di menzogne da parte dei media ancora una volta embedded: fosse comuni che appaiono, quando in realtà sono fosse individuali; un salto improbabile in 12 ore dalle mille alle diecimila vittime, secondo l’americanissima televisione Al Arabya; flash di foto di corpi senza vita; l’invenzione di un inesistente membro libico della Corte penale internazionale rigorosamente antiregime che moltiplica per 50mila il numero delle vittime e dei feriti”.

Cosa emerge, quindi, da una rapida analisi della copertura mediatica sul numero delle vittime in Libia? Che i giornali, seppur tentati da titolazioni ad effetto, sono riusciti a far emergere la contraddittorietà delle notizie.

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