La sorveglianza del governo minaccia i media polacchi

18 Ottobre 2017 • Libertà di stampa, Più recenti • by

Ania Mendreck / Flickr CC / BY 2.0

Cresce la preoccupazione in Polonia perché le agenzie di intelligence statali potrebbero aver condotto, e forse lo fanno tutt’ora, attività di sorveglianza ai danni dei giornalisti, un’ipotesi che potrebbe avere un effetto inibitorio sui media polacchi, segnalano gli esperti. Alcuni reporter stanno adottando strumenti e pratiche per migliorare la loro cybersecurity, ma non esistono leggi che li proteggano dalla sorveglianza illegale e la prospettiva di un miglioramento nella legislazione corrente, che possa prevenire la sorveglianza incontrollata e assicurare la libertà dei media, sembra lontana.

Le prove di un monitoraggio diretto dello stato ai danni dei giornalisti polacchi sono scarse e non c’è praticamente nessun tipo di accordo sull’argomento, neanche sul fatto che spiare chi fa informazione sia effettivamente illegittimo. Questa incertezza è in parte dovuta alla profonda polarizzazione politica che domina il dibattito pubblico polacco. Da quando è salito al potere, nell’ottobre 2015, il partito di estrema destra Legge e Giustizia (PiS) ha promulgato una serie di riforme radicali delle istituzioni, inclusa quella con cui il partito di governo si è assicurato il controllo sulle emittenti di servizio pubblico che, a detta di PiS, erano politicamente schierate. Come conseguenza, molte aziende mediatiche private si sono velocemente posizionate come sostenitrici convinte o critiche ferventi dell’esecutivo.

Spiare i giornalisti: una questione politica
Il risultato di questa polarizzazione è che i due principali partiti polacchi, anche in virtù della faida in corso tra di loro, continuano ad accusarsi vicendevolmente di aver permesso la sorveglianza sui giornalisti. Negli ultimi due anni i Ministri di PiS hanno accusato pubblicamente la precedente amministrazione, guidata invece dal partito di centro-destra Piattaforma Civica, al potere fra il 2007 e il 2015, di aver spiato i giornalisti in molteplici occasioni, per lo più nel contesto di due scandali politici. Nel 2009, mentre il governo di allora stava deliberando sugli emendamenti alla legge sul tema, esplose lo scandalo del gioco d’azzardo con la pubblicazione, da parte del quotidiano Rzeczpospolita, delle trascrizioni delle conversazioni fra un deputato e un magnate dei casinò. Per tutta risposta l’Agenzia per la sicurezza interna aveva condotto intercettazioni sullo staff del giornale. Questi fatti sono stati successivamente confermati da Mariusz Kamiński, allora capo dell’Ufficio centrale Anti-Corruzione (Cba) e ora ministro senza portafoglio nel governo PiS.

La seconda controversia sulla sorveglianza dei media è invece esplosa tra il 2014 e il 2015. Lo scandalo delle intercettazioni telefoniche era emerso quando il settimanale Wprost aveva pubblicato degli estratti di alcune conversazioni registrate in segreto in un ristorante di Varsavia fra alcuni Ministri e altri funzionari dello Stato di primo piano. In seguito alla pubblicazione di queste registrazioni erano state formate persino delle unità di polizia create al fine di piazzare delle cimici nei telefoni dei giornalisti e dei loro contatti. Si era poi scoperto che erano state circa 80 le persone monitorate, inclusi i giornalisti che aveva pubblicato la storia originale, i loro avvocati e le loro famiglie, stando a un’indagine dell’Ufficio degli affari Iinterni ordinata dal PiS dopo essere salito al potere nel 2015.

Allo stesso modo, i membri di Piattaforma Civica hanno accusato i loro predecessori del PiS di aver spiato i giornalisti e alcuni casi di sorveglianza sono quindi stati provati in tribunale. Per esempio, una storia pubblicata a ottobre 2010 sul quotidiano Gazeta Wyborcza faceva i nomi di dieci giornalisti presumibilmente presi di mira dal Cba, dall’Agenzia per la sicurezza interna e dalla polizia fra il 2005 e il 2007. A seguito della pubblicazione, uno di loro, Bogdan Wróblewski, inviato di giudiziaria di Gazeta Wyborcza di lunga esperienza, aveva deciso nel 2011 di intentare una causa civile contro il Cba. Durante il processo, il giornalista aveva dichiarato che l’agenzia di stato si sarebbe procurata le sue registrazioni telefoniche mentre stava lavorando su uno dei suoi arresti più controversi. La sentenza finale, emessa dalla Corte d’appello nel 2013, ha infine stabilito che l’acquisizione da parte del Cba dei dati delle telecomunicazioni durante sei mesi nel 2007 era illegittima e da non considerarsi nel pubblico interesse.

Nessuna protezione legale per i giornalisti
L’attivista Katarzyna Szymielewicz ha detto che la legge polacca non protegge nessuno dalla sorveglianza illegale: “non abbiamo un ente di controllo indipendente e non abbiamo il diritto di sapere se siamo sotto sorveglianza e questo fatto colpisce anche i giornalisti”, ha detto l’attivista. Szymielewicz presiede la Fondazione Panoptykon di Varsavia e ha dichiarato che la sua organizzazione non è in grado di confermare che i giornalisti vengono spiati, ma mette in guardia circa i seri effetti inibitori che la sorveglianza incontrollata può avere sul giornalismo. I giornalisti in Polonia sono legalmente obbligati a proteggere le proprie fonti e il Codice penale polacco stabilisce che il segreto professionale può essere revocato solo da un tribunale o dal pubblico ministero. Tuttavia, le prove della sorveglianza da parte dello stato minacciano di danneggiare la fiducia fra i reporter e le loro fonti.

Wojciech Cieśla, un giornalista d’inchiesta per l’edizione polacca di Newsweek, e co-fondatore della Ong Fundacja Reporterow (Fondazione Reporter), crede che le preoccupazioni sulla sorveglianza contro i giornalisti in Polonia siano fondate. Per proteggere le sue fonti, Cieśla ha adottato varie misure di sicurezza, come l’uso di email cifrate e applicazioni di messaggistica più sicure. Il giornalista descrive queste misure come “una forma di igiene professionale” e quando gli si chiede se avesse ragione di pensare di essere monitorato, Cieśla ride nervosamente: “quando uso tutti questi strumenti, PGP per le mail o le app di comunicazione sicura, non lo faccio per la mia sicurezza. Lo faccio per i miei interlocutori, le mie fonti”, ha detto. “Di me stesso non mi importa davvero nulla, possono seguirmi, rintracciarmi, registrare tutte le mie telefonate, perché non commetto alcun crimine. Io sono un giornalista e seguo vicende che appartengono alla sfera pubblica e sono nel pubblico interesse. Questa è la mia visione di questa professione e del mio ruolo di giornalista. Ma per quanto mi è possibile io proteggerò le mie fonti ricorrendo a tutte le tecnologie per la sicurezza disponibili”, ha detto Cieśla.

A dire il vero sia Cieśla che Szymielewicz sostengono che a molti giornalisti polacchi manchino le misure più basilari per proteggere se stessi e le proprie fonti. “In questo modo, non proteggendo se stessi, stanno permettendo, o persino incoraggiando, questo tipo di sorveglianza”, ha affermato Szymielewicz a questo proposito. Nell’autunno del 2016 Panoptykon ha tenuto dei workshop per introdurre i giornalisti polacchi alle tecnologie e alle pratiche di cybersecurity. L’enfasi era sulle basi. “Puntiamo a spiegare loro le regole del gioco, così non si possono davvero sorprendere se qualcuno ha le registrazioni delle loro telefonate, dato che sono così facili da reperire. Spieghiamo il problema della mancanza di controllo e il quadro normativo generale, del quale devono essere consapevoli, visti i rischi che crea”, ha detto Szymielewicz.

Ci vorrebbe ulteriore lavoro con le organizzazioni mediatiche, sia locali che nazionali, tanto per i loro dirigenti quanto per i loro staff tecnici, aggiunge: “Se avessimo le risorse continueremmo, purtroppo però non ne abbiamo”. Szymielewicz ha aggiunto anche che i giornalisti potrebbero aiutarsi da soli cominciando a palare apertamente del timore che lo stato conduca attività di spionaggio sui media. “Dal mio punto di vista, la cosa migliore sarebbe che i giornalisti stessi scrivessero della sorveglianza e dei suoi rischi”, conclude Szymielewicz.

Articolo tradotto dall’originale inglese da Giulia Quarta

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