Quando, per imparare qualcosa che sta succedendo nel tuo paese, devi affidarti alla stampa straniera, significa che i media del tuo paese sono veramente nei guai. È successo lo scorso mese, quando migliaia di persone sono scese in piazza in Romania per protestare contro la decisione del governo di sostenere un progetto minerario a Roșia Montană, nella regione della Transilvania. Per giorni, nessuno della stampa mainstream ha notato le proteste e, a parte due eccezioni, nessun telegiornale ne ha coperto la notizia, compresi i programmi di informazione del servizio pubblico. Dei cinque maggiori canali di news romeni, solo uno ha trasmesso in diretta dal luogo delle manifestazioni. Queste proteste a Bucarest, peraltro, sono state dieci volte più grandi di quelle che, nel 2012, avevano rovesciato il governo di Mihai Razvan Ungureanu e a cui, invece, era stata data una copertura molto ampia.
I media in Romania sono molto polarizzati dal punto di vista politico ed è sostanzialmente impossibile immaginare ogni tipo di consenso editoriale. Nonostante tutto, una vera cospirazione del silenzio è avvenuta nei primi giorni dello scorso settembre. Non è durata molto, per fortuna, grazie al crescente volume delle rivolte e alle reazioni indignate sui social media. Nonostante la sua breve durata, quel momento di eclissi dell’informazione è stato disturbante e mostra quanto vulnerabile sia diventato tutto l’establishment dei media romeni, di fronte a chiunque possa versare ingenti somme di denaro. Il segreto dietro questo “silenzio stampa” si può trovare facilmente negli ampi budget di pubblicità investiti dal gruppo canadese interessato alle estrazioni a Roșia Montană. Per anni, infatti, la Gabriel Resources ha pagato milioni di dollari per ogni genere di iniziativa pubblicitaria, dallo sponsorizzare show televisivi all’organizzare viaggi stampa esotici per alcuni giornalisti selezionati. Tutto questo senza citare gli spot tradizionali e i testimonial, onnipresenti su qualsiasi tipo di media.
Creare la più grande miniera d’oro a cielo aperto d’Europa a Roșia Montană pone diversi problemi. Significa far saltare in aria 4 montagne, far macinare le rocce e generare, di conseguente, ingenti quantitativi di cianuro. Inoltre, un grande sito di stoccaggio delle scorie deve essere costruito a soli 10km di distanza dalla città di Abrud: grande oltre 300 ettari, avrebbe un’estensione maggiore di quella del Principato di Monaco. Oltre agli ovvi rischi per l’ambiente, ci sono anche altre preoccupazioni riguardo al progetto. Roșia Montană non è un luogo deserto e selvaggio, ma conta una comunità di 16 villaggi, costruiti sulla vecchia città mineraria di “Alburnus Mayor”. Questo sito storico con oltre 2mila anni di storia verrebbe distrutto, insieme al piu grande labirinto di gallerie di epoca romana. Inoltre, molti altri siti storici andrebbero persi: 7 chiese, 11 cementifici e 41 abitazioni con rilevanza culturale. Oltre 2mila proprietà private andrebbero trasferite e non tutti i proprietari sono d’accordo: per anni, infatti, sono stati vittime di pressioni da parte degli investitori canadesi, con la complicità delle autorità del luogo. Il governo centrale, dal canto suo, ha chiuso un occhio su numerosi abusi e violazioni della legge. E, in tempi più recenti, la stampa ha fatto la stessa cosa.
Perché? Perché nessuno nella stampa romena può permettersi di perdere un inserzionista tanto grande. Negli ultimi tre anni, l’editoria periodica in Romania si è ridotta di un impressionante 80% e oltre 10mila giornalisti hanno perso il lavoro. Lo scorso anno, il Jurnalul National, un tempo il maggiore quotidiano del paese per diffusione, non ha pagato gli stipendi dei suoi giornalisti per 6 mesi. Si tratta di un caso limite e di un record, ma di certo non è stato il primo e, temo, non sarà l’ultimo. Avendo lavorato presso il Jurnalul National per diverso tempo, sapevo che Roșia Montană fosse un argomento tabù per il giornale, pertanto ho evitato di parlarne fino a quando quest’ultimo è rimasto “silenzioso”. Quando il Primo Ministro Victor Ponta, un tempo uno strenuo oppositore del progetto, ha deciso di sostenere le estrazioni nonostante le sue promesse pre-elettorali, la questione non poteva essere più ignorata. E lo stesso valeva anche per le proteste che si espandevano in tutto il paese.
Il mio giornale non ha mai pubblicato i due editoriali che avevo scritto su questo argomento, ma non sono stati rifiutati ufficialmente: nessuno ha mai risposto alle mie domande sulla sorte dei due articoli. Nessuno ha mai nemmeno ammesso di aver ricevuto il secondo testo, inviato una settimana dopo il primo. Non avendo un contratto di esclusiva con il Jurnalul National, ho postato i due editoriali sui social media. Entrambi hanno prodotto numeri record di click e condivisioni, un ulteriore segnale di quanto l’argomento fosse “caldo”. Qualche giorno dopo, sono stata informata via email che il mio contratto con il giornale era concluso. Apparentemente, avrei danneggiato gravemente l’immagine della testata, insinuando che vi fosse della censura nella redazione. Nelle strade, i manifestanti non insinuano, ma gridano a voce alta la loro delusione nei confronti della stampa. “Il silenzio è d’oro” e “Gli unici posti di lavoro creati dal progetto minerario sono nei media”, si è letto sugli striscioni dei manifestanti. Un altro, invece, faceva il verso a un famoso spot internazionale: “Alcune persone non possono essere comprate, per tutto il resto c’è la Gold Corporation”.
Questo articolo è stato pubblicato originariamente sul sito del Reuters Institute for the Study of Journalism, partner dell’Ejo nel Regno Unito
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