Questo articolo è parte di una serie dell’EJO dedicata alla copertura giornalistica del Coronavirus COVID-19 nel mondo. La lista completa degli articoli è disponibile qui e in inglese.
La crisi del Coronavirus ha dominato completamente l’agenda dei media in Turchia sin dall’annuncio del primo caso nazionale, avvenuto l’11 marzo. Prima di questo evento, la copertura si era concentrata invece su Wuhan e spesso con tinte discriminatorie, in particolare in relazione alle abitudini alimentari dei cinesi.
Dopo l’emersione dei casi in Iran ed Europa, si è invece iniziato a discutere di chiudere le frontiere. Una settimana prima, la Turchia aveva aperto i suoi confini ai migranti che cercavano di raggiungere l’Europa. La Grecia aveva risposto bloccando i migranti sul confine, lasciando migliaia di richiedenti asilo bloccati senza accesso ai servizi di prima necessità. La Turchia ha poi chiuso i suoi confini con la Grecia e la Bulgaria il 18 marzo.
L’informazione affidabile sul progresso della pandemia è difficile da trovare, e i giornalisti hanno per lo più mandato in onda le dichiarazioni del Ministro della salute. Il modo in cui i dati sono stati resi pubblici non è stato trasparente: il 17 marzo, ad esempio, era stata annunciata l’esistenza di 98 casi confermati e un decesso, ma era non chiaro quante persone fossero state testate. Il 24 marzo, il numero dei casi era già salito a 1872 e quello delle morti a 44.
Stretta sui media
In assenza di informazioni affidabili, alcuni media si sono affidati ad altre fonti. Cosiddetti esperti hanno offerto i loro consigli in televisione. Come conseguenza della stretta governativa sui media, in atto da diversi anni, molti giornalisti esperti di salute hanno perso il loro lavoro, mentre i giornalisti delle emittenti approvate hanno paura di porre domande scomode alle autorità.
I giornalisti delle testate piccole o indipendenti hanno devono affrontare il rischio di essere arrestati o indagati ogni volta che il loro lavoro mette le autorità in cattiva luce. Ad esempio, è stata lanciata un’inchiesta contro Aydın Atay, un giornalista della Mezapotamya News Agency, per la diffusione sui social di informazioni sulle misure contro il COVID-19 prese dal tribunale di Diyarbakır. Secondo l’accusa, il giornalista avrebbe “creato ansia, paura e panico tra la popolazione”.
Diverse teorie complottiste stanno circolando nella sfera pubblica turca, mentre la misinformazione e l’hate speech si diffonde nei gruppi WhatsApp e altri social media.
Le opinioni espresse in questo articolo sono quelle degli autori e degli intervistati e non rispecchiano necessariamente quelle di tutto l’EJO
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