Ci lasciamo alle spalle un annus horribilis. Fra qualche ora potremmo tuttavia consolarci per aver almeno scavalcato indenni la fine del mondo predetta dal calendario Maya per il 21-12-2012.
Crisi economica e recessione hanno martoriato le economie mondiali, salvo rare eccezioni (Cina, Asia, Brasile). Ma la stampa ha dovuto fare i conti anche con una crisi strutturale, di sistema, che sembra ormai irreversibile. Il problema non è più la perdita di copie e il calo della pubblicità, ma capire quando e a quale livello questa emorragia finalmente si fermerà.
Se le previsioni della Fieg verranno confermate, nel 2012 le vendite medie giornaliere dei quotidiani in Italia dovrebbero essere scese sotto la soglia psicologica dei 4 milioni. Nel 2011 erano 4,5 milioni, nel 2000 superavano i 6 milioni di copie. Se il trend negativo non si arresta, entro il 2015 avremo perso il 50% della circolazione media giornaliera: un lettore su due.
Ma, aldilà delle cifre, il 2012 sarà ricordato come l’anno delle vittime illustri e delle ristrutturazioni selvagge, il tutto condito con qualche disillusione per le magnifiche opportunità offerte dal digitale.
Impossibile non ricordare il video dei giornalisti di El Paìs, la loro lunga protesta silenziosa contro il licenziamento di un terzo dei colleghi: “Con questi tagli, e nessun progetto futuro per il quotidiano, difficilmente saremo in grado di mantenere la qualità e i valori fondanti del giornale”
Ma c’è anche chi non ha potuto tentare di salvarsi con pesanti ristrutturazioni: il 7 dicembre è andato in edicola l’ultimo numero dell’edizione tedesca del Financial Times, costretto a chiudere da 250 milioni di euro di perdite accumulate in 12 anni.
Tra le vittime illustri del 2012 anche Newsweek: il settimanale liberal Usa stamperà la sua ultima copertina il 31 dicembre.
Una profezia che sarebbe apparsa strampalata appena 8 anni fa, quando lo storico americano Philip Meyer predisse che l’ultima copia di un giornale di carta sarebbe stata stampata nel 2042.
Eppure, dal 2013 il prestigioso magazine americano sarà solo digitale, consultabile a pagamento sul web e sui tablet. Il calo della pubblicità ha reso i costi di stampa e distribuzione non più sostenibili. Si tratterà di vedere se la sola gestione digitale potrà garantire quelle risorse che per 80 anni hanno dato a Newsweek la possibilità di diffondere un giornalismo di qualità, approfondimenti e analisi che erano la vera motivazione di acquisto dei suoi lettori.
Ma il 2012 ha raffreddato anche alcune speranze digitali, come l’ottimismo con cui si era guardato all’iPad e ai tablet in generale come i possibili strumenti per rilanciare quotidiani e magazine. L’avventura di The Daily, primo giornale nativo digitale per iPad, nel quale avevano investito un magnate dei media come Rupert Murdoch e la stessa Apple, si è chiusa il 15 dicembre dopo neanche due anni di sperimentazione.
Dobbiamo dunque aspettarci un 2013 in ripiegamento, con tutte le aziende editoriali sulla difensiva? No, non necessariamente. L’inasprimento della crisi ha avuto almeno il merito di sgombrare il campo dall’illusione, a lungo coltivata da giornalisti e editori, che i vecchi modelli di business e produttivi potessero tornare a fare il loro egregio lavoro una volta passata la bufera.
Che le cose non saranno mai più come prima, appare ormai chiaro a tutti e questo potrebbe spingere l’editoria a sperimentare con maggiore coraggio le opportunità del digitale.
Due fronti si annunciano particolarmente caldi nel 2013: l’adozione di paywall “morbidi” sui siti, sull’esempio di quello adottato dal New York Times, e la battaglia contro i grandi aggregatori, Google news in primis, per il riconoscimento dei diritti di copyright nei confronti di chi le notizie produce.
In entrambi i casi si possono riscontrare alcuni punti critici. Il paywall per i giornali generalisti può funzionare a patto che ai lettori venga fornita un’informazione veramente esclusiva e di qualità. Il lettore, esaurito il bonus di 15-20 articoli free al mese, finirà altrimenti per rivolgersi ad altre testate consultabili liberamente.
Carlo De Benedetti ha già annunciato l’adozione di un paywall per Repubblica.it nel corso del 2013 . Supponiamo che l’esempio sia seguito dai siti del Corriere della Sera e del Sole 24 Ore. Mentre quest’ultimo potrebbe essere avvantaggiato dell’offerta di un’informazione sostanzialmente economico-finanziaria, gli altri due propongono online un menù generalista che sostanzialmente si equivale. Mettiamo che lascino aperti alla libera consultazione dei propri lettori 20 articoli mensili. Ogni utente si troverà nella favorevole condizione di poter leggere 40 articoli “saltellando” da un sito all’altro. Alla fine, la necessità di abbonarsi a uno dei due siti potrebbe risultare assai ridotta.
D’altra parte, adottare paywall più rigidi potrebbe essere sconveniente per entrambi, sia per la probabile perdita di utenti, sia per la conseguente spartizione di un “pubblico pagante”, che fino ad oggi è stato libero di saltare liberamente da un sito all’altro.
Una considerazione oggettiva: quanti lettori oggi comprano in edicola sia il Corriere della Sera sia Repubblica? Probabilmente una minima parte. Quanti utenti leggono le news sia sul sito del Corriere che su quello di Repubblica? Non ho dati sulla sovrapposizione dei lettori digitali, ma non mi stupirei se fosse una misura più vicina al 100 per cento che allo zero.
Google sembra ormai messo alle strette dai Paesi europei e non solo. E’ probabile che nel 2013 l’azienda di Mountain View sia costretta a scendere a patti con gli editori, anche perché i governi la stanno mettendo comunque all’angolo sulla questione delle tasse che, attraverso triangolazioni più o meno trasparenti, vengono pagate o non pagate, nei cosiddetti paradisi fiscali. Sentendo il fiato sul collo è probabile che l’azienda, un tempo nata intorno al motto “Don’t be evil”, finirà per trovare un accordo laddove riterrà di subire minori perdite.
Ma la vera sfida del 2013, a mio parere, si giocherà sulla capacità di sperimentare e innovare, cambiare processi produttivi e pratiche rese obsolete dal web e dagli sviluppi dei social media. La capacità di interagire con i propri lettori e di cogliere le opportunità offerte dai social media avrà un ruolo sempre più fondamentale nel fare la differenza tra una azienda editoriale e l’altra.
Altro elemento distintivo sarà la capacità di portare servizi e informazione sui device mobili, smartphone soprattutto, ma anche tablet. Dovranno essere sperimenti nuovi linguaggi e nuovi flussi di comunicazione, più adatti a soddisfare le esigenze degli utenti in movimento, che non la semplice trasposizione su questi nuovi strumenti dell’informazione che abbiamo prodotto per secoli sulla carta.
Ancora: una scommessa vincente del 2013 potrebbe essere riportare il focus sui contenuti del giornalismo. In un mondo inevitabilmente sempre più popolato di aggregatori, algoritmi, data journalism e social media, riscoprire forza e valore delle storie, della corretta miscela tra news, human interest, “sentimento” e emozione, potrebbe tornare ad essere una delle chiavi in grado di fare la differenza tra un’informazione fatta di commodities e il giornalismo pensato.
Solo la sperimentazione quotidiana, che coinvolga giornalisti, ma non solo, può garantire quell’apertura a nuove prospettive nel mondo del giornalismo e dell’informazione in genere.
In un contesto di grandi cambiamenti, aspettare che qualcuno trovi un nuovo modello di business che sostituisca il precedente per poi seguirne la strada potrebbe rivelarsi letale.
Probabilmente non ci sarà più un modello di business valido per tutti, come invece è stato nel mondo dell’editoria negli ultimi 200 anni. Ognuno dovrà trovare la propria strada. E chi sta fermo rischia di arrivare fuori tempo massimo.
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