BuzzFeed negli Usa (e altrove), Mediapart in Francia, Project R in Svizzera: le startup giornalistiche, che abitualmente nascono al di fuori delle tradizionali strutture mediatiche, sono per molti la speranza per il futuro del giornalismo, soprattutto perché i mass media classici raggiungono sempre meno lettori e perdono continuamente entrate pubblicitarie. Ma queste giovani imprese possono davvero salvare il giornalismo con idee rivolte al futuro e fonti di finanziamento innovative?
Il mio studio recentemente pubblicato da Springer ha analizzato 15 startup mediatiche nel contesto germanofono e ha condotto a risultati piuttosto deludenti: nonostante imprenditori e fondatori si lancino nel giornalismo con molto ottimismo, slancio e intenzioni consapevoli, questi progetti contribuiscono al rinnovamento del settore solo in modo limitato. E questo è dovuto a diversi fattori. Ad esempio, le nuove imprese mediatiche nascono prevalentemente da “prospettive d’azione”, che si basano sull’innovazione meno di quanto si potrebbe pensare e che piuttosto mirano a trasferire gli standard giornalistici professionali in un ambiente digitale. In questo contesto, i fondatori si concentrano sulla produzione di contenuti di qualità che è sempre più difficile trovare nell’offerta delle redazioni maggiori, afflitte dai tagli.
Gli obiettivi di guadagno e le ambizioni di crescita o di vendita al fine di ricavare profitti, elementi tipici dell’imprenditoria digitale, hanno invece solo un ruolo marginale nel mondo del giornalismo. Basandosi spesso su tradizioni già esistenti, alcuni imprenditori, nuovi nel settore mediatico, copiano il modello di finanziamento dei giornali quotidiani tradizionali. In questo modo, però, riscontrano presto gli stessi problemi delle organizzazioni mediatiche già affermate: da parte dei lettori c’è poca disponibilità a pagare per i contenuti online e gli inserzionisti piazzano la loro pubblicità in ambienti giornalistici con prudenza. Nuove fonti di guadagno efficienti si trovano sempre più spesso solo nel caso in cui le testate si occupino di temi di nicchia e raggiungano delle community specifiche, come ad esempio appassionati di motori o i “millennial” interessati a specifiche carriere professionali. Assieme ai loro utenti, queste startup più specializzate possono tentare di sperimentare nuove forme di guadagno, come l’e-commerce o le offerte di consulenza o di formazione. Coloro che invece scelgono di trattare temi più generalisti, sociali o politici, hanno molte più difficoltà.
Il mio studio ha rivelato anche che più una startup giornalistica si rivolge alla società nel complesso e in modo generalista, più i suoi guadagni saranno difficili. Inoltre, innovazione e nuove soluzioni nascono più facilmente in luoghi in cui si incontrano persone con background diversi. I team di fondatori di startup mediatiche nel contesto germanofono, invece, sono al momento ancora troppo omogenei e molti dei loro fondatori hanno fatto carriera in modo classico e formazione giornalistica, volontariato, contratto a tempo indeterminato presso giornali o radiotelevisione sono le carriere più frequenti. In queste aziende mancano dinorma personaggi “esotici” o figure provenienti da settori diversi, che potrebbero portare nuovi modi di pensare e agire all’interno del giornalismo. Invece, lo svizzero Project R si posiziona diversamente: il team comprende manager aziendali, giornalisti, tecnici e fondatori di startup e vuole affrontare le sfide del settore abilmente, integrando le varie competenze.
I fondatori di startup giornalistiche sottovalutano spesso anche il loro duplice e complesso ruolo: contrariamente all’avere un posto presso una redazione, lavorare per una startup non significa più di essere solo giornalisti, ma anche manager di un’azienda mediatica a tutti gli effetti. In questo modo, i processi sia giornalistici che economici, considerati tradizionalmente come incompatibili, vengono gestiti parallelamente e possono persino entrare in concorrenza. Alla fine, una parte considerevole del tempo lavorativo nelle startup analizzate viene utilizzato per compiti amministrativi e burocratici.
I risultati dello studio suggeriscono che le startup giornalsitiche, contrariamente alle aspettative, non saranno un rimedio ai problemi del giornalismo. Dall’esempio di Project R in Svizzera, però, si può però vedere che successi e insuccessi sono una buona fonte di apprendimento. In alcuni casi si tratta di aggiustare le condizioni quadro: finanziamenti iniziali più mirati per gli esperimenti giornalistici, una sensibilizzazione maggiore all’imprenditorialità all’interno della formazione giornalistica, una riduzione negli sforzi burocratici e amministrativi. In questo modo le startup mediatiche potrebbero riuscire a realmente dare impulso all’innovazione del giornalismo.
Questo articolo è apparso per la prima volta su Der Standard il 24 luglio 2017. Traduzione dal tedesco a cura di Georgia Ertz