C’è un nuovo strumento a disposizione dei giornalisti digitali che lavorano in rete sfruttando le risorse Ugc come fonti dei loro articoli. L’European Journalism Centre ha infatti costituito una squadra di autori di primo piano, tra cui figurano nomi noti come quelli di Anthony De Rosa (Circa), Mathew Ingram, Craig Silverman (Poynter) e Steve Buttry, per realizzare un libro, reso da poco disponibile online in Creative Commons (e presto in ebook e su carta), “The Verification Handbook”. Il testo, diviso in dieci capitoli, è un prontuario pensato per il reporting in contesti di crisi, situazioni in cui gli strumenti digitali diventano una risorsa preziosissima, ma possono esporre contemporaneamente a potenziali errori.
Come il titolo suggerisce, il libro è una guida per la verifica dei contenuti digitali e, nelle sue dieci sezioni, offre spunti teorici e pratici su come passare sotto la lente d’ingrandimento video, immagini e Ugc di altra natura, proponendo anche degli efficaci studi di caso che illustrano la strategia utilizzata in diverse circostanze. Parlando della grave crisi umanitaria avvenuta nella regione di Jos in Nigeria, ad esempio, Stèphanie Durand (della United Nations Alliance of Civilizations) scrive che “I social media possono perpetuare la disinformazione, ma, allo stesso tempo consentono ai giornalisti di connettersi e interagire con il pubblico come parte del loro lavoro”. Oltre a questo, continua Durand toccando un altro tasto fondamentale della rivoluzione del web 2.0, “i social media offrono anche una piattaforma per rispondere ai rumors, verificare le informazioni che creano quel tipo di fiducia e trasparenza necessarie a evitare l’escalation di un conflitto”. Oltre alla perizia delle notizie che vengono diffuse, infatti, ci sono anche altre dinamiche che vanno considerate, a cominciare dalla possibilità di poter nuocere a chi si trova sul campo. Come ha scritto qualche tempo fa Mat Honan su Wired, la migliore risposta che gli utenti di Twitter non direttamente coinvolti possono dare a una tragedia è il silenzio. Per non generare confusione e non rischiare di soffocare con il rumore informazioni importanti e utili.
Proprio per questo motivo, sapersi districare in mezzo a quella confusione è fondamentale e rende la verifica “l’essenza del giornalismo”, come scrive invece Steve Buttry trattando di come i modi in cui verificare con accuratezza le notizie si siano evoluti con il tempo, adeguandosi alle nuove tecnologie. Queste ultime hanno senza alcun dubbio giovato al processo di creazione delle news ma, al contempo, hanno anche reso molto più semplice manipolare contenuti o crearne di nuovi a scopi propagandistici. Proprio per questo, scrive ancora Buttry, “la facilità del video editing” – come quella di altre tecniche digitali -, “fa crescere l’importanza dello scetticismo”. A questo proposito è molto interessante lo spunto offerto da Malachy Browne di Storyful che, nel libro, racconta della sua perfetta azione di factchecking di un filmato postato su YouTube da una partecipante alla maratona di Boston che ritraeva l’esplosione lungo il tracciato della gara, incrociando strumenti digitali di uso comune come Google Street View e Twitter con della sana accortezza.
Un altro punto cruciale è invece toccato da Mathew Ingram quando scrive della centralità del saper creare un network di fonti attendibili su Twitter, da consultare a seconda delle necessità giornalistiche. Un ottimo esempio fornito dalla firma di GigaOm è quello di Andy Carvin della Npr e della sua “Twitter newsroom” di account sparsi nei vari paesi interessati dalla Primavera araba con cui, oltre al following su Twitter, aveva costruito nel corso del tempo un rapporto di mutua fiducia sulla cui base ottenere informazioni verificate e sicure. Molto interessante è anche il caso citato della verifica della foto di un mortaio esploso in Libia sottoposta a Carvin e girata alla sua rete di contatti Twitter. Grazie all’intervento delle fonti di Carvin, in quella occasione, è stato possibile risalire al tipo di arma e alla sua produzione, e allontanare la falsa attribuzione israeliana. Quello che Ingram chiama “crowdsourcing responsabile” è anche la procedura di lavoro quotidiana di Brown Moses, il blogger inglese che svela le caratteristiche degli armamenti che vengono usati in Siria, attività che gli ha già fatto guadagnare lo status di fonte verificata sull’argomento per molti media di livello internazionale.
Il capitolo che chiude Verification Handbook elenca alcuni strumenti digitali che i giornalisti possono utilizzare per fare factchecking di contenuti Ugc. La lista è divisa in tre diverse categorie, che spaziano dalla verifica delle identità degli account a quella della localizzazione dei contenuti e dell’effettivo controllo della veridicità delle immagini. Un più che completo punto di partenza per fare della verifica dei materiali digitali una costante della pratica giornalistica e non un’eccezione, come fa la Bbc da anni con il suo Verification Hub.
Tags:Andy Carvin, Anthony De Rosa, Bbc, Brown Moses, Circa, Craig Silverman, creative commons, European Journalism Centre, factchecking, Gigaom, Mathew Ingram, Nigeria, Poynter, Steve Buttry, Twitter, UGC, United Nations Alliance of Civilizations, verifica fonti Ugc, Verification Handbook, Verification Hub, YouTube