Bufale, una guida per stanarle

18 Novembre 2013 • Etica e Qualità • by

La circolazione dei contenuti Ugc in Rete e la complessiva democratizzazione dell’accesso all’informazione e della creazione di notizie offerta dai network digitali hanno portato senza dubbio molte nuove risorse per il giornalismo e numerose innovazioni. Per definizione, il Web è un luogo rapsodico e il rincorrersi delle voci e delle opinioni, spesso, favorisce il nascere e il diffondersi delle cosiddette bufale: notizie false, incorrettezze e semplici idiozie. Gli effetti delle bufale sono altrettanto imprevedibili: l’“intelligenza collettiva” degli utenti del Web può intervenire per fermarle, ma (troppo) spesso, le bufale trovano un loro spazio, fino a finire sulle pagine o sulle home page degli organi di stampa.

Schermata 2013-11-17 a 13.47.10A Glocal, il festival del giornalismo che si è tenuto a Varese tra il 14 e il 17 novembre, Paolo Attivissimo e Francesco Costa (Il Post) hanno discusso su come riconoscere e “stanare” le bufale nel Web e prevenirne la divulgazione. La cronaca recente offre un caso emblematico: qualche tempo fa alcuni media italiani hanno riportato una notizia secondo la quale l’intelligence russa avrebbe usato delle chiavette Usb come trojan per spiare i diplomatici europei. Come ha fatto notare Francesco Costa, l’indiscrezione non ha avuto alcuna eco internazionale e, con ogni probabilità, verrà rubricata alla voce “bufala”. Secondo Paolo Attivissimo, dal punto di vista dei giornali, un incentivo alla creazione di notizie false o non confermate sono anche le scarse risorse economiche con cui i giornalisti, specialmente online, sono spesso costretti a operare. Budget ristretti e personale ridotto riducono gli spazi di manovra nelle testate in fatto di verifica delle proprie fonti, pratica troppo spesso messa da parte in favore della dittatura del click a tutti i costi.

Attivissimo ha anche citato un episodio di bufala che lo ha visto protagonista in prima persona, il caso di un’intervista pubblicata, ma da lui mai concessa. Il caso è ovviamente indifendibile, ma emblematico. Il giornalista in questione, ha raccontato Attivissimo a Glocal, per quel pezzo è stato pagato 3,50 euro. Anche solo un’eventuale telefonata per sottoporre le domande avrebbe mandato in perdita il bilancio del cronista. Una tendenza comune, nei media italiani, è invece quella di “velare” notizie non confermate, ma dall’alto tasso bufalesco con l’espressione “è giallo“. Un fantomatico Edward Snowden (che qualcuno su Twitter aveva anche già dato per morto) apre un account su Twitter? Edward Snowden arriva su Twitter. Glenn Greenwald smentisce? Difficilmente si riconosce l’errore, al meglio ci si maschera dietro un inesistente “giallo”. Ma le bufale, peggio che le bugie, hanno spesso le gambe corte, ha spiegato Paolo Attivissimo.

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Secondo Il Disinformatico, le bufale hanno alcune caratteristiche comuni: arrivano accompagnate da un forte sensazionalismo e tendono a confermare alcuni preconcetti facili. Se è indubbio che il lettore comune non ha sempre i mezzi per smascherare una notizia falsa, è il caso ad esempio delle news che hanno a che vedere con la scienza, dove una forte competenza specialistica è spesso richiesta, è altrettanto vero che non siamo completamente vittime delle panzane in libertà. Secondo Attivissimo ci sono alcuni rimedi semplici che si possono usare per un fact-checking minimo. Si tratta di piccoli accorgimenti, ma che possono contribuire a svelare una bufala per quello che è: chiedere a qualcuno che ne sa più di noi; verificare sulle fonti online, a cominciare da Wikipedia che, pur non essendo affidabile al 100%, specialmente nella sua versione inglese offre la possibilità di verificare in modo veloce aclune informazioni; infine, controllare fonti estere per vedere se la notizia è ripresa anche altrove trovando conferma o è solo il prodotto di una poca accurata verifica alle nostre latitudini.

Ma il digitale, ancora una volta, inchioda i giornalisti alle loro responsabilità. In Rete, hanno concordato Attivissimo e Costa, viene meno la scusa di assenza di spazio per la citazione delle fonti. La cara vecchia pratica del linkare, tanto facile quanto trasparente, è (o dovrebbe essere) un obbligo per chiunque diffonda informazioni in forma di notizie. Chi non lo fa, ha detto Paolo Attivissimo a Glocal, dimostra di avere la coda di paglia. Il rischio è andare a foraggiare facili complottismi che, come ha ricordato Francesco Costa, sono tutto tranne che ristretti o, peggio ancora, correre il rischio di far passare per bufale notizie che non lo sono per niente. Un caso su tutti? Fra credere che il Datagate sia solo un problema di governi e non un caso che riguarda tutti i cittadini, ha chiosato Paolo Attivissimo.

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L’Ejo è stato media partner di Glocal

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