Corriere del Ticino, 23.10.2010
Se lo avessi sentito dire in un talk show politico di una rete del servizio pubblico tedesco, da un giornalista della Frankfurter Allgemeine Zeitung non avrei avuto nulla da dire. Perchè in una democrazia sana, con un servizio pubblico e d’informazione serio, che funziona, non vi è nulla di più naturale e scontato.
L’affermazione però è del giornalista Nicola Porro de Il Giornale. La trasmissione galeotta: Ballarò. Il contesto della discussione: l’affare Marcegaglia.
Senza voler nulla togliere al giornalista in questione, che ha sottolineato uno dei principi fondanti del giornalismo libero e indipendente, cane da guardia della democrazia, mi preme fare una riflessione sulla sostanza e sulla forma: come può un qualsiasi giornalista, oggi, in Italia, affermare con tanta disinvoltura e convinzione, su una rete televisiva RAI, che giornalismo e politica, siano due entità distinte, tanto da non dover essere confuse? E, soprattutto, c’è ancora qualche spettatore o qualche lettore dei maggiori quotidiani italiani disposto a crederci?
Ho dei seri dubbi. E chi fa informazione, sia a mezzo televisivo o a mezzo stampa, dovrebbe comprendere che è arrivato il momento di fare uno, anzi, due passi indietro.
E se per la televisione è più complesso, perché certe logiche e forze politiche l’hanno pervasa sino nel midollo oscurandone l’identità e il ruolo di servizio pubblico, la stampa voglio credere sia ancora in tempo per tornare indietro e scrivere una nuova pagina.
Un primo passo in questa direzione potrebbe essere quello di smettere di assomigliare in tutto e per tutto alla televisione. Smetterla di essere la cassa di risonanza dei tg della sera, dei talk show politici, dei conflitti tra Masi e Santoro facendosi portavoce dell’uno o dell’altro a seconda dell’appartenenza politica, delle beghe di palazzo di bassa lega. Smetterla soprattutto di adottare format e linguaggi da Grande Fratello.
Per cui, leggendo un giornalista come Marco Travaglio ci imbattiamo in costanti critiche al
Corriere della Sera che la sua penna tramuta in “Pompiere della Sera”, al direttore del TG1 Augusto Minzolini che diventa “Scodinzolini” o “Scodinzolingua”, al Presidente del Consiglio soprannominato “banana”.
Oppure apprendiamo che Vittorio Feltri direttore de
Il Giornale si dice contento delle aumentate vendite grazie alle campagne mediatiche contro Dino Boffo, Gianfranco Fini o, in ultimo, alle polemiche sulla Presidente di Confindustria Emma Marcegaglia che hanno svelato rapporti e atteggiamenti perlomeno disdicevoli sia da parte della stampa che dal portavoce dell’associazione degli industriali.
E’ un segnale davvero allarmante che certe logiche proprie del sistema televisivo e politico italiano si ripropongano con tanta forza e naturalezza nella carta stampata.
E se, come ha detto Ferruccio de Bortoli durante una recente conferenza a Lugano, “l’informazione scritta rimane il caposaldo di una civiltà” vien anche da chiedersi dove in questo momento, in Italia, stia il difetto maggiore: nell’informazione o nella civiltà?
Difficile rispondere. Di certo però una stampa che fa informazione al servizio del cittadino, distingue le notizie dai commenti, è autorevole senza essere pavida e cerca di svincolarsi dalle pressioni politiche (tanto almeno da poter scrivere in autonomia), anziché farle proprie, sia a destra che a sinistra. Una stampa al passo con i tempi, che nei giovani giornalisti vede una risorsa e nei propri lettori degli interlocutori attenti e preparati, non un pubblico mercificato; ecco questo tipo di stampa può dare un importante contributo al miglioramento della società, del suo funzionamento e soprattutto del discorso e del confronto politico. Questo tipo di stampa può essere credibile e davvero utile quando dice “non confondiamo il giornalismo con la politica”.
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