L’altra storia del giornalismo digitale: dal Mediterraneo al web

13 Maggio 2019 • Brevi, Giornalismi • by

Alan Rusbridger, ex direttore del Guardian, nel suo libro Breaking News – about what journalism was; where it is going; and what it may become, racconta di come lui e altri tre colleghi volarono negli Stati Uniti nella prima metà degli anni 90 per “trovare l’Internet” e capire dove stava andando il giornalismo digitale. E per iniziare la trasformazione digitale del Guardian che, proprio in questi giorni ha annunciato il primo ritorno al profitto dal 1998 grazie a una combinazione di strategia digitale molto innovativa e cura della propria comunità di lettori. Metà degli anni ‘90. Molti media, nel Nord Europa come negli Stati Uniti, hanno provato diverse strade per compiere una piena trasformazione digitale. Altri hanno atteso ma poi, soprattutto dopo il crollo del mercato pubblicitario all’inizio degli anni 2000, hanno comunque sperimentato vie nuove per rimanere in piedi. Molti non ci sono riusciti.

Un’altra storia
La storia nel Sud Europa, e soprattutto in Italia, è diversa. La transizione al mondo online è iniziata dopo e proseguita più lentamente, ostacolata da resistenze culturali a più livelli e da mercati, anche a causa della lingua, decisamente più ridotti. E in generale da una tendenza diffusa a diffidare del nuovo e a rimanere imperniati sulle proprie tradizioni e certezze. Diventando talvolta perfino parossistici in un atteggiamento di attesa di nuovi eventi risolutivi che fa un po’ andare con la mente alle attese vane e prolungate che caratterizzano il romanzo di Dino Buzzati, Il deserto dei Tartari del 1940. Che, detto per inciso, fu ispirato proprio dalle lunghe notti passate nella redazione del quotidiano per cui lavorava, come lo stesso Buzzati raccontò anni dopo in un’intervista. Da queste diverse traiettorie si sono sviluppati contesti, almeno per quanto riguarda l’innovazione nel mondo dell’informazione, così differenti da non essere paragonabili. O quasi.

È a partire da considerazioni come queste che Chips&Salsa: Giornalismi digitali, interattivi, mediterranei, che si terrà il prossimo 14 giugno a Genova, ha scelto il Mediterraneo come uno dei suoi fili conduttori. Non per indulgere in un’artificiosa idea di identità, discussa e contestata da tanti storici e antropologi. La scelta deriva da una considerazione pratica. Esiste una condizione simile tra i media dei paesi del Sud Europa e quelli della regione mediterranea in generale. Parliamo di media che spesso non sono riusciti a compiere la transizione dalla cellulosa al web e con budget per l’innovazione limitati. Media legati a una dimensione più tradizionale, che spesso ancora considera la redazione di serie A quella che si dedica alla carta stampata e di serie B quella dedicata all’online.

Anche se un giornalismo propriamente mediterraneo non esiste, quella “mediterranea” può essere una prospettiva utile da cui osservare l’evoluzione dell’informazione. Una prospettiva che guarda alle sperimentazioni prodotte nei media anglosassoni e nordeuropei – oggi lo stato dell’arte – ma che fa i conti con budget più risicati e risorse più limitate. Insomma, un occhio a New York Times, Guardian e compagnia, ma anche a quello che stanno facendo testate tradizionali, startup, freelance in Italia, Spagna e Medio Oriente quando si tratta di nuove pratiche e nuovi processi.

Rimescolamenti
Il programma di Chips&Salsa 2019 è costruito secondo questa visione, mescolando contesti giornalistici differenti, progetti di grandi testate e di reporter indipendenti, lavori che richiedono budget enormi e hanno dimensione internazionale e altri sviluppati in economia e rivolti a un pubblico locale. Il tutto con uno sguardo privilegiato sull’area mediterranea, intesa sia come provenienza degli speaker sia come oggetto di indagine giornalistica.

Jeremy White, giornalista del New York Times ospite di Chip&Salsa

All’interno di questa cornice Jeremy White, giornalista del New York Times, racconterà attraverso quale mix di competenze nascono le straordinarie visualizzazioni 3D che mostrano come è crollato il Ponte Morandi a Genova o come è bruciata la cattedrale di Notre-Dame a Parigi. Amr Eleraqi invece arriverà dall’Egitto per offrire uno squarcio sulla faticosa ma entusiasmante diffusione del giornalismo dei dati in Medio Oriente. Oscar Marin Miro (The Outliers Collective) e Pablo Leon Sanchez (El Pais) presenteranno i loro lavori con tecnologie immersive e video 360. Con Alessia Cerantola, giornalista investigativa molto apprezzata anche nel contesto internazionale, scopriremo i processi e le tecnologie impiegati per realizzare inchieste globali come i Panama e i Paradise Papers. Isaia Invernizzi (l’Eco di Bergamo) ci porterà dentro la redazione di un giornale locale che non disdegna di fare cronaca utilizzando le nuove tecnologie, rigorosamente low cost. Marianna Bruschi offrirà, invece, il punto di vista privilegiato di chi dirige il Visual Lab del Gruppo Gedi, uno dei maggiori gruppi editoriali italiani che ha investito in un team di cui fanno parte giornalisti, designer, videomaker e sviluppatori. E Carola Frediani, giornalista esperta in cybersicurezza, ragionerà con il pubblico su come ha costruito il suo organo di informazione preferito: una newsletter che in pochi mesi ha raggiunto oltre 3mila referenziatissimi iscritti.

Nuove competenze
Si tratta solo di alcuni esempi del programma di un evento che non vuole essere una conferenza né un festival del giornalismo. Semmai un incontro tra giornalisti, per giornalisti ma anche per tutti quelli che si interessano di informazione digitale e hanno voglia di guardare avanti, alle sperimentazioni in corso, ai cambiamenti, alle innovazioni portate avanti anche in assenza di grandi risorse. Ma soprattutto, Chips&Salsa è un’occasione per guardare in modo positivo dove sta andando il giornalismo anche italiano. Perché, seppur nelle difficoltà economiche in cui si trovano gli editori, di esperienze significative in questi anni se ne stanno vedendo molte. Dentro e fuori i media tradizionali.

È un’occasione per ribadire che è necessario parlare di competenze nuove, approfondite, non generaliste. Che servono persone capaci di muoversi nel mondo dei dati, in quello dell’intelligenza artificiale, delle tecnologie multimediali, dal video 360 alla realtà aumentata, alla grafica interattiva. Persone che sappiano fare una verifica approfondita e puntuale dei materiali che circolano in rete e non incappino nei tipici errori di chi pubblica e condivide in fretta, sotto la pressione di arrivare per primo per non “bucare”. E servono figure che ormai nuove non sono più. Sviluppatori, front e back end, social media manager e, andando oltre, persone dedicate alla gestione delle comunità di lettori/ascoltatori e al monitoraggio delle interazioni, sia attraverso i social media sia sui canali più personali, come le e-mail, utilizzate ormai da molti per produrre meravigliose newsletter. Chips&Salsa vuole dare voce e spazio a queste competenze e ai giornalisti che le mettono in pratica.

Ieri e oggi
Per questo il formato scelto non è quello dei panel, della grande discussione in astratto, ma di una serie di rapidi interventi focalizzati, dove verranno raccontate esperienze concrete. Il tutto con un atteggiamento verso l’evoluzione dell’informazione curioso e appassionato, senza snobismi difensivi, critico e mai compiacente. Come quello di Franco Carlini uno dei primi giornalisti italiani a occuparsi di nuove tecnologie. Il titolo dell’evento, “Chips&Salsa”, è preso a prestito da un suo libro (del 1995!) e da una sua celebre rubrica sul quotidiano il manifesto. Per Carlini i “chip” erano i processori, l’hardware delle nuove tecnologie, e la “salsa” il software che aggiungeva intelligenza alle macchine. Ed è con questo hardware e questo software che oggi si deve fare informazione. Era già vero a metà degli anni ‘90 quando Carlini iniziava a esplorare la Rete e la task force del Guardian attraversava l’Atlantico. Lo è ancora di più oggi.

Il programma completo di Chip&Salsa è disponibile qui.

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