Giornalisti imprenditori: il nuovo mercato delle newsletter

14 Febbraio 2022 • Economia dei media, Giornalismi, Più recenti • by

 

Max Pixel/ CC0 1.0 Universal

Pur essendo nate tra gli anni Ottanta e Novanta, in contemporanea all’esplosione democratica della posta elettronica, le newsletter si sono affermate nel mondo del giornalismo solo negli ultimi dieci anni.

Secondo un articolo del giornale svizzero-francese Geneva Tribune, la crescente richiesta di  newsletter porta sempre più giornalisti a lasciare le redazioni per indossare i panni da freelance e cimentarsi con questo tipo di format.

Questo fenomeno sembra rispondere a delle esigenze del pubblico – il che può sembrare sorprendente, persino paradossale, in un’epoca in cui le giovani generazioni disprezzano la posta elettronica, e i messaggi tendono ad accumularsi inesorabilmente nelle caselle di posta. Si stima infatti che circa il 56% del traffico globale di email sia classificato come spam.

Lavorare alla creazione di una newsletter è come affrontare uno spazio vuoto con infinite possibilità. Il giornalista che si imbarca in questo tipo di progetti diventa di fatto una specie di imprenditore. E mentre il recente arrivo di software mirati, economici e facili da usare come Mailchimp e Substack può democratizzare la creazione delle newsletter, il product manager editoriale, Cayleigh Parrish, sottolinea l’importanza di affrontare il compito con una strategia e un modello di business attentamente ponderati.

Ciò richiede che alle competenze giornalistiche si sommino anche conoscenze nel campo del marketing, della comunicazione, dell’audience e dei modelli di business. Essenzialmente ciò che si ottiene è un matrimonio di convenienza tra imprenditorialità e giornalismo. L’incontro di questi due mondi dà origine al giornalismo imprenditoriale – la cui definizione rimane relativamente vaga, anche se si può sostenere che una caratteristica chiave del fenomeno sia l’adozione della prospettiva dell’utente.

Rivolgersi al pubblico

Il professore Kevin Moloney del Ball State University’s Centre for Emerging Media Design and Development raccomanda a coloro che intraprendono questo tipo di progetto di guardare oltre la loro visione personale, concentrandosi sul punto di vista del pubblico – come farebbe ogni “buon” redattore. Secondo Moloney infatti “le storie dovrebbero essere prodotte per il lettore, e non per il giornalista”.

Un’altra strategia fondamentale sarebbe quella di riempire le attuali lacune presenti nella maggior parte delle newsletter di giornalismo. Questa idea, che non è esclusiva del settore dei media, è uno dei dogmi principali nei settori imprenditoriali.

Ricercatrici come Chloë Salles hanno sottolineato come tutto questo possa essere una sfida per i giornalisti, i quali si trovano in una situazione ambivalente. Se da un lato sono infatti portati a perseguire gli obiettivi professionali che si prefiggono, o ai quali inconsciamente aspirano, allo stesso tempo sono costretti a confrontarsi con principi e logiche di comunicazione imprenditoriale, considerati fondamentali per il buon funzionamento dell’intero progetto editoriale.

Capire i bisogni dei lettori

Le strategie e gli obiettivi alla base delle newsletter sono tutt’altro che una novità. Si tratta infatti di aspetti evidenti, per esempio, nella definizione di una qualsiasi linea editoriale, che si basa su ciò che gli studi di giornalismo hanno spesso definito come “promesse” o “contratti di lettura”.

In breve, questi concetti si basano sull’idea della relazione tra lettori e produttori come di una sorta di contratto, che può essere espresso implicitamente o esplicitamente – per esempio, in una tagline o in specifiche sezioni come “Chi siamo” o “La nostra missione”. Come per altre piattaforme mediatiche, le newsletter promettono di offrire qualcosa ai lettori – informazioni, chiarimenti intrattenimento, etc. D’altro canto, i lettori interagiscono con i contenuti  con aspettative consce o inconsce.

Alan Rubin, professore della School of Communication Studies alla Kent State University, sottolinea come la prospettiva di prendere in considerazione i bisogni del pubblico risulti ancora più attuale se analizzata dal punto di vista della teoria degli “usi e gratificazioni”. Secondo questo approccio, infatti, le persone non sono dei soggetti passivi nelle loro pratiche di consumo mediale, facendo invece delle scelte calibrate sulla base dei loro interessi e dei loro bisogni.

Questa considerazione è sempre più importante man mano che le piattaforme e i canali di distribuzione si moltiplicano. Come Heather Chaplin, direttrice del programma di giornalismo e design alla New School, sottolinea in un articolo sulla Columbia Journalism Review, soddisfare le mutevoli aspettative del pubblico è un compito particolarmente delicato per i media.

Gestire più ruoli

La dualità dei ruoli imprenditoriali e giornalistici può essere travolgente per chi crea e gestisce le newsletter. Diverse ricerche evidenziano il crescente numero di giornalisti che risentono dell’impatto sulla loro produzione e sul loro benessere personale, soffrendo di stress e cattiva salute.

Riconoscere il peso di questo ruolo aggiuntivo è importante perché, come ha sottolineato  C. W. Anderson, professore di Media Culture al College of Staten Island, è un fenomeno che è andato rafforzandosi a seguito del crollo economico e della conseguente crisi di legittimità della professione giornalistica.  Va anche notato che questa esigenza di adottare una mentalità imprenditoriale non è esclusivamente una sfida per i giornalisti freelance. È anche una preoccupazione per il personale delle redazioni a cui viene chiesto di cambiare il proprio modo di lavorare.

Certamente è facile immaginare come la tensione creata da molteplici ruoli, a volte conflittuali, sia amplificata quando un media è gestito da una sola persona – come è il caso di molte testate giornalistiche. Tuttavia, una struttura più piccola e autogestita ha anche il vantaggio della flessibilità, che può rendere più sopportabile il doppio ruolo di giornalista/imprenditore.

Un buon esempio è l’approccio adottato dal giornale francese Médiapart. Testata indipendente la cui soluzione è stata quella di separare chiaramente le funzioni e i ruoli di ogni persona all’interno della redazione. Dei 120 dipendenti fissi dell’azienda, più della metà lavora in dipartimenti operativi come PR e comunicazione. In questo modo i giornalisti possono concentrarsi completamente sui loro compiti.

Un grande potenziale giornalistico

In effetti, le newsletter hanno il potenziale per essere un coinvolgente strumento comunicativo, fornendo contenuti giornalistici di grande valore. Questo potenziale può legittimare e giustificare, in un certo senso, la sua crescente popolarità. Tuttavia, scrivere per una newsletter può avere un forte impatto sul benessere e sul lavoro di un giornalista.

Il “doppio ruolo” di giornalista e imprenditore implica, infatti, non solo confrontarsi con le richieste, a volte contraddittorie, dei campi del giornalismo imprenditoriale, del design e del marketing, ma anche dover fare uso di conoscenze e competenze specialistiche. Queste richieste possono essere particolarmente impegnative a livello di risorse utilizzate (tempo, finanze, formazione, etc.), ma ancora di più in termini di identità professionale.

Per affrontare queste sfide la soluzione migliore sarebbe quella di lavorare con un team specializzato, separando chiaramente i ruoli dei professionisti e favorendo un approccio consultativo al processo decisionale. Anche se questo significa diventare un’impresa a sé stante e assumere diverse persone – sulla falsa riga di  Brief.me, azienda editoriale che si presenta come “un mini-giornale il cui scopo è fornire spiegazioni in merito alle notizie che circolano”.

Tuttavia, al momento sembra che questo modello sia più un’eccezione che la regola, con una grande quantità di newsletter scritte e prodotte da giornalisti freelance che faticano a guadagnare adeguatamente dalla loro attività.

Articolo tradotto dall’originale inglese

Le opinioni espresse in questo articolo sono solo degli autori e della autrici e non riflettono o rappresentano necessariamente le opinioni, le politiche o le posizioni dell’EJO o delle organizzazioni a cui sono affiliati

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