I giornalisti e la dipendenza da metriche

1 Febbraio 2016 • Digitale, Più recenti • by

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I giornalisti si possono agitare molto quando si tratta di metriche, stando a ricerche sull’impatto dei dati di traffico sul lavoro delle redazioni. Queste informazioni, infatti, possono far piegare anche i redattori più tosti sotto il peso della pressione di sapere, in tempo reale, quante persone leggono i loro articoli e se li leggono fino alla fine. Caitlin Petre, ricercatrice del Tow Centre for Digital Journalism della Columbia Journalism School di New York, ha esaminato sul campo due redazioni, quella di Gawker, una testata nata digitale che punta alla viralità, e il New York Times, al fine di confrontare come i giornalisti usano i dati di audience e come questo influenza il loro lavoro e le loro emozioni.

Gawker, che lavora moltissimo guardando le metriche del suo giornalismo, e il New York Times, dove i dati sono invece ancora marginali nel lavoro di redazione, fanno entrambi uso dei servizi d’analisi del ben affermato Chartbeat, un’azienda che offre a giornalisti e direttori una scomposizione in tempo reale, “secondo per secondo”, del comportamento dell’audience. Secondo Petre, il servizio configura le sue metriche per “generare forti emozioni”.

Petre, che ha presentato i risultati del suo studio alla conferenza New Practices of Journalism alla Sciences Po School of Journalism di Parigi a dicembre, ha intervistato lo staff delle aziende studiate e ha passato del tempo nei loro uffici. Sulla base dei dati raccolti, la ricercatrice ha potuto concludere che le metriche sono uno strumento sia manageriale che editoriale: queste, infatti, strutturano le relazioni tra colleghi e team e plasmano anche notizie e contenuti. I giornalisti intervistati hanno dichiarato, ad esempio, di sentirsi felici quando il traffico è buono e tristi quando invece non lo è. Petre cita a questo proposito un redattore di Gawker: “a dire il vero sono così influenzato dalle metriche che il mio benessere emotivo è dettato dal numero di visualizzazioni dei miei post. Ne parlo pure con il mio psicoterapista”. Un altro giornalista di Gawker ha invece raccontato di avere dato una copia dello studio alla sua terapista, per farle comprendere meglio i suoi problemi d’ansia.

Un redattore del New York Times, invece, ha riferito di sentirsi sopraffatto dalla mole di dati disponibili: “quando ho guardato Chartbeat per la prima volta mi sono detto ‘o mio Dio’… si può vedere, ad esempio, che al momento 20mila persone stanno leggendo questo articolo. È davvero straordinario”. Petre sostiene che le metriche possono sia rassicurare i giornalisti che turbarli, infondendo una varietà di forti emozioni come eccitazione, ansia, insicurezza, gioia, competizione e demoralizzazione. “Quando si tratta di stabilire regole interne per l’uso di metriche, i manager redazionali dovrebbero considerare le potenziali conseguenze dei dati di traffico non solo sul contenuto, ma anche sugli autori”, spiega Petre.

Un redattore di Gawker ha ammesso di essere dipendente dalle metriche: “se sto un giorno senza le analisi, comincio a tremare”, ha dichiarato il giornalista. Secondo Petre, questa dipendenza potrebbe essere collegata alle somiglianze che intercorrono tra le analisi del traffico web e i videogame, inclusi i giochi d’azzardo online. “Molti elementi che rendono dipendenti dal gioco d’azzardo virtuale sono contenuti anche nelle metriche”, scrive Petre, “come ad esempio una grafica coinvolgente e un tossico mix di abilità e fortuna, perché ci sono delle cose che si possono fare per avere una buona giornata di traffico”, sostiene la ricercatrice.

Petre ha inoltre scoperto che, quando usano le metriche in tempo reale, i giornalisti tendono a diventare più competitivi verso i colleghi all’interno dell’azienda, invece che verso aziende e siti esterni. Tuttavia, la maggior parte delle persone considera il fenomeno come sana competizione. “Voglio sempre essere tra i top quattro nell’azienda, non tra gli ultimi quattro”, ha detto a questo proposito un redattore.

Lo studio ha anche formulato alcune raccomandazioni alle redazioni, scrive Petre a questo proposito:

“I news media dovrebbero dare la priorità a un approccio più strategico all’analisi delle metriche (tra cui il ruolo migliore da attribuire a questi dati nelle organizzazioni e i modi in cui i dati interagiscono con gli obiettivi giornalistici). Il coinvolgimento con queste questioni d’ampia portata dovrebbe essere isolato dall’analisi del traffico quotidiano e dalle pressioni giornaliere, ma può assumere diverse forme. Ad esempio, le redazioni che non hanno le risorse necessarie per un proprio ‘analytics strategist’ potrebbero invece avvalersi di partnership con ricercatori esterni. Inoltre, quando si tratta di scegliere un servizio d’analisi, i manager redazionali dovrebbero guardare oltre gli strumenti e ponderare quale agenzia possa avere gli obiettivi strategici, le priorità e i valori aziendali che completino al meglio quelli della loro redazione”.

E, conclude ancora Petre, “nonostante sia necessario e opportuno intraprendere sforzi per sviluppare misure migliori, le redazioni e le agenzie d’analisi dovrebbero essere attente ai limiti delle metriche. Considerando che le priorità aziendali e i sistemi di valutazione sono sempre più spesso basati su di esse, c’è il rischio di (con)fondere quanto si può misurare in modo quantitativo con quanto invece è rilevante e di valore”.

Per approfondire:
“I giornalisti devono conoscere i dati di traffico degli articoli?”, di Caroline Lees
“Il giornalismo su Internet, di nuovo”, di Philip Di Salvo

Articolo tradotto dall’originale inglese da Georgia Ertz

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