Un sondaggio dettagliato sarebbe opportuno per accertare le ragioni dell’ampia disistima che l’opinione pubblica italiana apparentemente ha nei confronti del giornalismo e di chi lo esercita come mestiere. La realizzazione di un’indagine demoscopica di quel tipo potrebbe anche permettere di constatare che gran parte dei cittadini in Italia desidera, in realtà, un’informazione di qualità, seria, accurata ed esplicativa. Una tale constatazione fornirebbe argomenti utili per confutare in modo perentorio le teorie professate quasi all’unanimità da editori e direttori di testate d’informazione, nonché da esperti della comunicazione, non solo in Italia, bensì in tutto il mondo contemporaneo.
Secondo queste teorie, che ostacolano enormemente e talvolta vanificano gli sforzi di professionalità di molti giornalisti, il pubblico vuole un’informazione leggera, semplice, breve, gradevole, emozionante e perfino compiacente. Com’è noto, questo tipo di informazione è purtroppo divenuta una prassi quasi generalizzata del giornalismo, scritto e audiovisivo, che persegue in modo eccessivo il (legittimo) profitto dell’editore e dei suoi azionisti, ma evidentemente senza grandi risultati, né lungimiranza. Inoltre, è diffusa (e intollerabile) l’ingerenza nei contenuti giornalistici esercitata da poteri politici, economici, finanziari, o da meri inserzionisti pubblicitari. Tutto ciò concorre a causare la scarsa qualità della stampa, in senso lato, e la sua perdita di credibilità.
In innumerevoli conversazioni private, ho avuto l’occasione di chiedere il giudizio che la gente in Italia liberamente esprime sulle testate d’informazione del proprio Paese e sulla categoria dei giornalisti, cui appartengo da oltre trenta anni. I risultati di queste mie interrogazioni, tutte abbastanza recenti, sono sempre stati in sostanza identici tra loro. Secondo i nostri connazionali consultati, il giornalismo italiano è insoddisfacente, perché, in generale, non informa in modo preciso, inequivocabile ed esaustivo su ciò che davvero interessa i cittadini, ossia le questioni più che mai complesse e tra loro correlate che caratterizzano la società, l’economia, la politica e la diplomazia, nel contesto della globalizzazione, in questo Ventunesimo Secolo. Benché ovviamente non siano equiparabili ai risultati di un sondaggio scientifico, le critiche all’unisono che ho registrato nei confronti del giornalismo italiano mi paiono significative, perché espresse da una varietà di persone, di diversa estrazione socioeconomica e culturale: imprenditori grandi e piccoli, docenti di università o di scuola, medici e avvocati di lunga esperienza, impiegati d’azienda, dipendenti della Pubblica Amministrazione, semplici cittadini.
Il giornalismo, in generale, e quello italiano, in particolare, sono attualmente in crisi. È arduo negarlo. Questa crisi non è soltanto finanziaria (e, di conseguenza, occupazionale), ma soprattutto qualitativa ed etica. Non è un mistero che la causa principale della sensibile diminuzione di finanziamenti pubblicitari erogati alle testate giornalistiche siano, ovunque nel mondo, i siti Internet e, soprattutto, i social network. Piaccia o no, Facebook, Instagram, You Tube, e altri sono molto più attraenti, quantomeno in modo subliminale, dei quotidiani o dei periodici cartacei, e perfino dei siti Internet dediti a un’informazione seria, che in teoria dovrebbero diventare la principale forma di giornalismo professionale già nel futuro prossimo. Il declino attuale del giornalismo è, comunque, causato innanzitutto da un indebolimento generale della meticolosità professionale e deontologica. Questo fenomeno, in corso da molti anni nel nostro Paese non meno che altrove, ha progressivamente assuefatto i cittadini a un’informazione superficiale, di facile fruizione, ma inadempiente. Eppure, in Italia esiste una deontologia giornalistica ben codificata, giustamente insegnata, o ricordata, a tutti gli iscritti all’Ordine di categoria, nei corsi di formazione professionale continua cui è obbligatorio assistere.
La deontologia è l’elemento essenziale della professionalità, che a sua volta è la condicio sine qua non della qualità del prodotto giornalistico. Ma, in Italia come all’Estero, la stragrande maggioranza di operatori dell’informazione si comportano ormai come se la deontologia, nonostante il suo significato etimologico, non fosse un dovere. Qualunque sia la natura dei loro obiettivi, si prefiggono in modo prioritario o quasi esclusivo l’attrattività (che spesso sconfina nel sensazionalismo spregiudicato, nell’iperbole equivoca e perfino nella finzione), nonché la conformità a format prestabiliti, semplificati, di facile attuazione e diffusissimi, ma non corretti, né, come detto, efficaci per un vero successo economico del giornalismo.
A tutto ciò, in Italia, si aggiungono due difetti peculiari e deleteri della categoria giornalistica, che si sono sviluppati e propagati in modo graduale ma finora irreversibile negli ultimi tre decenni: l’imprecisione espressiva e la scorrettezza metodologica. La prima è caratterizzata soprattutto da un uso ormai sistematico di metafore e quello molto frequente di anglicismi, peraltro non sempre appropriati, al posto di spiegazioni perifrastiche. L’altro difetto proprio del nostro giornalismo consiste nell’anteporre quasi sempre i commenti all’enunciazione esauriente del fatto o della questione, nell’omettere in molti casi spiegazioni adeguate e ordinate, nonché nel trascurare spesso l’accertamento dell’esattezza o della veridicità delle notizie acquisite indirettamente. Questa negligenza favorisce, peraltro, la crescente e preoccupante propagazione di notizie false (le famigerate fake news), anche da parte di testate prestigiose.
Tendenzialmente diffusi anche nel giornalismo di altri Paesi, questi difetti in Italia raggiungono il loro parossismo. L’urgenza, causata dai frenetici ritmi di vita della nostra epoca e dalle nuove tecnologie dell’informazione, è addotta come motivazione della superficialità con cui si lavora nel giornalismo attuale. Ma non costituisce una valida giustificazione delle manchevolezze della stampa contemporanea, né un vero ostacolo a un suo recupero della qualità e della credibilità. È realistico credere che i difetti del giornalismo contemporaneo (compresi quelli diffusi ovunque nel mondo) siano tra i motivi principali per cui in Italia l’opinione pubblica ha scarsa considerazione e fiducia nei confronti dei mezzi di informazione. Secondo un’indagine realizzata dal Pew Research Center tra il 30 ottobre e il 20 dicembre 2017, solo poco più di un terzo degli italiani adulti (il 34%) reputava i media informativi “molto importanti per la società”, e meno di tre su dieci (il 29% dei cittadini adulti della Penisola) si fidava di quelle testate. La stessa inchiesta ha rilevato che quasi due terzi (il 64%) degli italiani adulti traeva informazione dai social network, e, tra questi, prevalentemente da Facebook. Il Pew Research Center ha anche accertato che (nell’autunno 2017) i social network erano la fonte di informazione, peraltro quotidiana, per quasi tre quarti (il 74%) dei giovani italiani di età compresa tra i 18 e i 29 anni.
L’attrattività dei social network come mezzi d’informazione è indubbiamente favorita dalla loro gratuità, dal loro carattere multimediale e interattivo, dalla loro semplicità espressiva, e, in grande misura, anche da una tendenza, ossia una moda, (per ora) loro propizia, sebbene i recenti scandali che hanno coinvolto Facebook abbia un po’ ridimensionato questo fenomeno. Ma è presumibile che la scarsa qualità del giornalismo contemporaneo sia stata un’importante concausa della migrazione epocale di masse di consumatori d’informazione dai media tradizionali ai social network. Su questi ultimi, le notizie sono, però, molto spesso pubblicate senza un accertamento neutrale della loro veridicità, né spiegazioni imparziali. Il vero giornalismo di qualità, basato sulla deontologia, e quindi anche sull’imparzialità e l’obiettività, è potenzialmente un grande concorrente dei social network come fonte d’informazione. Può essere perfino un loro rivale ineguagliabile se è disponibile gratis (per esempio, sui siti Internet di testate professionali), purché non tragga ispirazione dalla free press metropolitana, che nella sua forma finora conosciuta si discosta troppo dal modello di informazione ideale.
Il buon giornalismo è ormai rarefatto, ma rimane sempre possibile, sostanzialmente a costo zero, perché la qualità dell’informazione è in massima parte il frutto della meticolosità, del coraggio, e, in ultima analisi, della volontà di singole persone. Un sondaggio approfondito sull’opinione e le aspettative degli italiani nei confronti del giornalismo sarebbe, dunque, ampiamente giustificato. Il suo esito potrebbe, peraltro, proteggere gli sforzi di coloro che, nonostante ostruzionismi e rischi inenarrabili, sanno ancora fare sistematicamente un’informazione di qualità, al servizio della democrazia e della civiltà, anche nel Ventunesimo Secolo.
Le opinioni espresse in questo articolo sono quelle dell’autore e non rispecchiano necessariamente quelle di tutto l’Ejo