I lettori preferiscono davvero il sensazionalismo?

24 Gennaio 2018 • Cultura Professionale, Più recenti, Ricerca sui media • by

Ted Rheingold / Flickr CC / BY-NC 2.0

I professori di giornalismo spesso cominciano le loro lezioni sull’arte di produrre storie forti e coinvolgenti con la celebre citazione dell’uomo che morde un cane. La ricerca di un titolo – a volte emotivo, sorprendente o scioccante per catturare l’attenzione del pubblico – è qualcosa che i giornalisti di tutto il mondo hanno imparato a tenere in considerazione quando si occupano di storie di tema politico, sociale o che coprono qualsiasi altro argomento.

Precedenti studi hanno dimostrato che le testate giornalistiche ricorrono a contenuti più sensazionalistici quando si trovano sotto pressione economica o quando dipendono dagli introiti pubblicitari, ma ci sono poche prove a suggerire che le storie sensazionalistiche siano in grado di attrarre l’attenzione del pubblico in modo più forte e, qualora ci riuscissero, che siano anche in grado di mantenere in vita il suo interesse più a lungo.

Il sensazionalismo basta per vendere una storia?
Paul Hendriks Vettehen e Mariska Kleemans si sono posti questa domanda nel loro nuovo studio, in cui i due ricercatori del Behavioural Science Institute della Radboud University in Olanda hanno svolto un esperimento online con un campione composto da 190 partecipanti. Al fine di misurare il tempo speso con ciascuna storia, i partecipanti hanno visto un massimo di 16 video d’informazione, prodotti da uno dei maggiori programmi televisivi di informazione olandesi, vari per contenuto e packaging.

Metà (otto) dei video mostrati ai partecipanti erano stati stati classificati come “sensazionalistici” perché riguardavano eventi straordinari come incendi, atti criminali, incidenti o rivolte, ed erano accompagnati da immagini di fuoco, sangue e simili. I ricercatori hanno descritto queste clip come “contenuti negativi”. L’altra metà dei video, invece, era stata descritta come “contenuti neutri”, dedicati a cultura ed economia.

Packaging: tabloid vs standard
Metà delle clip aveva un “format da tabloid”, caratterizzato da riprese serrate, ma anche da effetti sonori, musica o tecniche di editing decorative. L’altra metà aveva al contario un “format standard”. Anche l’età e il sesso degli spettatori è stato tenuto in considerazione. I risultati di Vettehen e Kleeman dimostrano che il sensazionalismo ha un impatto, ma che potrebbe non essere così forte come si crede. Lo studio ha rilevato che:

  1. I contenuti sensazionalistici hanno avuto un tempo di visualizzazione doppio rispetto ai contenuti neutri da parte di tutti gli spettatori.
  2. I video con un format da tabloid hanno avuto un tempo di visualizzazione maggiore rispetto a quelli con un format standard da parte di tutti gli spettatori.
  3. I video con contenuti neutri (per esempio di cultura o economia) con un format da tabloid hanno avuto un tempo di visualizzazione maggiore rispetto a quelli con gli stessi contenuti ma con un format standard, da parte di tutti gli spettatori.

Tuttavia:

  1. Le storie sensazionalistiche con un format da tabloid non hanno mantenuto l’attenzione degli spettatori più a lungo di quelle con un formato standard.
  2. Se il contenuto sensazionalistico era presentato con un format da tabloid, le donne più anziane erano meno inclini a guardarlo e passavano oltre più in fretta.

I contenuti sensazionalistici non portano automaticamente al successo
I ricercatori hanno concluso che se i format da tabloid incoraggiano gli spettatori a spendere più tempo su storie neutre alle quali altrimenti non avrebbero dedicato così tanta attenzione, questi non riescono a promuovere ulteriormente i contenuti sensazionalistici ai quali i partecipanti erano già interessati. Sebbene lo studio abbia nel complesso confermato il vecchio adagio “se c’è sangue, vende”, utilizzato come astuta strategia per attrarre e mantenere l’attenzione degli spettatori, gli autori avvertono i produttori di notizie di essere cauti nell’adottare il sensazionalismo come garanzia di successo.

Articolo tradotto dall’originale inglese da Giulia Quarta

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