Il valore del giornalismo di qualità

29 Marzo 2010 • Giornalismo sui Media • by

Corriere del Ticino, 27.03.2010

Dibattito a Zurigo fra Ezio Mauro, Andreas Strehle e Giancarlo Dillena

Oggi si parla molto di tecnolo­gie e troppo poco di contenuti – Ma è qui che sta la vera sfida
Non importa su quale supporto in futuro si faranno e si leggeranno i gior­nali, se ancora su carta o esclusiva­mente sul Web. Quello che conta, ol­tre a confrontarsi con le tecnologie che offre l’era digitale e a fare i conti con gli effetti della crisi economica (oggi in primis il calo del fatturato pubbliciario) è che non si perda di vi­sta il ruolo, la funzione e il valore che riveste un giornalismo di qualità per la democrazia di un Paese e la vita dei suoi cittadini. In altre parole occorre concentrarsi di più sui contenuti che sul contenitore. Questa la formula vin­cente che traghetterà i giornali di og­gi verso quelli di domani secondo Ezio Mauro, direttore del quotidiano La Repubblica, Andreas Strehle, co­direttore del Tages-Anzeiger di Zuri­go, e Giancarlo Dillena, direttore del Corriere del Ticino, relatori della ta­vola rotonda organizzata giovedì sera a Zurigo dall’Istituto italiano di Cul­tura sul tema «Stampa, classe politica e opinione pubblica. L’attività giorna­listica in Italia e in Svizzera».

Di fron­te ad una sala affollata i tre direttori, pur appartenendo a culture giornali­stiche diverse, si sono trovati in ac­cordo nel dire che la rete offre enormi potenzialità, da sfruttare a vantaggio del giornalismo, e che non deve esse­re risentita come una minaccia ma come un’importante opportunità di contatto e di sviluppo dell’audience. D’accordo anche nel dire che la stam­pa di qualità deve continuare a fare quello che sa fare meglio: ricerca, ve­rifica, selezione e gerarchizzazione delle notizie. Senza cadere in facili populismi e senza seguire isterie col­lettive (citata ad esempio quella del­la epidemia «suina»). Solo così il gior­nale potrà coltivare e curare il lega­me con il lettore, dimostrandosi au­torevole e credibile, convincendolo che le notizie e i commenti che ogni mattina gli offre costituiscono un va­lore aggiunto fondamentale per la for­mazione delle sue idee e opinioni, per la conoscenza e la comprensione di ciò che accade intorno a lui. Un valo­re che ha dei costi e per il quale è giu­sto pagare, sulla carta e sul Web, ha sottolineato Dillena, aggiungendo che, a dispetto di quanto sogna qual­che editore o opinionista improvvi­sato «non si può pensare di fare gior­nalismo senza giornalisti».

Perchè tutto questo sia possibile gio­ca un ruolo determinante il contesto politico. In Svizzera, tutto sommato, la stampa scritta non deve fare i con­ti con eccessi di pressione politica, hanno evidenziato sia Strehle che Dil­lena (semmai è quella economica a pesare di più). In Italia, invece, sembra tirare un’aria assai diversa. Lo hanno sottolineato in particolare Piero Di Pretoro, direttore dell’Istituto italia­no, e il Gottlieb Höpli, ex direttore del St. Galler Tagblatt e moderatore del­la serata. Da qui le sollecitazioni ri­volte al direttore del «quotidiano ita­liano d’opposizione per antonoma­sia» a parlarne esplicitamente.

Ezio Mauro lo ha fatto senza cadere nella retorica o nella demagogia. De­ludendo forse chi tra il pubblico si aspettava una sequela di slogan anti­berlusconiani ad effetto, ha manife­stato un senso critico pacato e rigo­roso, non risparmiando severe cen­sure al premier e alla sua sponda po­litica, ma anche a chi lo ha preceduto nel Governo di un Paese in cui – per dirla con l’ironia di Montanelli (cita­to di Pretoro) – «la crisi dura ininterrot­tamente dai tempi dell’Imperatore Augusto’». In merito poi alle polemi­che sulla libertà di stampa Mauro è stato netto: «Non ritengo che i gior­nali italiani siano asserviti. In Italia la libertà di stampa esiste per chi desi­dera esercitarla». Aggiungendo: «Ci mancherebbe altro, siamo in una de­mocrazia!». Anche se, ha sottolinea­to amaramente, una democrazia che sta attraversando una fase «di grave degrado». Sorprendendo più d’un ascoltatore si è pure distanziato da chi afferma che oggi in Italia ci voglia par­ticolare «coraggio» per fare fino in fon­do il mestiere di giornalista. Ma ha ri­levato che il contesto italiano presen­ta anomalie che rendono la pratica di questo mestiere certo più «complica­ta» che altrove.

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