L’Iran è pronto a bloccare l’accesso a Internet? La notizia è circolata nei giorni scorsi: i cittadini di Teheran e di tutto il paese non avrebbero più potuto andare in Rete, niente Google, né Facebook, né servizi mail per volere del governo. Il Web iraniano sarebbe diventato una questione nazionale, il traffico dirottato su domini locali controllati dal governo grazie a una rete Intranet autarchica. Una dichiarazione attribuita a Reza Taghipour, ministro per l’informazione e le comunicazioni, e originariamente resa nota dalla Afp, dava l’operazione in fase di attuazione; a partire da maggio l’Iran avrebbe avuto una “Internet pulita” ed entro cinque mesi, ad agosto, il filtro sarebbe stato in attività e tutti i provider avrebbero dovuto adeguarsi. Alla notizia sono seguite le smentite dello stesso Taghipour, che ha parlato di “nessun fondamento” e di “operazione di propaganda dell’Occidente”. Scongiurato forse l’incubo oscuramento, rimane il pericolo autarchia e nel caso dell’Iran, però, non basta una dichiarazione a mezzo stampa per scongiurare le cattive intenzioni.
Nonostante non sia stato al centro dei media internazionali, fatta salva la questione nucleare, l’Iran non ha smesso di essere uno degli scenari più foschi per quanto riguarda la libertà di informazione e la libera Rete. La stessa notizia del blocco del Www segue segnalazioni di altri tentativi di stretta sui media digitali: il sito delle Olimpiadi di Londra non è accessibile da qualche giorno mentre risalgono allo scorso luglio le notizie sulla sperimentazione di una ipotetica “Internet nazionale” comprensiva di un motore di ricerca prettamente iraniano chiamato Ya Haq, che si può tradurre con un preoccupante “Calling God”. A sostegno di questo progetto, il traffico degli Internet Caffè è strettamente controllato con il chiaro scopo di monitorare le ricerche degli internauti. In alcune dichiarazioni il ministro Taghipour avrebbe, i virgolettati non sono stati confermati, parlato di Internet in questi toni: “promuove il crimine, le divisioni, contenuti immorali e l’ateismo”. Basta davvero una dichiarazione a scongiurare rischi? Anche perché non è un segreto che la cinese ZTE, che si occupa di tecnologia per la sorveglianza, collabori con il governo di Teheran.
La situazione dei media in Iran non è di certo migliorata negli ultimi mesi: la scorsa settimana sono stati arrestati altri giornalisti e netizen – riporta Reporters Without Borders – la cui lista sulle violazioni delle libertà di stampa e informazione nella Repubblica islamica è in costante aggiornamento. In occasione delle elezioni dello scorso marzo, inoltre, i media sono stati oggetto di pesanti censure e condizionamenti che ne hanno fortemente limitato le attività. I giornalisti incarcerati in Iran al momento sono 48, un numero che rende il paese il terzo peggior nemico della libertà di stampa e gli fa occupare il 175esimo posto nella classifica della press freedom, in cui sono elencati 179 paesi.
Allo stato delle cose, molti internauti e cyberattivisti iraniani per accedere ai siti stranieri utilizzano dei server proxy su Vpn, dei virtual private network, i quali a loro volta sono stati recentemente strozzati. Non bisogna dimenticare che nel giugno 2013 l’Iran andrà alle urne per eleggere il successore di Mahmoud Ahmadinejad, in carica dal 2009. In seguito a quelle elezioni si scatenarono le proteste al grido di “Where is my vote?“.
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