Le normative sulla protezione delle fonti giornalistiche sono sempre più messe in discussione, rivela uno studio internazionale condotto su 121 paesi. Il report conclude che senza un’adeguata protezione legale, le fonti giornalistiche e i whistleblower potrebbero non farsi più avanti per raccontare la loro storia ai giornalisti e questo potrebbe rappresentare una minaccia per il futuro del giornalismo investigativo.
“Protecting Journalism Sources in the Digital Age” rivela che le normative sulla protezione legale delle fonti vengono sempre più spesso bypassate in molti paesi da quelle antiterrorismo e da quelle sulla sicurezza nazionale o vengono invalidate dalla sorveglianza o minacciate dalle politiche di data retention. Il quadro normativo risulta poi anche obsoleto per quanto concerne la raccolta e l’utilizzo dei dati digitali, rivela sempre lo studio. Ad esempio, è ancora oggetto di controversia se le informazioni registrate senza il consenso siano legalmente ammissibili o se il materiale archiviato digitalmente e raccolto dai giornalisti sia coperto dalle leggi vigenti in materia di protezione delle fonti.
I ricercatori hanno analizzato il quadro normativo in ognuno dei paesi coinvolti, attingendo a ricerche accademiche, archivi online e report di organizzazioni giornalistiche e per i diritti umani. Per la realizzazione dello studio sono stati realizzati oltre 130 sondaggi e interviste qualitative con circa 50 esperti e professionisti internazionali. Se la normativa tradizionale sulla protezione delle fonti resta forte in alcuni paesi – e sta progredendo in altri – essa è però gravemente a rischio a causa di una serie di sviluppi preoccupanti.
Lo studio, realizzato da WAN-IFRA per Unesco, conclude che, a meno che le comunicazioni giornalistiche non vengano riconosciute e protette, la fiducia nella confidenzialità delle fonti potrebbe uscirne indebolita. Questo potrebbe far sì che molte informazioni di pubblico interesse – come quelle sulla corruzione o altri abusi – restino sotto silenzio. “Senza fonti confidenziali, molte iniziative di giornalismo investigativo – dal Watergate ai Panama Papers – non sarebbero mai venute a galla”, ricorda lo studio a questo proposito.
Julie Posetti, autrice del report ed ex ricercatrice di WAN-IFRA, ha affermato che lo studio viene pubblicato “in un contesto di rischio senza precedenti per le comunicazioni giornalistiche confidenziali – dove le agenzie di sicurezza nazionale intercettano le email dei reporter e gli agenti doganali sequestrano i telefoni dei giornalisti”.
Posetti fa riferimento a un recente caso australiano dove la polizia federale ha dovuto ammettere di aver avuto illegalmente accesso ai metadati di un giornalista. “È assolutamente spaventoso ed è necessaria una riforma urgente”, ha commentato Posetti. “Io spero sinceramente che lo studio serva come strumento efficacie nella lotta in difesa del giornalismo investigativo che si basa sulle fonti confidenziali e sugli sforzi dei whistleblower nell’interesse di un rafforzamento della democrazia”, ha aggiunto.
13 risultati chiave del report:
1. La questione della protezione delle fonti si scontra con quelle della sorveglianza di massa, della sorveglianza mirata, della data retention, delle ricadute della legislazione antiterrorismo e sulla sicurezza nazionale, e sul ruolo delle aziende tech note come “intermediarie”.
2. I singoli paesi si trovano di fronte alla necessità di aggiornare le leggi sulla protezione delle fonti.
3. Per ottimizzare i benefici, le leggi sulla protezione delle fonti dovrebbero essere rafforzate in contemporanea alla loro estensione ai whistleblower, che costituiscono un importante gruppo di fonti giornalistiche confidenziali.
4. Bisogna educare sia i giornalisti che i cittadini alla cybersecurity.
5. I giornalisti che fanno affidamento su fonti confidenziali per trattare fatti di interesse pubblico potrebbero aver bisogno di istruire le proprie fonti sui metodi sicuri di comunicazione e condivisione delle informazioni.
6. La protezione legale e normativa per le fonti giornalistiche è sempre più a rischio di indebolimento, restrizione e compromissione.
7. Fra il 2007 e la metà del 2015, 84 dei 121 stati membri dell’Unesco (69%) presi in esame per questo report hanno dimostrato passi avanti rilevanti per quanto riguarda la protezione della confidenzialità delle fonti giornalistiche, per lo più con un impatto attuale o potenziale.
8. Le leggi sulla protezione delle fonti devono coprire le comunicazioni e le procedure giornalistiche con fonti confidenziali – incluse telefonate, social media, app di messaggistica ed email – oltre che i contenuti pubblicati.
9. La trasparenza e l’accountability riguardo alla sorveglianza – sia di massa che mirata – e alla data retention sono estremamente importanti affinché le fonti confidenziali possano continuare a entrare in contatto con i giornalisti in modo riservato.
10. Senza un rafforzamento sostanziale della protezione legale e delle limitazioni alla sorveglianza e alla conservazione dei dati, il giornalismo investigativo che fa affidamento a fonti confidenziali sarà difficilmente sostenibile nell’era digitale.
11. Si raccomanda di definire “le operazioni giornalistiche” come distinte dal ruolo del “giornalista” nel determinare chi può godere della protezione legale delle fonti.
12. I giornalisti adattano sempre più di frequente le loro pratiche nel cercare di proteggere, almeno in parte, le fonti dall’esposizione, ma le azioni volte a limitare l’anonimato e la crittografia inibiscono questi sforzi.
13. Il costo finanziario della minaccia alla protezione delle fonti nell’era digitale è significativo (in termini di strumenti di sicurezza digitale, formazione e consulenza legale), e ha un impatto diretto sulla produzione e sul raggio d’azione del giornalismo investigativo basato sulle fonti confidenziali.
Il report completo è disponibile qui.
Articolo tradotto dall’originale inglese da Giulia Quarta
Tags:crittografia, digital whistleblowing, fonti, sicurezza, Unesco, WAN-IFRA