Daniel Ellsberg: “Sono una fonte, non un giornalista”

4 Dicembre 2013 • Libertà di stampa • by

“Sono stata la prima persona nella storia a essere perseguita per aver diffuso dei documenti”, ha raccontato Daniel Ellsberg al pubblico della conferenza organizzata dalla Union for Democratic Communications e da Project Censored all’Università di San Francisco, dedicata a giornalismo investigativo, attivismo e informazione. Durante il suo keynote, il whistleblower che nel 1971 ha portato all’attenzione dell’opinione pubblica i Pentagon Papers ha spiegato quanto il whistleblowing sia d’attualità per l’informazione in questa fase storica e quanto importante esso sia nonostante il generale clima di ostilità e i numerosi pericoli connessi.

Richiamando la sua posizione di fonte nel caso che ha rivelato la vera natura della guerra in Vietnam, Ellsberg ha spostato l’attenzione sul ruolo che Edward Snowden, Chelsea Manning e Jeremy Hammond, ad esempio, hanno svolto nell’esplosione del Datagate e nei leak pubblicati da WikiLeaks: la fonte è l’elemento fondamentale nel compimento di un atto di whistleblowing, quanto la difesa della sua sicurezza. Contrariamente a quanto spesso si legge sui media, specialmente italiani, le persone dietro ai più recenti leak non sono da considerarsi “talpe” nell’accezione spionistica comune. Snowden e Manning, come già Daniel Ellsberg, si sono rivolti agli organi di stampa per consegnare loro documenti che non avrebbero altrimenti potuto raggiungere alcuna visibilità, nascosti dietro il velo della segretezza.

ellsberg-all-nixons-crimes-against-me-now-legal-2Sono, in tutto e per tutto, fonti. Nel corso del suo discorso, Ellsberg ha parlato di come i media sono spesso pronti a usare gli scoop che le fonti condividono con loro anche a costi molto alti, ma non sono sempre disposti a difenderle qualora queste persone venissero allo scoperto e andassero incontro ad accuse e processi in tribunale. Ellsberg ha citato il caso che lo ha visto protagonista in prima persona come fonte del New York Times e di altre testate americane. Dopo la pubblicazione dei Pentagon Papers, Ellsberg è stato criticato dai vertici del giornale per aver “portato la notizia via dal NYTimes, facendone una storia di Daniel Ellsberg”. Un trattamento simile, ha continuato il whistleblower, è stato riservato anche da Bill Keller a Julian Assange e il riferimento evidente è al discusso e ben poco lusinghiero articolo di Keller dedicato al fondatore di WikiLeaks.

Il caso Pentagon Papers è con ogni probabilità il più noto e importante esempio di whistleblowing a scopi informativi nella storia del giornalismo. Solo con WikiLeaks si è assistito a un episodio altrettanto destabilizzante. Tra i due fatti son passati più di 40 anni. Daniel Ellsberg e Chelsea Manning hanno alcuni punti in comune, ma anche molte differenze soprattutto in termini di ruolo e posizione coperta nel momento di diventare whistleblower: insider di primo livello con accessi esclusivi e privilegiati il primo, soldato semplice il secondo. “Quello che ha fatto Manning è quello che ho cercato per tutti questi anni”, ha detto a San Francisco Daniel Ellsberg parlando della fonte di WikiLeaks per la quale si è anche battuto pubblicamente in diverse occasioni.

Ellsberg ha anche lanciato il suo messaggio ai futuri whistleblower: “Il mio messaggio per le persone che potrebbero trovarsi ora nella mia posizione è questo: non fate quello che ho fatto io, non aspettate. Se avete informazioni sulla possibilità che i cittadini siano stati ingannati, non attendete che le bombe inizino a cadere”, alludendo al tempo trascorso a contatto con le informazioni e i dettagli relativi al Vietman, prima di agire per informare il pubblico americano, prendendo la radicale decisione di diventare un whistleblower. Ma Daniel Ellsberg, durante il suo keynote, ha guardato indietro alla sua esperienza, paragonando il suo contesto a quello attuale e mettendo a confronto l’attuale clima per il giornalismo e l’informazione negli Usa con gli anni ’70. Come molti osservatori non hanno mancato di far notare con preoccupazione, infatti, lo scenario non è dei migliori.

“Ci sono stati tre casi di investigazione per Espionage Act prima di Obama, con l’attuale Presidente sono diventate 8, forse 9, se davvero ce n’è una ai danni di Assange, come sostengono i suoi avvocati”, ha dichiarato Ellsberg. Se da un lato, infatti, il whistleblowing sta vivendo una nuova fase di sviluppo, è purtroppo altrettanto vero che la Casa Bianca ha risposto in modo forte al leaking di informazioni classified. Per avere più possibilità di essere ascoltati, il consiglio di Daniel Ellsberg è quello di approcciare la stampa “con una grande mole di documenti”, per generare quanto più impatto possibile. La storia del giornalismo ha insegnato che tutte le accuse contro Ellsberg sono cadute e l’ex analista della Rand è un uomo libero. È andata diversamente a Chelsea Manning e a Jeremy Hammond.

Photo credits: darthdowney / Flickr CC

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