Cosa pensano i giornalisti di WikiLeaks?

14 Gennaio 2014 • Cultura Professionale, Ricerca sui media • by

Di recente, l’ex executive editor del New York Times Bill Keller e Glenn Greenwald hanno discusso le loro opinioni sull’etica e i metodi del giornalismo. Ad accendere ulteriormente il dibattito, almeno negli Usa, sulla scia del caso Snowden, si è inserito anche la possibile introduzione di una “shield law” per chi fa informazione. La legge ha fatto discutere soprattutto per la sua eventuale estensione: chi dovrebbe essere considerato un giornalista e beneficiare di conseguenza dello scudo? Julian Assange, ad esempio, dovrebbe ricadere sotto il cappello della shield law? Per rispondere alla domanda su quale sia la reale opinione dei giornalisti su WikiLeaks, Elizabeth Blanks Hindman (Washington State University) e Ryan J. Thomas (University of Missour-Columbia) hanno analizzato come i giornali americani hanno affrontato il caso WikiLeaks, mettendo sotto la lente di ingrandimento i loro editoriali.

Stando ai risultati della loro ricerca, negli editoriali i giornali americani si sono espressi in modo molto critico nei confronti della piattaforma di whistleblowing, rafforzando la distinzione tra “vecchi” e “nuovi” media ed “enfatizzando”, come scrivono i ricercatori, “la mancanza di discernimento di WikiLeaks”, sostenendo, al contrario, la piena legittimazione del giornalismo tradizionale come “il solo e unico rappresentante dell’interesse pubblico”. Inoltre, lo studio si è concentrato sul modo in cui gli editoriali hanno trattato la tensione tra il diritto dei cittadini a essere informati e il bisogno dei governi di sostenere la sicurezza nazionale. Un numero sorprendente di editoriali analizzati ha preso apertamente le distanze da WikiLeaks, sostenendo che certe informazioni dovrebbero essere mantenute nell’alveo della segretezza, difendendo la realpolitik della sicurezza nazionale. Per offrire un’interessante prospettiva storica, i ricercatori hanno anche analizzato come gli editoriali hanno paragonato il caso WikiLeaks e quello dei Pentagon Papers (1971), scoprendo che i giornalisti americani considerano i due avvenimenti come ben distinti. Se il leak di Daniel Ellsberg sulla guerra in Vietnam è genericamente considerato come un atto eroico, esso, nell’opinione degli editoriali analizzati, non ha molto in comune con quanto WikiLeaks ha portato in superficie nel 2010. Secondo i ricercatori, WikiLeaks è complessivamente “rappresentata come incauta e accusata di agire senza alcun riguardo per le conseguenze delle sue azioni”.

Nelle conclusioni, i ricercatori sottolineano alcuni passaggi emblematici degli editoriali analizzati. Per esempio, nell’indirizzare la questione “vecchi” vs. “nuovi” media, il Baltimore Sun scriveva nel 2010 che i giornali devono necessariamente “rispondere alle azioni di WikiLeaks proprio con la discrezione e la maturità che manca all’organizzazione”. Il Daily News, invece, si spingeva ancora più in là affermando che Julian Assange non è un giornalista ma un “criminale anti-americano la cui arma è l’informazione”. Molti editoriali hanno insistito su una “forte distinzione” tra WikiLeaks stessa e i suoi media partner nella pubblicazione dei megaleaks (The Guardian, New York Times, Der Spiegel) nel 2010. Per esempio, The Charlotte Observer, nel 2010, scriveva: “il NyTimes è entrato in possesso di informazioni segrete. A quel punto, avrebbe potuto ignorarle, ma queste sarebbero diventate di dominio pubblico comunque, tramite WikiLeaks. […] Oppure, avrebbe potuto fornire quelle informazioni dando loro contesto, analisi e maneggiando con cura ogni dettaglio che avrebbe potuto mettere a repentaglio la sicurezza nazionale. E questo è stato quello che il Times ha deciso di fare”.

Il bilanciamento tra il diritto dei cittadini a conoscere e la richiesta dei governi di mantenere segreti è stata invece affrontata in modo meno chiaro dai giornali Usa. Quei giornali che hanno difeso WikiLeaks lo hanno fatto per supportare la libera circolazione dell’informazione, fanno sapere i ricercatori. Tra questi,  The St. Petersburg Times che, ad esempio, scriveva che “serve più e non meno informazione”. Quelle testate che, al contrario, hanno attaccato l’organizzazione di Julian Assange, lo hanno fatto con “molta drammaticità”, riferendosi agli interessi degli Usa messi in pericolo. Tra questi, i ricercatori citano The Oklahoman, che ha sostenuto come “il fondatore di WikiLeaks Julian Assange vuole chiaramente danneggiare la credibilità degli Stati Uniti se non addirittura il suo potere”. Secondo i risultati di Hindman e Thomas, inoltre, per i giornali americani, WikiLeaks non avrebbe il diritto di “indossare il mantello dei Pentagon Papers”. La principale ragione per sostenere questa posizione, da parte delle testate oggetto dello studio, potrebbe essere quella di definire che il leak di Daniel Ellsberg come qualcosa realizzato grazie a “loro”, ai media tradizionali, mentre quanto pubblicato da WikiLeaks sarebbe, al contrario, il prodotto di un nuovo player dello scenario dell’informazione. Come a voler rafforzare ulteriormente la distinzione tra giornalismo tradizionale e tutti gli altri attori dell’informazione.

Per svolgere il loro studio, i ricercatori hanno raccolto tutti gli editoriali pubblicati dai giornali americani dal 28 novembre (la data della pubblicazione del Cablegate) al 28 dicembre 2010 – per un totale di 83 articoli -, con l’intento di focalizzarsi sugli  op-ed che hanno analizzato la pubblicazione dei cablo diplomatici americani. I dati sono stati analizzati con una “ethnographic content analysis”. I risultati dello studio mostrano un’interessante overview del coverage dato a WikiLeaks da parte dei giornali americani sull’onda del Cablegate. Bene notare, comunque, come i ricercatori non abbiano incluso tra i risultati i numeri precisi della loro ricerca: sarebbe interessante andare ad analizzare in modo ancora più dettagliato come il coverage sia stato distribuito tra diverse testate.

Articolo tradotto dall’originale inglese

Photo credits: WikiLeaks Mobile Information Collection Unit / Flickr CC

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