Due Times, due paywall, per ora nessun vincitore

5 Aprile 2011 • Digitale, Editoria • by

2011, un anno decisivo per i sistemi a pagamento introdotti dal Times di Londra e dall’americano New York Times. Concepiti in base a una logica profondamente diversa, – un sistema a sbarramento completo quello del Times, un sistema flessibile e aperto quello del NYT – entrambi i paywall sono sotto attenta osservazione da parte dell’industria dei media. Non potrebbe essere altrimenti: costituiscono il primo vero tentativo, da parte di testate giornalistiche a contenuto generalista, di sovvertire il modello gratuito fatto proprio dalla quasi totalità dei siti di informazione online. E per entrambi esiste una differenza fondamentale rispetto al vecchio modo di concepire i sistemi a pagamento. Mentre negli anni passati l’attenzione era tutta concentrata sull’accesso al web, la teorizzazione di un sistema a pagamento è oggi legata a una pluralità di fruizione dei contenuti digitali che differisce in base al dispositivo utilizzato, computer, smartphone o tablet.

Si tenta perciò di coniugare un costo a un’offerta digitale complessiva annegando il costo di esercizio del web in un abbonamento che abilita un’utilizzo polivalente. Sulla riuscita di un simile modello prevale lo scetticismo sebbene molte delle critiche siano contestabili poiché basate unicamente su ragionamenti che fanno riferimento a una metrica ereditata da internet, che può essere corretta per Google, ma non necessariamente per l’industria dell’informazione editoriale. Se si ragiona da un punto di vista squisitamente economico è infatti ancora tutto da dimostrare quale effetto possa provocare una diminuzione dei lettori e in quale misura questo fenomeno possa incidere sui ricavi pubblicitari.

Al momento è troppo presto fare valutazioni sull’operazione del NYT, il cui sistema a consumo è entrato in vigore il 28 marzo scorso. Qualche considerazione può essere fatta per il Times di News Corp. di proprietà di Murdoch, sebbene il tutto si dimostri alquanto complicato per il fatto che non vengono resi disponibili dati esaurienti ed esaustivi sull’effettivo andamento della nuova gestione. Di sicuro si può affermare che il passaggio al paywall non è una passeggiata, poiché significa mettere in moto un meccanismo largamente osteggiato dai consumatori, il che significa innescare una serie di reazioni imprevedibili.

Al momento il giornale londinese vanta 79.000 persone paganti di cui 29.000 acquisite negli ultimi 5 mesi. Un incremento che non compensa pienamente il continuo declino della carta stampata, stimato nell’ultimo anno nell’ordine delle 58 mila copie. Non si sa quali siano le nuove dinamiche pubblicitarie, se i ricavi siano diminuiti o aumentati. Non si conosce la ripartizione del pubblico a pagamento per piattaforma: quanti clienti web, quanti su smartphone e tablet.

Per il Guardian, giornale che non è mai stato sfiorato dalla tentazione di convertirsi al paywall, quanto succede al Times è la prova della incongruenza del modello a pagamento rispetto al mercato dell’informazione digitale. Eppure quanto sta accadendo testimonia l’estrema eterogeneità di approccio all’erogazione dell’informazione. Nonostante il sistema a pagamento sia ancora limitato a pochi giornali, la crescente affermazione di modalità di fruizione alternative mette in discussione la stessa natura del contenuto offerto su web. E in conseguenza di questi fenomeni si può immaginare un futuro sempre più caratterizzato da modelli di business diversificati, ciascuno dei quali tenderà a ricercare la formula più adatta per rispondere alle sfide del mercato.

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