Sharing mirage
e low engagement

14 Gennaio 2013 • Digitale • by

La condivisione sociale dell’informazione rappresenta un’area sempre più rilevante sia per quanto riguarda l’acquisizione di informazioni da parte delle persone attraverso i social network che in termini di costruzione della notorietà del brand da parte delle testate giornalistiche.

Per capire come venga gestito questo processo da parte dell’industria dell’informazione italiana abbiamo scelto alcune testate, sia all digital che non, cercando di verificare comportamenti, strategie messe in atto e livello di coinvolgimento delle persone.

Per l’edizione online dei quotidiani tradizionali, delle testate che hanno una corrispondente versione cartacea sono state esaminate La Stampa, La Repubblica, Il Corriere della Sera ed Il Fatto Quotidiano, mentre tra le fonti d’informazione che vengono pubblicate solo online sono stati considerati HuffPost Italia, Il Post, Lettera43, Linkiesta e FanPage. Delle precitate testate sono stati analizzati gli account Twitter e le Fan Page su Facebook di ciascuna delle stesse.

Per quanto riguarda Facebook il principale parametro preso in considerazione, oltre al numero di fan, che rappresenta un valore esclusivamente quantitativo, è stato analizzato, utilizzando i dati resi disponibili attraverso Socialbakers e/o Facebook laddove non disponibili, il parametro relativo a “people talking about” (persone che ne parlano) poiché registra e misura le interazioni all’interno della pagina monitorando i seguenti indicatori: numero di “like”, di “mi piace”,  post degli utenti sulla bacheca, commenti o condivisioni dei contenuti pubblicati sulla pagina,  risposte alle domande (eventualmente) postate,  conferme ad un invito e menzioni/tag della pagina, rappresentando così un primo parametro universale per misurare il livello di engagement, di coinvolgimento delle persone sul social network più diffuso al mondo.

Come era emerso da analisi precedenti specificatamente dedicate alla realtà italiana, la tavola di sintesi dei risultati evidenzia come a fronte di esempi di buone pratiche vi siano casi diffusi di elevati margini di miglioramento nel coinvolgimento delle persone all’interno delle Fan Page di Facebook. Se spicca il 18,3% di La Stampa altrettanto non può non balzare all’occhio il modesto 4,3% del Il Corriere della Sera che non capitalizza assolutamente l’elevato numero di fans. Come benchmark, come riferimento si consideri che The Guardian ottiene una percentuale di coinvolgimento del 15,8%. Complessivamente migliori le performance delle testate all digital anche se i valori assoluti del numero di fans è estremamente ridotto rispetto ai media tradizionali eccezzion fatta per FanPage che però, nonostante si collochi primo tra i media italiani e tra le prime 10 brand page del nostro Paese, non brilla certamente in termini di coinvolgimento delle persone.

Se per quanto riguarda Facebook la situazione, pur con ampi margini di miglioramento, complessivamente è migliore di quanto forse ci si potesse attendere, considerando che i primi 200 marchi al mondo per numero di fan stanno ahimè in percentuali che raramente arrivano a superare l’1%, su Twitter siamo davvero all’anno zero.

Per quanto riguarda la piattaforma di microblogging da 140 caratteri deputata a “newswire” a media informativo per eccellenza, sono stati presi in considerazione il numero di followers, il numero di persone seguite ed il rapporto tra questi due valori, la percentuale di risposta, il numero medio di tweet al giorno, i retweet di altri e i retweet di altri negli ultimi tre mesi. Per l’analisi è stato utilizzato anche in questo caso un tool gratuito ma sufficientemente affidabile e dettagliato.

Se già il rapporto tra persone che seguono l’account su Twitter e persone che vengono seguite mostra con chiarezza come nella stragrande maggioranza dei casi non vi sia ascolto, la conferma dell’utilizzo di Twitter come megafono ai limiti dello “spamming social” arriva sia dal tasso di risposta tendente a zero e dalla differenza tra quanto vengano retwittati i tweet delle testate e quanto invece siano i retweet delle testate di altre fonti, di altre persone. Retweet che molto spesso sono autoreferenziali comè il caso di HuffPost Italia che tra le persone che maggiormente retwitta vede Marco Pasqua Capo Redattore della testata stessa, di Il Corriere della Sera, anche in questo caso come per Facebook uno dei peggiori performer, che retwitta con assiduità (si fa per dire) i propri De Bortoli o Daniele Manca e La Repubblica che, guarda caso, retwitta RepubblicaTV ed Ezio Mauro ma anche Il Post che si concentra su Luca Sofri e Francesco Costa.

Insomma ascolto, partecipazione e coinvolgimento sono davvero ai minimi livelli rispecchiando l’inseguimento di quello che Frédéric Filloux sapientemente aveva definito“sharing mirage”, di un utilizzo dei social media come semplice amplificatore, come megafono e non come mezzo di ascolto e di relazione, di “conversazione” con le persone.

La stessa tendenza emergeva da un’indagine condotta da Argyle, società che fornisce un pannello di controllo, una dashboard per la gestione e l’analisi dei contenuti sui social media, che ha analizzato oltre 150mila tweet e aggiornamenti di status su Twitter, Facebook e Linkedin di un campione di aziende differenziato per tipologia e settore di appartenenza, monitorando le modalità di diffusione dei contenuti e analizzando la propensione da parte delle imprese a condividere esclusivamente contenuti propri o meno. Non è veicolando esclusivamente contenuti propri e annullando qualsivoglia relazione che si ottiene consenso e successo.

Infatti dai risultati emergono chiaramente tre categorie di aziende:

  • ·Curators = Aziende che condividono per il 75%, o più, contenuti non propri
  • ·Balanced = Aziende che condividono tra il 50 il 75% contenuti non propri
  • ·Self-Promoters = Aziende che condividono per il 50%, o oltre, contenuti propri

Per ciascuna di queste sono stati identificati i click per post ed il tasso di conversione medio evidenziando con chiarezza come il miglior risultato è ottenuto dalle imprese che adottano una modalità “balanced”.

Le evidenze raccolte suggeriscono dunque di adottare una politica di condivisione che non superi il 40% di contenuti propri. Un dato medio che, come giustamente ricorda Tristan Handy, Director of Operations di Argyle Social, deve essere adattato e personalizzato in base alle singole esperienze ed evidenze raccolte ma che certamente è ben distante dalle pratiche delle testate analizzate.

 

 

 

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