I lettori non percepiscono differenze significative nella qualità dei contenuti generati da software e quelli redatti da esseri umani. Anzi, è difficile o addirittura impossibile per loro riconoscere le differenze. Lo dimostrano due ricerche condotte dai ricercatori Christer Clerwall, dell’Università di Karlstadt, e Hille Van Der Kaa ed Emiel Kramer dell’Università di Tilburg.
Le ricerche
Per il suo studio “Enter Robot Journalism”, Clerwall ha per prima cosa selezionato, su base bibliografica e sperimentale, 12 indicatori di qualità giornalistica: “oggettivo”, “affidabile”, “accurato”, “noioso”, “interessante”, “piacevole da leggere”, “chiaro”, “informativo”, “ben scritto”, “utilizzabile”, “descrittivo” e “coerente”. Alla seconda fase dello studio hanno poi partecipato 46 studenti – 30 donne e 16 uomini – di età compresa tra i 20 e i 32 anni, cui è stato chiesto di dare un punteggio, in relazione a questi parametri, ad articoli riguardante il medesimo argomento, redatti sia da un software che da giornalisti in carne e ossa. La prima versione è stata sottoposta al giudizio di 27 persone, mentre la seconda di 19. Dopo la prima valutazione, ai partecipanti è stato chiesto di dichiarare se il testo fosse stato scritto da una macchina o da una persona.
Un procedimento simile è stato adottato anche in Olanda da Van Der Kaa e Krhamer, i quali hanno preliminarmente identificato, su base bibliografica, le possibili similitudini tra il processo di realizzazione di un articolo nei diversi casi di scrittura “robotica” e “umana”, per poi concentrare la loro attenzione sulla percezione degli articoli da parte dei lettori. Al campione, 232 persone – 45,7% uomini e 54,3% donne – di cui 64 giornalisti, sono stati infatti sottoposti articoli su un argomento scelto casualmente tra 4, la cui unica manipolazione è stata la segnalazione della fonte di scrittura “questo articolo è stato scritto da un robot” e “questo articolo è stato scritto da un umano”, indicata all’inizio dell’articolo. Ai partecipanti è stato successivamente chiesto di valutare gli articoli secondo 12 fattori: “competenza”, “intelligenza”, “educazione”, “affidabilità”, “autorità”, “parzialità”, “accuratezza”, “completezza”, “basato su fatti”, “qualità del testo”, “onestà”.
I risultati
La ricerca condotta da Clerwall ha dimostrato che i testi redatti dai giornalisti hanno ottenuto punteggi maggiori nelle categorie “coerenza”, “ben scritto“, “chiaro” e “piacevole da leggere”, mentre le macchine hanno superato i “colleghi” umani nelle categorie “descrittivo”, “informativo“, “degno di fiducia” e “oggettivo”. Tuttavia, come specificato dal ricercatore nel paper, le differenze sono risultate minime, con un leggero vantaggio delle macchine sui giornalisti per quanto riguarda i fattori di credibilità. In relazione alla possibilità di identificare l’origine del contenuto, le differenze tra gli articoli prodotti si sono dimostrate non rilevanti. Nonostante questi risultati sembrino avvantaggiare i giornalisti robot, ci sono alcuni elementi, secondo i risultati di Clerwall, che sembrano rimettere i giornalisti in carne e ossa in una posizione di forza: la “creatività”, la “flessibilità” e le “capacità analitiche”.
Anche l’analisi svolta da Van Der Kaa e Krhamer ha dimostrato che le differenze percepite a livello di credibilità da parte dei lettori non sono rilevanti. Se da un lato non vi è stata una sensibile distanza nella percezione di “affidabilità” dei robot da parte dei lettori e dei giornalisti interpellati, è stato però rilevato invece un disaccordo più marcato per quanto riguarda il loro livello di “competenza”: chi si occupa di informazione per professione, infatti, ha percepito complessivamente un valore più elevato rispetto ai fruitori comuni. La ricerca ha infine dimostrato anche come i consumatori di notizie presentino una posizione neutrale rispetto ai contenuti “software generated”.
Robot journalists: minaccia o opportunità?
Il panorama presentato da queste ricerche potrebbe essere inquietante per molti giornalisti, in qualche modo minacciati da una nuova tecnologia che potrebbe, in futuro, sostituire il loro lavoro. Un timore più che naturale: in passato abbiamo già visto come l’automatizzazione dei processi abbia messo in pericolo alcune professioni. Ma possiamo dire che questo accadrà anche per il giornalismo? Nonostante i risultati della sua ricerca, Clerwall ha aggiunto un’interessante riflessione, basata su ulteriori studi bibliografici, con cui è facile concordare: ci sono alcuni aspetti dell’attività umana che non potranno mai essere sostituiti da una macchina.
I software in grado di generare contenuti giornalistici offrono comunque anche un potenziale nuovo al settore, togliendo, in alcuni casi, alle persone l’onere di mansioni automatizzabili e dando loro, di conseguenza, la possibilità di approfondire le indagini su determinati argomenti o di specializzarsi sempre di più. Come specifica Clerwall, questo non esclude che alcune organizzazioni possano decidere di eliminare i giornalisti per fare spazio alle macchine.
Per approfondire: I robot giornalisti possono servire l’interesse pubblico? di Nicholas Diakopoulos
* EJO student contribution
Tags:algoritmi, giornalismo digitale, Narrative Science, ricerca sui media, robot, robot journalism, robotica, software