L’espansione africana condotta dalle organizzazioni mediatiche cinesi, finanziate dal governo centrale di Pechino, è un fenomeno recente. L’obiettivo ufficiale sarebbe la costruzione di una nuova voce nel giornalismo africano, fornendo positive reporting, alta qualità e la capacità di differenziarsi da altri media già riconosciuti, come Bbc, Al Jazeera o Cnn. Creare, quindi, una forma di developmental journalism, in collaborazione con giornalisti locali, per diffondere un’ immagine positiva dell’Africa.
Una nuova ricerca condotta da Iginio Gagliardone (University of the Witwatersrand) e Nyíri Pál (Vrije Universiteit) fa emergere però contraddizioni sul lavoro svolto finora dal giornalismo cinese in Africa. Dai risultati dello studio emerge come i media cinesi preferiscano assecondare i bisogni dei lettori e telespettatori in patria – la crescente classe media – attratta in Africa da interessi economici e nuove possibilità lavorative. Gli investimenti cinesi in infrastrutture, agricoltura ed estrazioni minerarie risultano essere, ad esempio, i temi seguiti più scrupolosamente dai corrispondenti cinesi nei paesi africani. L’idea di fondo del progetto sembra quindi essere duplice: da un lato creare organizzazioni mediatiche molto competitive in Africa, che possano anche sfidare gli altri network stranieri, dall’altro, perseguire l’idea cinese al “soft power”. In sostanza, parlare di Africa per parlare di Cina al mondo.
Gagliardone e Pál hanno svolto 24 interviste tra il 2012 e il 2014 ad ex e attuali giornalisti di lingua cinese e inglese di base a Nairobi, Addis Abeba, Haare, e a editor a Pechino. Nelle interviste emerge l’incapacità di creare un solido legame tra corrispondenti cinesi e giornalisti locali: sebbene i due gruppi dovrebbero lavorare in sinergia, le diversità culturali e i background personali giocano ancora un ruolo importante. Fondamentale è ad esempio la differenza su come le due categorie intendano il giornalismo. I corrispondenti cinesi preferiscono un giornalismo standardizzato e istituzionalizzato, con un preponderante “China’s angle”; i colleghi africani utilizzano invece un approccio più semplice e immediato, in linea con la loro tradizione. La ricerca ha rilevato anche il timore, da parte della controparte africana, che le sperimentazioni giornalistiche cinesi possano comportare toni celebrativi e autoritari.
La distanza dei corrispondenti cinesi dipende da tre fattori: il primo riflette la mancanza di interesse personale nel perseguire un giornalismo investigativo. Il ruolo del corrispondente è infatti descritto come tappa obbligata, ma sicura, prima di ricevere incarichi amministrativi di alto livello in Cina: sarebbe troppo rischioso perseguire un giornalismo più aggressivo, che potrebbe danneggiare le operazioni cinesi in Africa.
Il secondo fattore deriva invece dalla difficoltà di fare giornalismo professionale e investigativo: spesso gli editor a Pechino decidono se pubblicare un articolo oppure farlo riadattare, secondo i parametri cinesi, istituzionalizzati e precisi. Infine il terzo rivela come i corrispondenti cinesi preferiscano perseguire un modello di giornalismo che piace molto al pubblico occidentale: dinamico, con report sensazionalistici, con notizie neutre o negative sull’Africa. Di fondo c’è il bisogno di attrarre sempre nuova audience, e di poter competere nel mercato internazionale.
L’ascesa mediatica cinese in Africa
È notevole l’interessamento economico delle organizzazioni di media cinesi in l’Africa. Nell’ultimo decennio il governo centrale cinese ha finanziato con cifre oscillanti tra i 2 e i 9 miliardi di dollari organizzazioni come Xinhua News Agency, China Central Television (CCTV), China Radio International (CRI), People’s Daily, e China Daily. L’entrata dei media cinesi in Africa non è simbolo di un nuovo sviluppo nel mondo internazionale dei media, ma è intesa come parte della crisi strutturale che il giornalismo sta vivendo, e della fatica economica per molti organi nel mantenere una presenza in Africa.
Lo sviluppo degli organi cinesi è indicativo di una trasformazione geopolitica della Cina, sempre più protagonista sulla scena mediatica internazionale. Gli organi dei media cinesi stanziati in Africa sono di fronte a un bivio. Sviluppare un giornalismo distintivo e con un forte appeal per un pubblico sempre più internazionale, oppure seguire i dettami del governo centrale: notizie cinesi per un’audience cinese?
Articolo pubblicato nel contesto del corso di “Economics of Journalism and quality management in newsrooms” del Master in Gestione dei media dell’Università della Svizzera italia
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