“Dimenticare è umano, ma Internet non vuole dimenticare” scrive Viktor Mayer Schönberger nel suo “Diritto all’oblio nell’era digitale” e il workshop di venerdì all’Internet Festival di Pisa ha trattato proprio questi argomenti: “Identità digitali, diritto all’oblio e anonimato nella rete”. L’incontro ha indagato i molteplici aspetti dell’identità digitale da un punto di vista giuridico, attraverso una ricognizione degli strumenti che caratterizzano la marcatura dell’identità in Rete.
Il diritto all’identità personale nasce intorno agli anni Settanta, ha spiegato a Pisa la professoressa Dianora Poletti, come diritto alla corretta rappresentazione della persona, ma “quando questo concetto si sposta nella Rete”, ha spiegato Poletti, “riguarda le nostre informazioni inserite online da noi o da altri. Abbiamo così una scomposizione dell’identità nella nuova realtà online”. In questo nuovo scenario, si parla di “individuo moltiplicato”, per dirla come Stefano Rodotà. La vasta diffusione di raccolte di dati personali, come ha scritto il giurista in un suo articolo già nel 1998, produce infatti forme di “frantumazione, disloca il sé di ciascuno in luoghi diversificati. L’unità della persona viene spezzata. Al suo posto troviamo tante persone elettroniche quanti sono gli interessi che spingono alla raccolta delle informazioni”.
Internet offre una libertà di accesso alle informazioni in passato impensabile. Se ciò da una parte costituisce una ricchezza irrinunciabile per la moderna società della conoscenza, dall’altra diventa necessario approfondirne i rischi per la persona, basti pensare al ruolo dei social network, ma anche al dibattito sugli archivi giornalistici online e ai profili di tutela della privacy.
Gli archivi online dei giornali, se da un lato garantiscono una memoria storica che permette all’utente di approfondire vicende e argomenti, dall’altro possono porre delle criticità nell’ambito del rispetto per il diritto all’oblio, che “in Italia non è ancora codificato”, come ha specificato la professoressa Poletti. Emblematica in questo senso la sentenza della Corte di Cassazione, n. 5525 del 2012, riguardo a un articolo del Corriere della Sera sull’arresto di un politico per corruzione nel 1993 e poi prosciolto. L’articolo dava conto dell’arresto, ma non degli sviluppi successivi. Il politico in questione ha fatto ricorso alla Cassazione perché il servizio, spostato nell’archivio del giornale, era ancora indicizzato dai motori di ricerca, e la sua riproposizione poteva gettare discredito sulla persona in oggetto. Secondo la Corte, è il principio di correttezza a fondare l’esigenza di un bilanciamento degli interessi tra il diritto di cronaca e quello al rispetto della riservatezza altrui. La sentenza stabilisce che il giornale deve garantire l’aggiornamento e l’integrazione delle notizie.
Dello stesso avviso è la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che in una sentenza del 16 luglio 2013 si è espressa contro l’eventuale cancellazione di contenuti, in quanto tale pratica avrebbe potuto configurarsi come alterazione di un dato storico. Dal punto di vista della massima autorità giuridica comunitaria, l’interesse della collettività prevale su quello del singolo, che deve essere a sua volta tutelato tramite l’aggiunta in calce all’articolo di una nota che dia conto degli sviluppi della vicenda.
La difficoltà di gestire le diverse tracce lasciate dalla nostra presenza online è stata al centro anche dell’intervento di Valentina Amenta, ricercatrice dell’Istituto di Informatica e Telematica del Cnr. L’avvocato Chiara Pasquinelli nel suo intervento ha invece ben sintetizzato questo approccio con un ammonimento: “Il diritto all’oblio non deve in nessun caso coincidere con la facoltà di riscrivere la storia come accadeva con il ministero della Verità di Orwell”. Proprio “1984” è stato preso anche come metafora per l’inizio della presentazione di Alberto Stornelli e Marco Ciaffone dell’associazione no profit Agorà Digitale. I due hanno proposto, citando ancora Rodotà, l’immagine di “Orwell in Athens” – tratta dal saggio di Wim B. H. J. Van De Donk, I. Th. M. Snellen e Pieter W. Tops, ripreso anche da Stefano Rodotà in “Tecnopolitica” – come emblema della dicotomia tra una società che utilizza le nuove tecnologie digitali con l’obiettivo di sfruttarne le potenzialità in termini di emancipazione democratica e un sistema politico ed economico che, nel frattempo, raccoglie dati degli utenti traendone un proprio vantaggio.
Il dato di partenza dell’intervento è stato l’utilizzo a scopi commerciali che i grandi player della rete fanno delle informazioni di navigazione dei netizen, ai quali vengono richieste, in media, 180 ore per leggere le condizioni d’uso di una piattaforma Internet o di un social network. A tal proposito, Stornelli e Ciaffone hanno illustrato le caratteristiche tecniche dei principali strumenti utilizzati per il tracking dei dati personali e quelle degli speculari strumenti per la navigazione in incognito e lo scambio di file al riparo da occhi indiscreti, soprattutto in ambito giornalistico.
Il panel dell’Internet Festival di Pisa ha tirato le fila dei conflitti tra diversi diritti che hanno preso forma in quest’era digitale; il diritto alla privacy sembra in primo luogo contrapporsi agli interessi commerciali di alcuni big della rete, senza contare i casi in cui vengono sollevati conflitti con la liberazione dei dati della pubblica amministrazione; su un altro piano, invece, il diritto all’oblio finisce per contrapporsi al diritto di cronaca, e in assenza di norme certe si rischia di dover ancora documentare casi come quello che ha visto il direttore della testata online abruzzese Primadanoi.it condannato per una notizia vera ma, a detta del giudice, troppo vecchia per essere lasciata alla pubblica consultazione.
Problemi e nodi spesso frutto, come è emerso nel vivace dibattito nato a termine del workshop, della poca preparazione in materia di nuove tecnologie che caratterizza alcuni fondamentali ruoli di potere del paese, in sede giudiziaria e politica, come palesato da sentenze controverse e disegni di legge accolti con allarme dagli addetti ai lavori. La conclusione dei ragazzi di Agorà Digitale è stata dedicata a uno scenario futuribile nel quale i rapporti di forza in Rete risultano ribaltati, con i cittadini impegnati a creare comunità su piattaforme partecipative, come quella sulla quale l’associazione sta lavorando, “L’Era della Trasparenza“. Il loro scopo è fornire uno spazio dove i cittadini avranno la possibilità di mettere le mani sui dati di spesa della Pubblica amministrazione senza dover cedere i propri. Un modo, parole loro, di “liberare il potenziale offerto dai nuovi media al giornalismo”.
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