Le grandi organizzazioni, per di più se finanziate pubblicamente, sviluppano una vita e una dinamica proprie, anche quando non ci sarebbe più davvero bisogno di loro. Il primo ad aver evidenziato questo fenomeno è stato lo storico Cyril Northcote Parkinson, prendendo come spunto la marina britannica: dopo la prima guerra mondiale, infatti, la flotta del Regno Unito era stata ridotta, ma se contemporaneamente la truppa che si occupava della manutenzione delle navi in porto era cresciuta, il numero degli ufficiali ammiragli si era addirittura sovradimensionato.
Anche altre burocrazie rischiano di essere vittime della “Legge Northcote Parkinson” che comporta un semplice riposizionamento di scopi, nell’accezione di Amitai Etzioni, soprattutto nei casi delle emittenti radio-televisive europee pubbliche, dove queste si auto-controllano essenzialmente in maniera autonoma. Gli organi di vigilanza sono spesso occupati da parlamentari, per i quali è essenziale che questi media parlino di loro in modo positivo. Costoro considerano i servizi radio-televisivi come i loro giocattoli preferiti e non si preoccupano di vederli diventare apparati di dimensioni esagerate, al cui sovradimensionamento, al contrario, bisognerebbe mettere un freno. In Germania, fortunatamente, la Corte costituzionale federale ha dato recentemente un piccolo cenno in questa direzione e ha sentenziato che nel Cda della Zdf siedano un paio di politici in meno.
Dal nostro conto, a Lugano, in occasione dell’anniversario dei dieci anni di fondazione dell’Osservatorio Europeo di Giornalismo (Ejo), abbiamo organizzato un ciclo di seminari con diversi esperti internazionali per analizzare le chance future delle radio e delle televisioni pubbliche. Ai workshop hanno partecipato anche l’Associazione dei giornalisti ticinesi e la CORSI, la cooperativa responsabile della Rsi, radio e televisione ticinese.
La conclusione del ciclo di eventi è stata al contempo il momento culminante della serie di incontri, con un dibattito tra il direttore generale della Srg Ssr Roger de Weck e il finanziere ticinese Tito Tettamanti, che da anni si occupa anche di editoria. Tettamanti ha subito spiazzato i partecipanti iniziando con un semplice espediente: ha estratto dalla tasca della giacca il programma della televisione del giorno precedente, lo ha letto ad alta voce e ha chiesto, non del tutto ingiustificatamente, cosa vi fosse di reale “servizio pubblico” in questo palinsesto. De Weck ha replicato mettendo in evidenza soprattutto le molteplici offerte di programmi culturali che, senza la Srg Ssr, non sarebbero altrimenti offerti ai telespettatori svizzeri.
Durante il nostro ciclo di incontri si sono delineate tre principali impressioni, che ritengo degne di nota. La prima di queste si può riassumere così: tutte le ragioni di fondo, che in passato in Europa avevano portato alla decisione di organizzare il servizio di radio-televisione su base pubblica e non privata sono, nel frattempo, diventate obsolete a causa della digitalizzazione e dell’avvento di Internet. In questo nuovo scenario è necessario, quindi, un ripensamento del ruolo che dovrà assumere il servizio radio-televisivo pubblico, destinato a diventare sempre di più un fornitore di notizie e di intrattenimento in rete.
Il secondo punto importante, come Roger de Weck ha fatto giustamente notare, è invece il seguente: un’emittente che aderisce alla cultura di “public service”, fornisce – nel senso letterale della parola “servire” – una prestazione di servizio pubblico, rimanendo un’importante fonte di cultura, uno strumento di integrazione nazionale e un servizio di tutela delle minoranze. In Svizzera, e per altro anche in Gran Bretagna, nonostante alcune crisi che hanno fatto vacillare la Bbc, esiste certamente questo tipo di impostazione. In altri paesi, al contrario, come per esempio in Italia, la propensione da parte dei politici e dei dirigenti a usare la Rai come strumento a loro servizio è molto più evidente. Però, il semplice fatto che ora, sia in Germania che in Gran Bretagna, i dirigenti della radio e della televisione pubblica inizino a guadagnare più del Primo Ministro o del Cancelliere federale, è un ulteriore indizio negativo di quale stia diventando veramente la mentalità alla base del concetto di “servizio”. Detto in altre parole, è noto che il pesce cominci a puzzare dalla testa.
Per concludere, per quel che riguarda la sola Svizzera, la Srg Ssr è certamente un gigante sul palcoscenico nazionale, mentre nel mercato globale è al contrario un pesce minuscolo. Si potrebbe addirittura avanzare l’ipotesi che persino colossi come la Bbc, l’Ard o la Zdf siano troppo piccoli per tener testa alla sfida dell’era dell’informazione digitale. Bisognerebbe cercare di evitare che giganti come Google e Facebook, che nel loro mercato stanno diventando sempre più dei veri monopoli, si insinuino nella nostra vita privata, arrivando addirittura al punto di assumere il ruolo di gatekeeper, pilotando da lontano grazie ai loro algoritmi ciò che ognuno di noi possa e debba venire a sapere su ciò che succede nel mondo.
D’altra parte, queste aziende di servizio pubblico, con i miliardi derivanti dal canone, sono troppo grandi in confronto ai piccoli concorrenti del settore editoriale, che si devono finanziare privatamente. Questi ultimi non hanno chance, su Internet, con solo la loro offerta multimediale. In Svizzera ciò significa che, al di fuori della Srg Ssr, solo il gruppo Tamedia e forse Ringier potrebbero avere una possibilità di sopravvivenza sul mercato fortemente concorrenziale del web. Per la Nzz serbo delle speranze, nel caso quest’ultima riuscisse a cooperare con testate straniere come la Frankfurter Allgemeine Zeitung o la Presse di Vienna.
Mai come ora la varietà dell’offerta mediatica è minacciata. Le varie testate più piccole, come la Schaffhauser Nachrichten, La Regione o Le Temps non hanno alcuna possibilità di contrastare nel web i grandi del settore, compresa la Srg Ssr e le sue propaggini in Svizzera Romanda e Ticino.
Articolo pubblicato originariamente su Werbewoche Nr. 7, il 18.4.2014. Traduzione dal tedesco di Alessandra Filippi
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