L’informazione scorre costantemente su diversi canali e senza tregua. Il flusso di dati e aggiornamenti cui siamo esposti ogni giorno è continuo e spesso lascia poco tempo per “digerire” a dovere tutte le informazioni con cui entriamo in contatto. Internet, da questo punto di vista è una risorsa infinita ed esaltante di contenuti e fonti ma approcciare le notizie web, tramite i social media o altri strumenti, senza i dovuti accorgimenti può esporre ad alcuni pericoli: errori, bufale e notizie false che si diffondono senza sosta. Da qualche tempo, soprattutto negli Usa, ha preso piede il movimento “slow news” che ha tra i suoi obiettivi quello di rallentare il ritmo con cui consumiamo le notizie ogni giorno. I suoi portavoce sono numerosi e continuano a crescere di numero. Peter Laufer, docente di giornalismo presso l’università dell’Oregon e collaboratore dell’Ejo è uno di loro e su questo argomento ha scritto un libro e ha pubblicato sulle nostre pagine il suo manifesto.
L’Italia ha nel Movimento Slow Communication il suo portavoce per queste istanze. L’iniziativa, lanciata nel 2012 da Andrea Ferrazzi, giornalista e professionista della comunicazione, si pone l’obiettivo di proporre un’idea più riflessiva dell’informazione, del giornalismo e del modo in cui li fruiamo. Il suo movimento è attivo con un suo sito web e organizza convegni e incontri pubblici dedicati a questi temi. Ferrazzi è convinto che il piede sul freno dell’informazione si possa mettere se si rivede il modo in cui intendiamo la tecnologia, senza utopismi semplici e senza pensare che essa sia la soluzione a tutti i problemi che emergono, a cominciare dall’informazione. L’obiettivo futuro del movimento, ci racconta Ferrazzi, è quello di trasformarsi in una fondazione per promuovere borse di studio e programmi di “educazione digitale” pensato per le scuole. Nel frattempo, ecco perché abbiamo bisogno di “una dieta mediatica più bilanciata e più nutriente”.
Quali sono le ragioni dietro la nascita del movimento?
“Il progetto nasce da un’idea che, come ogni idea, nasce per caso. Stavo leggendo “Quando la moneta muore”, un libro che parla della follia finanziaria nella Germania degli anni ’20. Siccome nella società tedesca dell’epoca si era diffusa la credenza che la responsabilità dell’iperinflazione fosse da imputare agli ebrei, mi sono chiesto cosa sarebbe successo se all’epoca ci fossero stati anche i social media. Quale sarebbe stata la diffusione di quella stupidaggine? Da quel momento ho iniziato a interessarmi al tema del rapporto tra informazione e social media e l’ho approfondito per preparare un paper per il convegno della Società italiana di Scienza Politica, incentrato proprio sul rapporto tra nuove tecnologie e democrazia. Proprio in queste letture ho incontrato il movimento slow news americano e ho deciso di portarlo anche in Italia per diffondere un approccio piu critico nell’uso delle nuove tecnologie, approccio che un anno e mezzo fa mancava completamente nel nostro paese. Ora devo dire che, fortunatamente, le cose sono un po’ cambiate”.
Quali sono le conseguenze per la qualità dell’informazione dell’impostazione frenetica con cui spesso approcciamo le notizie?
“Ci sono due esempi emblematici legati alla stretta attualità. Il primo ha a che vedere con il caso Stamina. Questo è un esempio della vittoria di Facebook su Science, dei social media su una rivista accreditata. Non c’è più un filtro critico delle notizie, io al contrario penso che la fonte autorevole debba ancora essere riconosciuta come tale. In realtà, questa ostilità generale nei confronti dell’autorità costituita e il fascino che ciò esercita sulla popolazione produce questo genere di cose: credere alle dietrologie e ai più facili complotti. Tutto questo si diffonde ora molto piu facilmente sul web, dove prevale un forte effetto emotivo e l’annullamento di quelli che sono noti come “freni critici”. Questo è molo problematico. L’altro esempio è il referendum che il Movimento 5 Stelle vuole fare sulla legge elettorale. Un punto è proporre un referendum online sul nome della nuova Ferrari, un altro è porlo su un tema complesso come quello della legge con cui andremo a votare”.
Pensi sia tutta colpa di Internet o ci sono anche altre cause? Penso anche alla televisione negli anni ’90 e al “Cnn effect”?
“Rimandare tutto a Internet sarebbe un errore. Come ogni fenomeno complesso, anche la rivoluzione tecnologica non può trovare una sola causa. Chiaramente, Internet ha avuto un impatto rivoluzionario e dal mio punto di vista, uno degli aspetti che bisognerebbe approfondire è proprio il degrado della conoscenza. Mi ha molto colpito una frase inserita nel libro “La nuova era digitale” di Eric Schmidt e Jared Cohen, dove si dice che nel futuro del mondo dell’informazione ci sarà un’élite che potrà informarsi con un misto di carta e digitale, mentre la maggior parte delle persone accederà alle notizie solo tramite la rete e i social media. Penso che ci dovremmo preoccupare per via di questa disuguaglianza dal punto di vista dell’informazione anche perché chi andrebbe a informarsi esclusivamente sulla rete, sarà anche chi avrà strumenti piu deboli per avere un approccio critico nei confronti delle news. Ci sono anche forti ripercussioni per la tenuta dei sistemi democratici, da questo punto di vista”
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