Quanto costa uno dei più autorevoli quotidiani d’America? Il dato più interessante sembra essere uno, riportato da Martina Pennisi su Wired: Jeff Bezos di Amazon, per diventare il proprietario del Washington Post fondato nel 1887, ha sborsato un quarto di quanto Facebook ha speso per acquistare Instagram, un’azienda nata nell’ottobre del 2012. Nella battaglia dei numeri, almeno un’altra cifra è impietosa: gli utenti mensili dell’applicazione di photosharing nell’aprile del 2012 erano circa 100 milioni in tutto il mondo, mentre i lettori del quotidiano in un giorno feriale sono mediamente 474mila, contro i circa 768mila di dieci anni fa.
Il paragone può sembrare non troppo scientifico, ma rende chiaramente l’idea di quanto i maggiori giornali siano un affare piccolo, al giorno d’oggi, se paragonati alle maggiori imprese che dominano il Web. Nel marzo scorso, però, un diciassettenne che si chiama Nick D’Aloisio si è visto consegnare 30 milioni di dollari da Yahoo per la sua azienda, Summly, fondata un anno e mezzo prima. E Summly aveva molto a che vedere con i giornali. Il Washington Post, al contrario, sulle cui pagine scoppiò il caso Watergate e in tempi più recenti lo scandalo Prism/Nsa rivelato da Edward Snowden, ha perso complessivamente il 44% del suo operating revenue negli ultimi 6 mesi. Per finirla con i numeri, una recente analisi di eMarketer (citata da Wired Us) ha fatto notare come la sola Amazon abbia chiuso il 2012 con revenue per 60 miliardi di dollari, circa tre volte il volume complessivo di ricavi prospettati quest’anno per il mercato americano della pubblicità negli Usa.
Ma un altro aspetto interessante dell’affare è che Amazon non ha comprato il Washington Post, lo ha fatto Jezz Bezos in persona, assicurandosi anche altri periodici direttamente controllati dal Post: il Greater Washington Publishing, la Gazette newspapers, Express, El Tiempo Latino e il Robinson Terminal, ma non testate importanti come Foreign Affairs e Slate, di proprietà della Washington Post Co. Bezos è uno degli uomini più ricchi del mondo (un patrimonio personale di circa 22 miliardi di dollari, secondo Bloomberg) e, come scrive il Guardian, per certi versi risponde perfettamente al profilo del proprietario di un giornale: ricco, politicamente attivo, libertario. Il fatto che Amazon non sia direttamente coinvolta potrebbe far pensare che Bezos abbia in mente qualcosa di più importante che un semplice spostamento di capitali. Nella sua lettera agli impiegati del Post, Bezos ha scritto che i valori del quotidiano non cambieranno e che i lettori verranno sempre prima degli interessi privati del proprietario, il che, certamente, è una dichiarazione d’intenti più che lodevole, per quanto facile sulla carta.
Bezos ha anche detto di non avere in mente ricette precise, ma che vorrà sperimentare nuove strategie, se non addirittura inventarle: “sono esaltato dalle opportunità date dall’invenzione”, ha scritto. Bezos è un miliardario atipico con una cultura aziendale particolare e potrebbe, a tutti gli effetti, inventarsi qualcosa di buono per il futuro di questo settore. Per l’estrazione del suo nuovo proprietario, è molto probabile che il “nuovo” Washington Post avrà un’anima sempre più digital.
Certo, sarebbe facile peccare di quel soluzionismo di cui parla Evgeny Morozov nel suo ultimo libro e pensare che basti lo spirito della Silicon Valley per salvare l’editoria periodica negli Usa. In una settimana in cui un altro quotidiano d’America come il Boston Globe viene ri-venduto a un decimo del suo valore di venti anni prima al proprietario di una squadra di baseball e di una di calcio, i segnali dell’andamento generale di questa industria sono eloquenti. I giornali sono diventati il nuovo status symbol dei super miliardari, come le società sportive, come ha twittato Gideon Rachman del Financial Times?
Bezos ha davanti due alternative: lavorare alla gestione del Washington Post con lo spirito imprenditoriale e innovatore di Amazon o con quello filantropico con cui è solito lanciarsi in progetti visionari come la creazione dell’orologio infinito in Texas, o il recupero dei motori del razzo che mandò nello spazio l’Apollo 11. La speranza è che l’acquisto di un giornale sia ancora una scelta attinente al primo ambito e non un’avventura di archeologia industriale e tecnologica.
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