La vicenda della carovana di migranti latinoamericani pronta ad arrivare negli Usa è stato e continua a essere tuttora un caso giornalistico importante. Contestualmente, gli operatori dell’informazione coinvolti nella sua copertura hanno dovuto lavorare in situazioni molto complesse e alcuni di loro hanno denunciato azioni potenzialmente illegittime da parte della polizia di frontiera statunitense: sono stati numerosi, ad esempio, i fermi, le perquisizioni e i sequestri di apparecchiature tecnologiche e videocamere, ma non solo.
Alcuni screenshot raffiguranti un elenco di giornalisti, attivisti e avvocati sono stati consegnati alcuni giorni fa da un whistleblower del Dipartimento di Sicurezza Nazionale americano (DHS) all’azienda radiotelevisiva americana NBC, il cui team investigativo ha utilizzato questi materiali per una serie di articoli rivelando l’esistenza di un database redatto dal governo statunitense contenente fotografie e dati personali di giornalisti, avvocati e attivisti americani operanti lungo il confine USA/Messico. Secondo la fonte, che ha richiesto l’anonimato, il database sarebbe utilizzato dalla polizia di frontiera americana (CBP), dall’ufficio immigrazione e dogane (ICE) e dalla FBI di San Diego per uso interno al fine di monitorare chi e per quale motivo si trova sulla zona di confine.
Secondo quanto pubblicato da NBC7 Investigation, sarebbero quasi un centinaio le persone a essere state fin qui attenzionate e identificate dalla polizia di frontiera. I giornalisti sarebbero 10 (di cui 7 americani), oltre a un avvocato americano, 48 privati cittadini esteri o americani etichettati come “organizers” (13), “instigators” (8), “unknown”; individui sospetti di essere “antifa”, appartenenti alle organizzazioni Border Angels e Pueblos Sin Fronteras, e i presunti amministratori della pagina Facebook “Border Liberation Front ” che, insieme all’associazione Al Otro Lado e a quelle già citate, ha svolto un ruolo importante nel connettere avvocati a migranti all’interno dei centri di detenzione, nel sensibilizzare sul tema della migrazione di confine, e nel supportare i migranti con acqua e cibo durante il viaggio.
Giornalisti, attivisti e avvocati minacciati al confine
I migranti che sono partiti dall’Honduras e, in generale, da tutta l’America Latina costituendo la cosiddetta Migrant Caravan, continuano ad arrivare al San Ysidro Port of Entry dagli ultimi mesi del 2018. San Ysidro è un distretto della città di San Diego, immediatamente a sud del confine e, secondo il Dipartimento dei trasporti Usa, il più trafficato confine al mondo (secondo il Dipartimento dei Trasporti americano, nel solo 2015 sarebbero 33 milioni le persone entrate negli USA e 14 milioni i veicoli). Il viaggio della carovana di migranti è stato seguito da numerosi giornalisti, attivisti e avvocati, che hanno coperto la vicenda riscontrando non poche difficoltà. Le rivelazioni di NBC7 hanno dato conferma ai dubbi che molti addetti all’informazione e attivisti avevano sollevato nei mesi scorsi, quando contestualmente all’arrivo dei migranti a San Ysidro, erano cominciati e aumentate le ispezioni e gli interrogatori da parte delle pattuglie della polizia di frontiera nei confronti dei giornalisti e degli attivisti. In un video diffuso da The Intercept e girato lungo il confine da Francesca Tosarelli (videophotographer) e Fabio Bucciarelli (fotografo), si può vedere come un agente di frontiera intimi i giornalisti a non aiutare i migranti ad attraversare la cancellata per oltrepassare il confine, pena la complicità in reato e la possibilità di essere perseguiti se identificati in territorio Usa. A detta dei reporter, però, il tutto sarebbe stato intimato loro senza la minima prova nei loro confronti.
Le richieste di alcuni senatori alla CBP
L’11 marzo, due senatori americani, Charles Grassey, repubblicano, e Ron Wyden, democratico, hanno inoltrato al Commissioner of U.S Customs and Border Protection (CBP) Kevin K. McAleenen una formale richiesta di chiarimenti in merito alle presunte violazioni in corso nei confronti di giornalisti americani lungo il confine con il Messico. Il primo emendamento garantisce infatti il diritto ai cittadini americani a una stampa libera e indipendente e, hanno scritto i due senatori, “a meno che la polizia di frontiera avesse motivo di ritenere che le persone in questione stessero incitando alla violenza o al conflitto fisico, è profondamente preoccupante che quest’ultima sembri aver preso di mira alcuni giornalisti americani alla frontiera”. E, anche, “la polizia di frontiera deve adempiere ai suoi doveri sempre a salvaguardia delle basi Costituzionali”. Per questo motivo, ed essendo i due senatori a capo della Commissione finanziaria del Senato (operante al di sopra della polizia di frontiera), sono state richieste le policy e le procedure che sono state seguite per decidere di schedare i giornalisti. La risposta dovrà essere inoltrata al senato entro pochi giorni. Lo scorso 7 marzo erano state richieste – sempre alla polizia di frontiera – copie dei dossier o delle informazioni circa il fermo, la detenzione, la perquisizione e l’interrogatorio di 59 tra giornalisti, avvocati e attivisti operanti lungo il confine di San Diego. Nella richiesta firmata dai dem Bennie Thompson e Kathleen Rice, si fa inoltre specifico riferimento al numero di volte in cui queste persone sarebbero state fermate e interrogate alla frontiera, oltre alla lista contenente i nominativi di coloro i quali hanno dovuto consegnare alla polizia, per finalità di perquisizione o sequestro, i propri telefoni cellulari.
Negli ultimi mesi sempre più controlli alla frontiera su ordine degli americani
Una delle storie provenienti dal confine Usa/Messico ad aver fatto parlare di più di sé è quella che ha coinvolto la giornalista freelance Kitra Cahana, detenuta per 13 ore mentre cercava di rientrare in Messico prima di essere espulsa e allontanata dal Paese. Cahana era arrivata a Tijuana nel novembre 2018 per seguire l’esodo dei migranti fino a San Diego. Giorno dopo giorno e fino alla fine di dicembre, Cahana ha potuto osservare come le reazioni della polizia di frontiera messicana si intensificasse a danno dei giornalisti, fotografati, filmati e osteggiati nel loro lavoro. Nei primi giorni di gennaio 2019 Cahana è poi torna in Canada, suo Paese di provenienza, al fine di pianificare un nuovo viaggio in Messico, ma già all’aeroporto di Montreal riscontra alcune stranezze: sulla foto del suo passaporto, ad esempio, compare una strana X rossa, ma le viene consentito comunque di partire comunque per Città del Messico. Una volta atterrata sul territorio messicano, come ha raccontato a The Intercept la stessa giornalista, viene interrogata dalla polizia, che procede al sequestro del suo telefono e del disco rigido che aveva con sé, contenente immagini ritraenti richiedenti asilo messicani e dunque soggetti vulnerabili.
Cahana passerà complessivamente 13 ore in stato di fermo, tempo trascorso senza poter parlare con un traduttore inglese o con un funzionario dell’ambasciata canadese. Apparentemente le motivazioni del fermo di Cahana non sarebbero dovute alla professione che ricopre bensì all’accordo che la polizia di frontiera messicana avrebbe con quella statunitense. Con quest’ultimo Messico e Stati Uniti si impegnano in un proficua collaborazione per quanto riguarda il controllo e la prevenzione di azioni illecite fra le altre cose anche in materia di immigrazione e contrabbando. Cahana ha tuttora un “migrant alert” che non le permette di passare il confine e rientrare in Messico.
Le opinioni espresse in questo articolo sono quelle dell’autore e non rispecchiano necessariamente quelle di tutto l’Ejo.
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