In Italia è online da ottobre un nuovo giornale, Gli Stati Generali . Il fondatore è Jacopo Tondelli, ex direttore di un altro giornale online italiano, Linkiesta, insieme a Lorenzo Dilena, anche lui ex giornalista de Linkiesta e alcuni esperti di sistemi informatici.
Gli Stati Generali è una startup giornalistica con una forte componente informatica. La differenza tra questa nuova testata online e le altre già esistenti sta nel modello di business e nella forma di compensazione del lavoro giornalistico. Gli Stati Generali è una piattaforma digitale basata sul native advertising, con una rete di collaboratori, autori e scrittori, chiamata “Brains”. Tra i brains non figurano soltanto giornalisti, ma soprattutto esperti di politica, tecnologia, cultura, innovazione, economia, ricercatori e blogger.
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Ogni brain ha il suo profilo pubblico, dove può pubblicare in autonomia, senza filtro editoriale. Il ruolo della direzione de Gli Stati Generali è quello del curatore, che si occupa di organizzare e presentare la rete dei contenuti generati dai brains. Oltre a questi contenuti, la direzione pubblica ogni giorno uno o due articoli principali (long feature), commissionati a giornalisti professionisti freelance e remunerati secondo lo schema classico del lavoro freelance. Jacopo Tondelli, intervistato per questo articolo, sostiene che lo spazio dei brains è soprattutto adatto “a chi vuole partecipare all’informazione ma non è giornalista di professione. A Gli Stati Generali siamo d’accordo che un giornalista debba essere pagato per l’informazione che produce. Il nostro è un modello a due gambe: giornalismo classico, commissionato da noi, e valutazione dei contenuti generati dalla rete dei brains”.
La novità de Gli Stati Generali risiede in questa seconda parte del modello, la valutazione dei brains. Gli informatici della testata hanno messo a punto un algoritmo proprietario chiamato Interest Rank che monitora la performance di ogni articolo pubblicato dai brains nei dieci giorni successivi alla sua pubblicazione, misurando sia il numero di utenti unici ottenuti, sia l’attenzione e il coinvolgimento generato dall’articolo. Fin qui il modello non sembrerebbe così innovativo, perché già altri giornali, primo tra tutti Forbes, sperimentano da alcuni anni delle forme di ricompensa dei giornalisti basate sulla misura della performance dei loro articoli, come descrive Digiday. Forbes lo fa dal 2012. Il suo direttore, Lewis Dvorkin, ha creato e curato un network di circa 1000 collaboratori, che lui definisce “giornalisti imprenditori”, ovvero freelance il cui successo dipende dalla loro performance online. Molti di loro hanno con Forbes un contratto per un numero fisso di post al mese, per i quali ricevono un compenso classico, ma molto basso, che viene poi integrato in base alla performance online dei loro articoli.
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Dvorkin è convinto che lo scambio sia equo, perché alcuni degli autori riescono a guadagnare anche cifre importanti, mentre per la maggior parte degli altri, che spesso non sono giornalisti di professione, Forbes è una piattaforma che offre visibilità e opportunità di “costruirsi il proprio brand personale e la propria audience”. La novità del modello di ricompensa de Gli Stati Generali rispetto a quanto fatto da Forbes e simili risiede nell’aver introdotto un elemento di gamification del lavoro giornalistico. I brains non solo non ricevono compensi fissi da integrare in base alla valutazione dell’Interest Rank, ma partecipano a un contest, una gara mensile, al termine della quale l’algoritmo determina i vincitori. Gli articoli pubblicati dai brains concorrono ogni mese per due premi: il “Best Reading” e il “Best Author”, cioè l’articolo più “efficace” e l’autore che ha generato maggiore “interesse”.
Per Tondelli è più importante che un autore “sia capace di attrarre attenzione, piuttosto che generare click”. Per ogni sezione vengono assegnati 3 premi da 250, 150 e 100 euro l’uno. “Abbiamo intenzione, con la crescita della piattaforma e delle entrate, di estendere ed aumentare le ricompense, ma manterremo la logica del contest. È meglio pagare 50 autori 5 euro o un autore 250 euro? Noi siamo convinti che sia meglio pagare molto bene pochi articoli ben fatti che pagare poco tutti gli articoli, in base alle performance generate. Se avessimo i numeri di Forbes, sono convinto che il nostro meccanismo sarebbe più redistributivo del loro”, dice Jacopo Tondelli. Quando gli chiedo se questa forma di gamification del lavoro giornalistico non rischi di estremizzare la logica del giornalista imprenditore di se stesso, scaricando su di lui tutto il peso e la responsabilità del proprio successo, Tondelli risponde: “Sono i rapporti tra Capitale e Lavoro che hanno generato il giornalista imprenditore, non noi de Gli Stati Generali”.
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Il caso de Gli Stati Generali rappresenta un’ulteriore tappa verso lo stravolgimento delle misure tradizionali del valore del lavoro. In questo modello il lavoro non viene più ricompensato per il semplice fatto di essere stato svolto ma si traduce in valore economico solo se ha un impatto (misurabile) sui lettori. È un algoritmo, e non più la paga oraria stabilita dai sindacati, a fissare il tetto del valore del lavoro. Stiamo assistendo a un trasferimento (shift) del valore del lavoro dal tempo impiegato nella ricerca e nella scrittura verso l’effetto che questo lavoro genera nel pubblico.
Questo cambiamento in atto nel lavoro creativo e immateriale è stato colto criticamente da un gruppo di artisti austriaci che ha progettato l’installazione Bitcoincloud, per tematizzare il valore della produzione artistica. L’opera costruiva una relazione diretta tra l’attenzione che riceveva e il suo valore di mercato: più grande l’audience, maggiore il suo valore (in termini di Bitcoin ricevuti dall’artista). L’arte è spesso capace di vedere oltre il presente. Chissà che Bitcoincloud non abbia ragione: in futuro i giornalisti e i lavori creativi in genere, verranno ricompensati con monete alternative guadagnate in base all’attenzione prodotta dal proprio lavoro. Ma se ogni giornalista è un imprenditore, ha un brand da gestire e un’audience da mantenere, i giornali non servono più. I giornalisti invece sì, servono ancora, ma che fatica (e che opportunità), per i giornalisti, essere anche i giornali di se stessi.
Articolo tradotto dall’originale inglese
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