Osservatorio europeo di giornalismo, 06.11.2009
David Levy, direttore del Reuters Institute for the Study of Journalism, intervenuto all’incontro promosso dal Shorenstein Center di Harvard, titolo “How to make money in news: new business models for the 21st century, afferma in tutta tranquillità che “Internet isn’t killing the news” , ma crea piuttosto una dimensione più ampia di accesso all’informazione. Il modello pre-esistente non funziona, ma attenzione – dice Levy – il fenomeno deve essere inquadrato in una corretta prospettiva. Non c’è nulla di peggio che lasciarsi travolgere da un messaggio dominante… Internet è il nuovo killer dei giornali. Occorre analizzare la trasformazione di cui siamo spettatori e allo stesso tempo protagonisti tenendo bene in mente che siamo nel bel mezzo di una trasformazione epocale i cui effetti stanno rapidamente modificando le fondamenta del mercato.
Negli Stati Uniti la crisi ha raggiunto il suo massimo storico, ma è proprio nel luogo dove il conflitto diventa più aspro che si possono imporre nuove idee e modelli. Non va nemmeno dimenticato che i giornali nel passato non hanno certo vissuto in un ambiente ovattato e protetto. Per ricordare e non dimenticare quanto complessa fosse la situazione prima ancora che Internet diventasse un media di massa vale la pena riproporre un passaggio di un articolo del Corriere della Sera, a firma di Ennio Caretto e datato novembre 1995, Butti Times per i giornali. Se non sapessimo che risale al 1995 potrebbe essere una notizia di oggi.
“Le ragioni della crisi, non sono solo piu’ congiunturali come il prezzo della carta, ne’ fisiologiche come la concorrenza della tv. Sono anche strutturali, attengono alle nuove tecnologie, interne ed esterne, ai quotidiani come media da un lato e come imprese dall’ altro. Sono percio’ assai piu’ gravi. I sintomi del male sono palesi, dichiara il curatore della Nieman Foundation di Harvard, Bill Kovach. Negli ultimi mesi, hanno chiuso i battenti, tra gli altri, il New York Newsday, il Baltimore Evening, il Houston Post. Il Los Angeles Times e il Philadelphia Enquirer, testate prestigiose entrambe, hanno annunciato che licenzieranno 800 e 200 dipendenti rispettivamente; l’ Hartford Courant e il Baltimore Sun, due colossi di provincia, che ne licenzieranno 190 e 120. Il San Francisco Examiner sara’ assorbito dal San Francisco Chronicle”. Gli ultimi bilanci semestrali confermano il disagio generale. La grande catena Knight Ridders (Philadelphia Enquirer) ha denunciato un calo dei profitti dell’ 82 per cento. La American Publishing (Chicago Sun Times) ha registrato una caduta del fatturato del 20 per cento. La Times Mirror (Los Angeles Times) ha subito un deficit di 300 milioni di dollari. E l’ andamento delle tirature non e’ incoraggiante: hanno perduto copie persino i giornali di qualita’ come la Washington Post, il Wall Street Journal e il New York Times. Nel complesso, esse sono al livello minimo dell’ ultimo trentennio”.
Notizie molto diverse da quelle che vengono riportate ai giorni nostri? Non tanto. Dal 1995 a oggi tutto è cambiato, ma i problemi dei giornali continuano a esistere, in una forma probailmente più strutturale di quella raccontata nell’articolo del Corriere. Nuovi modelli di business che possano garantire la sostenibilità nella produzione e distribuzione delle notizie possono essere ipotizzati studiando attentamente il comportamento dei consumatori. Ricordiamoci che oggi si paga per le cose più strane. Basti pensare al valore raggiunto dal business delle suonerie per i cellulari. Negli ultimi trentanni nuovi mercati e opportunità si sono imposti in aree dove mai nessuno avrebbe pensato si potesse sperimentare qualcosa di nuovo.
Quando si compra il giornale in edicola il pagamento è di una semplicità estrema. Un euro, un dollaro, una sterlina, che sarà mai? Il problema è riuscire a portare lo stesso tipo di meccanismo su Internet, il quale implica un pagamento di tipo digitale che deve essere proposto in modo semplice senza introdurre disagi. D’altra parte le discontinuità che minano l’industria editoriale, sono le stesse che hanno determinato la trasformazione della produzione di beni che possono essere distribuiti in forma digitale, come per esempio l’industria musicale la quale si sta essa stessa reinventando. Difficile ipotizzare per il consumo delle notizie una forma di pagamento troppo frequente, giornaliera. Più facile pensare a un abbonamento, ma di fronte a un pagamento di un certo valore il lettore ha qualche resistenza. Le novità che potranno essere introdotte a livello tecnologico come sistema di pagamento potranno condizionare l’evoluzione futura nell’erogazione e fruizione delle notizie.
Robert Picard è tuttavia convinto che il risvolto economico sia l’ultima delle cose di cui in questo momento si debbano interessare i giornali: ‘It’s not about money. Money is the last thing you talk about when you talk about business models.’ La sua opinione è che le media companies si debbano concentrare sulla ricerca e sviluppo, sull’innovazione, se non si va in quella direzione si è votati al suicidio.
Per Picard le scelte degli editori possono essere di tre tipi :
- Continuare a fare le stesse cose e progressivamente scomparire
- Lasciare che siano gli outsider a produrre innovazione e distruzione creativa
- Diventare innovatori e cambiare le cose dall’interno
Tags:David Levy, Ennio Caretto, giornali, modelli di business, Reuters Institute, Robert Picard, Shorenstein