Le straordinarie manifestazioni a sostegno della democrazia e dello stato di diritto in Romania, che hanno visto centinaia di migliaia di persone riversarsi nelle strade in tutto il Paese e anche all’estero, sono il risultato dell’impatto del giornalismo. Nonostante l’informazione indipendente in Romania sia costretta a lottare per sopravvivere e le testate siano vittime di una situazione economica difficile, i reporter romeni hanno giocato un ruolo cruciale nell’allertare il pubblico sui piani controversi che il loro governo stava per attuare.
Le recenti proteste sono state innescate dall’introduzione di due decreti governativi volti a decriminalizzare alcuni reati, compresa la cattiva condotta da parte di ufficiali pubblici in casi in cui il danno finanziario procurato fosse inferiore a 200mila lei (circa 44mila euro). Gli oppositori di queste proposte sostengono che i decreti mirassero a decriminalizzare di fatto la corruzione del governo e ad aiutare centinaia di politici ed ex politici a evitare le inchieste. Fra le figure pubbliche potenzialmente coinvolte risulta esserci anche il leader del Partito Socialdemocratico (Psd) attualmente al governo, Liviu Dragnea, il quale, al momento, sta affrontando l’accusa di aver garantito contratti illegali per circa 24mila euro.
Nonostante la forte opposizione in tutta la Romania da parte dei cittadini scesi in piazza, del sistema giudiziario e persino del Presidente della Romania Klaus Iohannis, i decreti sono stati inizialmente introdotti dal governo Dragnea in segreto nella notte dello scorso 31 gennaio. Tuttavia i giornalisti erano riusciti ad annunciare le mosse del governo con qualche settimana di anticipo. Un commentatore politico di HotNews, Dan Tapalagă, ad esempio, aveva pubblicato già il 13 gennaio un articolo sul tema intitolato “Attenzione: amnistia e grazia stanno arrivando. Tutto per la grande fuga”. Nell’articolo Tapalagă scriveva che “numerosi segnali e informazioni ottenute da HotNews indicano che il Psd e Dragnea stanno per varare il loro progetto di amnistia e grazia e vogliono affrettare il procedimento in modo che entri in vigore non più tardi di febbraio”.
Una settimana prima della pubblicazione di quel pezzo, il Presidente Iohannis aveva a sua volta espresso le sue critiche circa l’introduzione delle proposte di legge. Il Presidente aveva fatto notare espressamente come alcune tra le maggiori figure del governo avrebbero potuto provare a cancellare i loro stessi precedenti penali: “il presidente della Camera dei deputati (Dragnea, nda) è una persona condannata per atti criminali ed è attualmente sotto inchiesta; il Presidente del Senato (Călin Popescu-Tăriceanu, leader di di Alde, nda) è una persona perseguita per falso. Queste sono circostanze preoccupanti”. Il Psd e l’Alde sono parte della coalizione che ha formato il governo dopo le elezioni del 2016. Il 17 gennaio, pochi giorni dopo l’uscita del suo editoriale su HotNews, Dan Tapalagă aveva scritto su Facebook che l’unico modo per “fermare il disastro” sarebbe stato, per il Presidente Iohannis, presidiare a un incontro del governo, un diritto garantitogli dalla Costituzione.
La mattina seguente, il Presidente aveva fatto una visita apparentemente a sorpresa al palazzo del governo a Bucarest e aveva chiesto ai media di rimanere nella Camera ad ascoltare le sue dichiarazioni ai parlamentari. “Ci sono due elefanti (nella stanza, nda)”, aveva dichiarato Iohannis in quella circostanza, “il decreto d’emergenza del governo per la grazia e quello per la modifica dei codici penali”. Il discorso provocatorio del Presidente era stato conseguentemente ripreso come una breaking news da tutte le maggiori redazioni romene.
La potente risonanza mediatica ottenuta dalle dichirazioni di Iohannis ha costretto il Ministro della Giustizia a pubblicare i testi dei decreti online. In seguito a quella decisione, diversi enti pubblici e personaggi molto in vista in Romania si sono uniti alla richiesta di bloccare gli atti e migliaia di persone hanno iniziato a riversarsi nelle strade. Tuttavia, i decreti sono stati adottati dal governo comunque e pubblicati il 31 gennaio scorso. Chi si oppone alle nuove norme sostiene che i cambiamenti proposti alle leggi potrebbero ostacolare di fatto la lotta legale alla corruzione, al terrorismo e al traffico di esseri umani. Anche la Commissione europea e il Parlamento europeo, dal canto loro, hanno espresso preoccupazioni molto severe. Intanto, le proteste nelle strade continuavano a crescere nelle strade di Bucarest e in particolare nella Piazza della Vittoria.
Anche le discussioni nelle strade e sui social media sono state vitali: un post di Facebook dell’organizzazione di fact-checking Factual, che spiegava le differenze fra cancellazione, revoca e annullamento delle ordinanze, ha ottenuto 400 condivisioni in poche ore. Perché il giornalismo “serio” diventi virale, una comunità ha bisogno di professionisti dei media ben preparati, calmi e determinati. In che altro modo, infatti, potrebbe altrimenti battersi un giornalista se non con domande e perseveranza? Il dialogo che segue ha avuto luogo tra il Ministro della Giustizia e una giornalista in occasione di una conferenza stampa, avvenuta immediatamente dopo la notizia della pubblicazione dei decreti:
Reporter: “Non risponda in teoria.”
Ministro: “Per favore, signora, mi faccia un’altra domanda, se ne ha una”.
R: “Sarà accusato, e ora sarà impossibile (per via dei decreti, nda), non è vero?
M: “Ha un’altra domanda?”
R: “… di favorire o agevolare qualcuno nel commettere un crimine. Non sarebbe più possibile considerarla responsabile ormai, giusto?
M: “Le ho risposto, signora. Un’altra domanda, se ne ha una”.
R: “Lei non ha risposto. È una domanda semplice e diretta: sì o no?”.
M: “Le ho risposto, signora. Un’altra domanda, se ne ha una”.
R: “No. Sì o no?”.
M: “Le ho risposto, signora. Un’altra domanda, se ne ha una”.
In quella occasione, il Ministro ha detto “un’altra domanda” 24 volte nell’arco della stessa conferenza stampa, tanto che la frase è diventata uno slogan delle manifestazioni. La conferenza stampa è stata trasmessa in diretta su tutti i notiziari e l’espressione “un’altra domanda” ha riempito le notizie per giorni. La reporter a porre la domanda era Andrada Dumitrescu, di Realitatea Tv.
Il giornalismo in Romania sopravvive a stento grazie a premi in denaro e a donazioni, o è sostenuto da modelli di business complessi che includono spesso anche eventi e merchandising. Il giornalismo investigativo, invece, è ricorso ai sussidi, come nel caso di Rise Project. Altre aziende sopravvivono con i sempre più scarsi introiti pubblicitari e in questo caso le redazioni che fanno parte di un canale generalista (come è per ProTV) o che sono nello stesso gruppo con un tabloid che può portare facilmente denaro al titolo di riferimento, come è nel caso di Adevărul e Click, sono quelle nella situazione migliore. Queste redazioni danno lavoro a giovani reporter, ansiosi di imparare, di crescere e di produrre giornalismo di qualità e indipendente, ma in queste condizioni di mercato è un miracolo che il giornalismo esista e possa essere riuscito a supportare un movimento popolare in favore dello stato di diritto, almeno finché non si guarda da vicino alle caratteristiche dell’informazione che si è diffusa così rapidamente e ha portato ad azioni così notevoli.
Il modo in cui le notizie si sono diffuse fra il pubblico romeno ha ricordato gli elementi della teoria classica della Diffusione delle innovazioni, concettualizzata dal sociologo Everett M. Rogers. Rogers sostiene che la diffusione sia il processo tramite il quale un’innovazione è comunicata attraverso il tempo in un sistema sociale. Sia il Presidente Iohannis che i giornalisti, in questo caso, si sono comportati come “agenti del cambiamento” nel processo, per mobilitare i cittadini romeni in difesa della democrazia e dello stato di diritto. Questo processo ha aiutato l’informazione a divenire velocemente virale su Facebook. Durante le proteste, il pubblico romeno si è spostato dai social media ai siti di news e alla televisione. Molti hanno usato i propri cellulari per rimanere aggiornati sulle notizie via radio e Internet. In occasione delle manifestazioni, il traffico verso molti siti di news è triplicato e alcuni di questi non hanno saputo gestire il sovraccarico e sono stati a tratti irraggiungibili.
Il Psd è il partito politico che era stato costretto a dimettersi dal governo nel novembre 2015, a seguito di pressioni pubbliche, solo quattro giorni dopo che un incendio aveva distrutto il Colectiv, un club di Bucarest, a causa di gravi negligenze nell’implementazione della norme di sicurezza da parte delle autorità. Il Presidente aveva nominato un gabinetto di tecnici, per assicurare la corretta transizione per un anno. Questo nuovo governo, guidato da Dacian Cioloș, un ex Commissario europeo, aveva sottolineato l’importanza di rafforzare la democrazia e lo stato di diritto e si era guadagnato la fiducia dei cittadini, al punto che, ad esempio, alcuni sviluppatori di software avevano lavorato come volontari per il bene pubblico.
La corruzione alimentata dalla politica è sempre stata in cima alle priorità dell’agenda pubblica romena già da prima che il Paese si unisse all’Unione europea nel 2007. Nel 2016, l’argomento è stato dolorosamente rimesso in discussione a causa di un’inchiesta giornalistica sui disinfettanti negli ospedali, collegata alle morti delle vittime dell’incendio al Colectiv. Nel Dicembre 2016, dopo un periodo elettorale abbastanza tranquillo, il Psd ha di nuovo vinto le elezioni parlamentari e ha formato una coalizione di governo con Alde. Il periodo di quiete è finito quando sono cominciate le voci sull’amnistia e le assoluzioni.
Lo scorso 5 Febbraio il governo ha deciso di accantonare le proposte di legge, lo stesso giorno di un’imponente manifestazione pubblica, in cui si stima che mezzo milione di persone abbiano marciato a Bucarest e nelle città e nei paesi di tutto lo Stato. “Credetemi, io ero qui anche le altre notti: vieni semplicemente contagiato dal buon senso che c’è nelle strade”, spiega un uomo.
Articolo tradotto dall’originale inglese da Giulia Quarta
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