Russia: Putin riorganizza i media

3 Gennaio 2014 • Libertà di stampa • by

A fine 2013 Vladimir Putin ha riorganizzato in modo radicale l’agenzia di stampa nazionale Ria Novosti in una nuova istituzione, Russia Today, con l’intento di promuovere l’immagine della Russia su un piano internazionale. Dmitry Kiselyov, vertice della nuova agenzia di stampa, è un noto conservatore, ostile ai gay e all’Occidente. L’agenzia è stata chiusa per decreto, con un provvedimento firmato da Putin e pubblicato dal Cremlino. Nel medesimo testo è stata inclusa anche la chiusura di Voice of Russia, inclusa a sua volta nella nuova struttura. Alla Rossiiskaya Gazeta e al magazine Rodina è toccato il medesimo destino.

Fino a poco tempo fa Ria Novosti è stata una dei maggiori organi di stampa in Russia, insieme alla Itar-Tass – un’altra agenzia di stampa pubblica – e alla Interfax, privata. Il suo network comprendeva 40 fonti di informazione in 22 lingue diverse, una rete di corrispondenti internazionali, l’agenzia di stampo economico Prime, il canale dedicato a scienza, clima e ambiente Ria Nauka, la Rapsi – agenzia dedicata ai temi legali e giuridici, famosa per le traduzioni dal vivo di molti casi pubblici, a cominciare da quello delle Pussy Riot e la casa editrice Moscow News.

Nonostante fosse un’entità controllata dallo stato, la Ria Novosti ha potuto godere di maggiori libertà dei suoi concorrenti federali nel coprire casi nazionali e internazionali. Sotto la direzione di Svetlana Mironyuk, che ha diretto l’agenzia fino al 2004, Ria Novosti si è infatti guadagnata la reputazione di affidabile ed equilibrata fonte di informazione. Molti suoi giornalisti hanno anche ricoperto un ruolo importante nel corso delle proteste del 2011 e del 2012. L’agenzia era anche nota per le sue iniziative innovative di data journalism e l’attenzione per le infografiche, formati non molto utilizzati dai media russi.

Il futuro di questi progetti è ora poco chiaro e molti dipendenti non hanno ancora certezze sul loro lavoro. Mironyuk ha dichiarato al suo staff di non aver comprenso le ragioni che hanno spinto il governo a chiudere “il miglior organo di informazione della Russia”. Un’altra questione rimasta aperta è quella del ruolo di media partner coperto dalla Ria Novosti per le olimpiadi di Sochi, di cui l’agenzia è il broadcaster ufficiale.

Il ruolo dello stato nel panorama mediatico russo è molto pesante: secondo diverse stime, circa l’80% degli organi di stampa attivi appartengono allo stato in qualche modo.

Le voci di sostegno nei confronti della Ria Novosti non sono state molte tra i media russi. Alcuni analisti stanno cercando di capire perché questa scelta sia stata presa a ridosso delle Olimpiadi, e non dopo. Opinione comune è quella che vi sia una connessione con le proteste in Ucraina. Si tratta infatti di un momento di preoccupazione per il Cremlino, che spinge per rafforzare il suo potere sia all’interno dei confini russi, che nell’area limitrofa.

Un’altra questione ha a che vedere con il Direttore della nuova agenzia, Dmitry Kiselyov, già anchorman del canale tv pubblico Rossiya. Le sue posizioni anti-gay e anti-Occidente lo hanno reso una specie di anti-icona dei media nazionali. Dopo la notizia della sua nomina, molti media russi hanno raccolto alcune delle sue dichiarazioni recenti, come:

“Penso che proibire ai gay di distribuire la loro propaganda ai bambini non sia abbastanza, si dovrebbe negare loro la possibilità di donare il sangue e lo sperma. Se un gay morisse in un incidente d’auto, il suo cuore andrebbe sepolto sotto terra o bruciato”.

Nel sostenere o addirittura espandendo posizioni di questo tipo come parte delle sue politiche soft, il Cremlino si sta comportando come un elefante in una cristalleria, distruggendo tutti i suoi oppositori. Ma c’è un grande pericolo nel soffocare tutte le critiche. Questo atteggiamento, infatti, preclude ogni possibile dialogo con il mondo esterno: il Cremlino potrebbe trovarsi nella posizione di non poter utilizzare nessuna delle sue costose armi di soft power verso l’esterno.

Photo credits: World Economic Forum / Wikimedia Commons

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