Costruire gli strumenti per la verifica delle fonti

17 Luglio 2015 • Etica e Qualità, Più recenti • by

Dhruti Shah, Jochen Spangenberg, James Neufeld e John Crowley a news:rewired

Bufale, fotografie e video non verificati spacciati per veri sono purtroppo ancora parte del giornalismo online. Anche se da anni i giornalisti raccontano a se stessi quanto la verifica dei contenuti Ugc online sia qualcosa di sostanzialmente simile nei principi a quanto si era soliti fare offline, anche testate giornalistiche prestigiose commettono spesso errori grossolani a causa delle scarse verifiche.

Sulla questione si sono scritti report e libri, eppure foto vendute come scattate in occasione di un certo conflitto provenienti invece da contesti completamente diversi trovano ancora spazio sui siti di news e video di civili uccisi in Siria girati in realtà in studi professionali finiscono ancora sulle home dei giornali online. E l’elenco potrebbe continuare molto a lungo. Della questione si è discusso anche a news:rewired, la conferenza che Journalism.co.uk organizza a Londra. Al panel sulla verification hanno partecipato Dhruti Shah, Ugc producer della Bbc, Jochen Spangenberg, innovation manager e responsabile del Reveal Project di Deutsche Welle e James Neufeld, fondatore della startup SAM Desk.

Dalla discussione, moderata da John Crowley, digital editor europeo del Wall Street Journal, sono emersi sostanzialmente due spunti fondamentali. Il primo, sollevato dalla Shah, è che oltre a essere fonti di contenuti utilizzabili, i social media sono soprattutto eccellenti strumenti per contattare persone o testimoni oculari di eventi che un giornale o un’emittente televisiva potrebbero trovarsi a dover cercare per avere accesso a informazioni o testimonianze. Una funzione che viene di rado enfatizzata rispetto a quella di accesso a contenuti di prima mano, certamente più immediata.

A news:rewired, la editor della Bbc ha spiegato come i social media più comuni possano essere utilizzati ben oltre le loro potenzialità quotidiane e diventare canali imbattibili di accesso alle persone on the ground se sfruttati anche solo con qualche accorgimento in più. La geo-localizzazione di Instagram, ad esempio, un social media troppo spesso relegato alla condivisione di contenuti “leggeri”, può invece fornire una banca dati molto vasta di contenuti.

I “verificatori” della Bbc, ha spiegato ancora Shah, spesso, si inseriscono in discussioni che stanno avvenendo su Twitter – senza che il broadcaster vi sia coinvolto originariamente – al fine di contattare persone che potrebbero diventare fonti interessanti e utili, sollecitandole a fornire informazioni. Questo avviene, ha spiegato Shah, facendo ricerche geolocalizzate – ad esempio nel territorio di un disastro naturale – usando per parole chiave espressioni di paura comuni o forme idiomatiche. 

Il secondo punto emerso dalla conferenza londinese, invece, ha a che vedere con gli strumenti che possono essere utilizzati per la verifica. Sulla questione si è espresso per primo Jochen Spangenberg di Deutsche Welle, spiegando come la testata tedesca stia lavorando alla costruzione del proprio strumento di verifica in-house. Il progetto si chiama Reveal e, al momento, è in fase di test.

Una volta pronto, sarà una piattaforma che i giornalisti potranno usare per applicare 41 funzioni di verifica diverse ai contenuti provenienti dai social media, sfruttando algoritmi propri e generati ad hoc. L’idea è quella di avere un proprio software proprietario da dare in dotazione alla propria redazione, affinché la verifica diventi una pratica quotidiana interamente inserita nelle dinamiche redazionali.

Della stessa idea è anche la startup canadese SAM Desk (“Social Asset Management”, nda), che ha sviluppato un software per gestire, verificare e cercare contenuti “notiziabili” sui social media. A news:rewired, James Neufeld ha mostrato una demo di come funziona il sistema realizzato dalla sua azienda. Sam Desk ricorda TweetDeck e fornisce alcune funzioni di certo non nuove, ma molto avanzate, – come per la geolocalizzazione dei contenuti visuali e l’accesso facilitato ai metadati delle foto – e, soprattutto, tutte raccolte in una sola piattaforma che integra anche applicazioni per la gestione dei flussi di lavoro di redazione e possibilità di storytelling e aggregazione. Uno strumento che potrebbe essere molto utile per redazioni di diverso tipo e che dalla demo mostrata a Londra sembra essere molto intuitivo e pratico.

La chiave per la definitiva accettazione delle pratiche di verifica dei contenuti online potrebbe proprio essere la possibilità di avere strumenti pronti da utilizzare ed embeddati nelle pratiche di redazione. Per queste ragioni è interessante vedere come vi siano iniziative volte proprio allo sviluppo di piattaforme centralizzate che potrebbero facilitare l’accesso a queste pratiche anche a giornalisti che difficilmente si muoverebbero tra 5 tool online diversi.

In chiusura di panel si è discusso anche di chi, in redazione, dovrebbe occuparsi della verifica dei contenuti provenienti dal web. Anche se un numero crescente di media si sta dotando di “Verification Hub” interni – un aspetto di cui proprio la Bbc è stata pioniera -, per Dhruti Shah ogni giornalista dovrebbe avere almeno un’infarinatura di base di queste pratiche, per quanto serviranno sempre esperti di singoli campi per verifiche più specifiche o specialistiche. Il nocciolo della questione, però, è fare finalmente della verifica degli Ugc un elemento irrinunciabile del giornalismo digitale. È tempo che le buone pratiche diventino le pratiche di tutti.

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