I rischi corsi dai giornalisti mentre svolgono il loro lavoro in territorio di conflitto sono evidenti e noti. Tuttavia, nonostante i dati dicano che i giornalisti sono sempre più vittime di rapimenti, molti sono ancora impreparati a questa minaccia e, spesso, sono i reporter e le organizzazioni mediatiche stesse a rendere più vulnerabili i giornalisti sul campo a causa della loro scarsa previdenza e capacità di pianificazione. Lo dimostra un nuovo studio.
Secondo i dati del Cpj, più di 100 giornalisti sono stati rapiti in Siria dall’inizio del conflitto nel 2011: fra questi, di due americani, James Foley e Steven Sotloff, si sa che sono stati uccisi dai militanti islamici. Almeno altri 25 – inclusi molti siriani, un americano, un giapponese e tre giornalisti spagnoli – sono invece ancora dispersi.
Le complesse questioni organizzative che sono sollevate dalla cattura o dal rapimento dei giornalisti nelle zone di conflitto sono l’oggetto di “The Kidnapping of Journalists: Reporting from High-Risk Conflict Zones“, studio realizzato da chi scrive e da Hannah Storm, dell’International News Safety Institute. La maggior parte delle redazioni sono impreparate alla possibilità di un rapimento, dicono i nostri risultati.
Molte di queste, semplicemente, non hanno addestrato il proprio staff nelle zone di conflitto a mantenere le misure di sicurezza e a evitare la cattura, mentre i media che offrono una formazione ai propri impiegati difficilmente forniscono una simile preparazione anche ai propri freelance, nonostante vi sia una crescente pressione sulle aziende mediatiche e sulle organizzazioni giornalistiche perché questo accada. La maggior parte degli organi di stampa, infine, non ha in atto dei piani per le situazioni di crisi che includano una risposta ai rapimenti.
I rapimenti presentano sfide significative sia sul piano logistico che su quello organizzativo. La frequente lontananza e l’ostilità delle parti coinvolte spesso limitano le abilità delle organizzazioni, delle associazioni dei giornalisti e delle autorità pubbliche nel rispondere e nel gestire i sequestri. I rapimenti comportano anche interessi molteplici e a volte conflittuali: ad esempio, la famiglia di un ostaggio potrebbe disperatamente voler generare mobilitazione, ma gli esperti di sicurezza e i consulenti del governo spesso raccomandano al contrario di non farlo, per paura che le richieste dei sequestratori possano aumentare. Di conseguenza, le redazioni, l’amministrazione, le assicurazioni e le squadre di recupero a volte possono operare con scopi diversi, complicando i tentativi di risposta.
Non sorprende quindi che le organizzazioni mediatiche, sui loro canali, tendano a trattare dei rapimenti dei giornalisti in modi differenti: incoraggiando un blackout mediatico, ad esempio, o tentando di comunicare direttamente con i sequestratori. Mosse di questo tipo, ovviamente, sollevano importanti questioni etiche. Non si sa, inoltre, quante testate giornalistiche abbiano un’assicurazione stipulata per i rapimenti e i sequestri. La segretezza che circonda queste polizze è dovuta alla necessità di non incoraggiare i sequestri e anche al fatto che alcuni governi vietano il pagamento di riscatti. Un’altra ragione per questa segretezza è che i rapimenti possono anche comportare l’utilizzo di unità di crisi e di consulenza.
È chiaro che le imprese mediatiche hanno bisogno di lavorare per prevenire i rapimenti e prepararsi a reagire con una risposta immediata e unitaria, qualora questi si verifichino. Servono, ad esempio, linee guida che spieghino cosa fare in caso di rapimento e che stabiliscano in modo chiaro chi è responsabile della gestione dei vari compiti, quali risorse sono disponibili e come avervi accesso. I passati rapimenti dimostrano che le aziende mediatiche devono essere preparate per una lunga e sostenuta attività nel caso in cui uno dei loro dipendenti venisse rapito. Inoltre, occorrono chiare strategie e protocolli per guidare le reazioni, rispondere alle richieste dei rapitori, per determinare la veridicità delle informazioni disponibili e per prepararsi alla possibilità di pagamenti per informazioni e riscatto.
I giornalisti sono vulnerabili poiché spesso sono fisicamente attivi in zone ostili in cui le autorità civili sono assenti, la legislazione è scarsa e i diritti umani sono ignorati. Nonostante l’attenzione sia per lo più focalizzata su Siria e Iraq, i sequestri avvengono però in tutto il pianeta con una frequenza allarmante. I rapimenti dei giornalisti occidentali in genere ricevono una più alta copertura internazionale, ma essi non sono gli unici obiettivi.
Centinaia di altre persone in tutto il mondo sono tenute in ostaggio, in particolare in Siria, Iraq, Medio Oriente, America Latina e Asia. Nessuna testata potrà mai essere completamente preparata per il tributo personale, finanziario e organizzativo richiesto da un rapimento. Capire il fenomeno e prepararsi alla possibilità che questo si verifichi, tuttavia, può aiutare a ridurre i rischi di un sequestro e a velocizzare e facilitare la risposta nel caso in cui se ne presenti la necessità.
Articolo tradotto dall’originale inglese da Giulia Quarta
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